Antimilitarismo ed antispecismo in Ronge- Mailles Vainqueur di Lucien Descaves

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di Simona Spadaro

Di recente, è stato pubblicato e tradotto in lingua italiana, un piccolo capolavoro letterario di natura libertaria, scritto da Lucien Descaves, diffuso in Francia nel 1920 dopo tre duri anni di censura. La denuncia di Descaves, irrompe ed esplode oggi come allora, contro la barbarie della guerra, di tutte le guerre: trionfo ed esaltazione dell’idiozia dell’umanità, e muove sulla decostruzione della “figura dell’eroe”, del soldato, del patriota, che si manifesta come attore sociale caratterizzato dall’assenza di pensiero, di personalità, di individualità, che agisce nella meccanica ripetizione della cieca ed insensata obbedienza verso l’autorità.

Una tematica sempre attuale e ricorrente, proporzionale purtroppo a tutte le volte che l’uomo ha hobbesianamente considerato “l’altro” un nemico da abbattere, in nome di un confine, di una bandiera, della retorica della razza o della nazione. Lo Stato, o il leviatano, o l’autorità in generale, ha opportunisticamente ed ossessivamente eretto sempre un muro, una gabbia, un carcere, tra un uomo ed un suo simile”. La convinzione della natura intrinsecamente malvagia dell’uomo, lupo verso l’altro, è stata ampiamente confutata da una ricca corrente filosofica, antropologica e sociologica capace di svelare la strumentalità di tale concezione a solo discapito del potere, come garanzie di controllo e stabilità raggiunte, inducendo ed imponendo nella psiche dell’uomo il terrore sociale, al punto tale da generare incessantemente divisioni, leggi, guerre e paure.

E’ questo il background di questo preziosissimo contributo letterario: il primo conflitto mondiale, la guerra delle trincee, la guerra inter-imperialista. Il contesto storico, però, sfuma apertamente, fin dall’incipit del libro, poiché è interamente penetrato dallo stile letterario della favola, che rende la realtà metaforica ed universalizzante.

L’ io-narrante” del racconto, come sottolinea nella prefazione Massimo Cardellini, che ha appassionatamente tradotto e curato l’edizione italiana del libro, emerge come l’espressione di pensiero unitaria dell’ “anima rattesca”, dato che protagonisti del libro sono i ratti: ratti parlanti, ratti pensanti, ratti riflessivi, ironici e saggi che dimostrano la limitatezza del paradigma antropocentrico, in cui l’uomo è dogmaticamente posto al vertice della gerarchia degli esseri viventi, in una condizione di indiscutibile ed inoppugnabile superiorità rispetto agli altri animali. Può capitare, dunque di cogliere sensibilmente intuizioni antispeciste in certi passaggi, o anche se vogliamo quasi il sentore gioiosamente irriverente di uno “specismo- contrario” in cui l’uomo (e più specificamente, l’uomo che devasta e uccide in nome della patria, o ai comandi del potere)è la creatura più ignobile per eccellenza, e piccoli animali come i topi, comunemente considerati, sporchi, inferiori, infimi, potrebbero invece rivelarsi capaci, intelligenti, uniti, senzienti, in accordo soltanto con le leggi della vita, piuttosto che con le leggi del sistema.

La bestialità, come rivela simbolicamente l’io narrante, si distacca dalle bestie (animali, topi, l’io narrante stesso), per insinuarsi nel soldato. In tal modo si ribaltano e si incrociano perfettamente la natura dell’animale e la natura dell’uomo: i topi, protagonisti del racconto risultano profondamente umani, come personaggi umanizzati/umanizzanti, rispetto agli uomini di guerra, che agiscono in modo prepotente, feroce, disumano, come personaggi bestiali/ mostri, che hanno perso il contatto con la propria natura, con la loro intima sensibilità, per conformarsi e distruggere.

In tutto ciò, messaggi antimilitaristi ed antispecisti sembrano mischiarsi sempre più indissolubilmente e procedere parallelamente, per tutto il resto della storia. Curiosamente, slanci più marcatamente antispecisti, potrebbero esser visti addirittura in un chiaro susseguirsi di costanti riferimenti al cibo, avvolti in una predominante veste ironica e disincantata. Infatti, in questo libro i topolini, ovvero gli animali protagonisti, considerano e dichiarano come “carne più prelibata…sia quella umana”(c’è spreco ed abbondanza nei periodi bellici di carneficina!).

Questo appetito, all’uomo carnivoro, potrebbe sembrare bestiale, crudele, orrido, eppure, è soltanto lo specchio del suo comportamento spietato, privo di empatia, verso l’uccisione animale.

In tratti come questi potremmo pure, intravedere punti di continuità con uno dei capolavori di Orwell, “La fattoria degli animali”. Lo spirito di ribellione di questi esseri puri, costantemente considerati inferiori e legalmente sfruttabili fino all’estremo a vantaggio della vita dell’uomo, auto- proclamatosi animale supremo, despota dell’universo, si manifesta in generale in entrambe queste opere e diviene la base narrativa dei due microcosmi fantastici.

Un collegamento esplicito invece, rintracciabile fin dalle prime pagine di questo racconto di Descaves è il rimando a La Fontaine; sia per il tipo di genere letterario scelto, quello della “favola”, sia per il carattere del personaggio (del topo) che simboleggia degli aspetti dettagliati ed umani di “organizzazione”, “riflessività”, “precisione”e “pungenza”, nell’azione di rosicchiare ed ironizzare su ciò che lo circonda.

Un riferimento più implico, ben nascosto ma rintracciabile nel testo, è un allusione al concetto di “super-uomo”(fr. sur-homme) di Nietzsche, ironicamente capovolto, contenuto ed espresso con l’allitterazione del termine “surmolotto”(fr. sur-molot), ratto. La stessa ironia terminologica è rivelata in una nota, anche dall’effetto del suono delle parole dello stupido grido di guerra: “Hourrà!” che i ratti confondono invece con l’esclamazione: “Au rat! Au rat!”, cercando di dare un senso quasi più razionale a questo grido (che dovrebbe goffamente rafforzare lo spirito di attacco e di unione nel combattimento) nella convinzione che gli uomini inveiscono contro il nemico; con la stessa rabbia con cui inveiscono contro uno di loro, attentando indifferentemente alle loro vite di nemici ed animali.

La natura pericolosa di questi “surmolotti” per quanto “innocenti” possano sembrare rispetto agli egoismi e alle brutture umane come l’idea stessa degli eserciti e, dello stato, sta nel fatto che potrebbero decimare interi raccolti o comunque potrebbero con le loro piccole azioni rosicchiatrici, abbattere interi edifici umani, sociali, istituzionali! Una delle battute più spinte, su questa chiave di lettura capace di evidenziare comunque, la coscienza critica e pulita degli animali rispetto all’uomo, si ritrova nella parte conclusiva del libro e recita con “spirito anticapitalista”:

E’ vero che ci saranno, dopo la guerra, vaste distese abbandonate , sterili…,
però in compenso, la proprietà fondiaria raggiungerà dei prezzi esorbitanti.
Non si segnala già, in alcuni luoghi dove si è furiosamente combattuto,
del terreno che vale mille uomini l’acro? (…)
(…) i ratti dei campi si lamentano del coltivatore…
Molti di loro, sembra, si spezzano i denti su dei sacchi di monete.”

Ci si potrebbe sicuramente perdere nel parafrasare intere citazioni del testo nel tentativo spontaneo di comunicare lo stupore e la forza vitale che infonde questo capolavoro libertario splendidamente illustrato, ma confidiamo nell’ intimità e nella volontà insaziabile del lettore, incuriosito di leggerlo, capace di calarsi a dispetto del tempo- nel tempo del narratore e del narrato- in sincronia sempre con la storia: la storia dei vinti.

Rodi-Maglie Vincitore su Facebook
per richiedere una copia scrivere a : ariolibert@tiscali.it

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