Napoli, mattina del sette giugno 2008; mi risveglio dall’anestesia post raschiamento chirurgico della placenta, in seguito ad un’interruzione di gravidanza volontaria e terapeutica per la quale mie ero ricoverata la mattina precedente. Ero entrata in ospedale per un aborto, ma fra maltrattamenti fisici e psicologici, ed omissioni di soccorso, mi ritrovo invece ad avere partorito un feto che, sottoposto a rianimazione forzata, adesso soffre senza speranza alcuna di sopravvivenza, nel reparto di terapia intensiva neonatale.
Figlia mia, come è stato possibile tutto ciò? Volevo impedirti la vita per non farti soffrire, e invece rimani agonizzante per quattro interminabili giorni nell’ultima incubatrice nel lungo corridoio della T.i.n. di una grande ospedale.
“ Questa storia è troppo assurda” penso, “debbo scriverla in un libro, perché tutte le donne in età fertile che vivono sul suolo italiano possano sapere cosa significa l’eccessiva presenza di obiettori di coscienza negli ospedali pubblici, quando una donna vi entra per avere un aborto terapeutico.”
“Abortire tra gli obiettori “ come decido di intitolare il libro, significa prima di tutto avere poco tempo per pensare alla scelta da fare; se la legge dice che si può interrompere legalmente una gravidanza fino alla ventiquattresima settimana, la realtà dei reparti di ginecologia ed ostetricia diretti da un obiettore di coscienza, anticipa questo lasso di tempo, come minimo ad una settimana prima per evitare il rischio di sopravvivenza fetale, e se ciò accade lo stesso, si applica la rianimazione forzata, invece di lasciare che il feto muoia in pochi minuti dal taglio del cordone come avviene in strutture senza primari obiettori.
Abortire tra gli obiettori significa avere pochi giorni alla settimana per cominciare la terapia abortiva tramite inserimento di candelette di prostaglandine che avviano il travaglio di parto, il che significa lunghe code di attesa che rischiano di far andare la paziente oltre i termini di legge.
Significa altresì stare a contatto con medici non obiettori solo per poche ore al giorno e per pochi giorni durante la procedura abortiva, e per il resto, venire trascurate, quando non maltrattate, dal personale medico e paramedico obiettore.
Tradotto, significa che se chiedi un analgesico ti viene rifiutato, che a volte se sei sul punto di espellere non vieni aiutata, che non ti viene proposto di ricevere durante il percorso dell’interruzione, un supporto psicologico, che ti viene impedito di andare in bagno, che non puoi ricevere conforto da parenti o amiche, che se fai domande sull’andamento dell’aborto ti vengono date risposte evasive, che non ti viene eseguita un’ecografia per monitorare il tutto, che non ricevi una visita se non sei tu a richiederla, che dopo l’espulsione nessuno interviene a recidere il cordone ombellicale e vieni lasciata col feto morto, oppure vitale, tra le gambe.
Ma il mio libro non è solo la cronaca del mio aborto: esso contiene anche il mio dialogo con ginecologi abortisti ed obiettori per capire come deve essere un’interruzione terapeutica secondo la legge 194, e come invece viene stravolta dall’eccessiva presenza di obiettori in corsia.
La casa editrice Tempesta, vi ha aggiunto poi la prefazione della dottoressa Stefania Cantatore, portavoce del gruppo di Napoli di cui faccio parte, dell’ ”Unione Donne In Italia”, ed alcuni documenti:
Il testo della legge 194
Un contributo dell’AIED
Un contributo dell’UAAR
Statistiche sull’IVG in Italia
Volantino del 1975 del Movimento di liberazione della donna
Quattro altre testimonianze di donne che hanno avuto un’interruzione terapeutica, di cui una “positiva”
Un’intervista al professore Carlo Flamigni.
Il libro è stato pubblicato nel mese di maggio del 2012, da Tempesta Editore, Roma.