Quasi cento anni fa Camillo Berneri scriveva questo saggio che è solo un paragrafo del testo “Federalismo Libertario”. Berneri è riuscito ad individuare da subito delle problematiche che avrebbero poi impantanato il movimento anarchico negli anni a seguire fino ad oggi. Non solo non c’è stata una adeguata discussione ed elaborazione del concetto di federalismo, ma così come previsto da Berneri ci si è fossilizzati in un purismo teorico dell’anarchismo. Si è persa, così, l’occasione di lavorare per il decentramento dei poteri statali rendendo ora questo lavora ancora più complicato per la costituzione di nuove strutture europee sovrastatali che portano il potere ancora più lontano dai territori.
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Carlo Molaschi risponde a Gigi Damiani, che propone un avvicinamento, da parte nostra, agli elementi sovversivi federalisti, dicendo che sarebbe d’accordo, se tali elementi esistessero. Egli dice che i repubblicani hanno dimenticato il loro federalismo per l’influenza unitaria esercitata da Mazzini e che i sindacalisti non possono dare garanzie perché non hanno un atteggiamento ben determinato. Quello che dice Molaschi è vero, ma solo in parte. Che la generalità dei repubblicani abbia seguito, e segua tuttora, Mazzini, invece di Ferrari e di Cattaneo, è vero, ma è anche vero che vi è un forte gruppo di repubblicani che continuano la tradizione federalista, arricchendola ed elaborandola. Basta, per esempio, la lettura della rivista La critica politica per convincersene.
I repubblicani federalisti hanno, bisogna riconoscerlo, fatto molto più di noi, nel campo teorico! Noi siamo ancora al federalismo di Bakunin, che a Molaschi pare, a quanto sembra, non plus ultra. E questo è un grave segno. Dimostra che non abbiamo fatto che pochi passi più in là dei maestri. Molaschi, opponendosi al revisionismo, dice: «Rimaniamo fedeli al buon anarchismo di cinquant’anni or sono che è sempre giovane, gagliardo, pieno di promesse per il vicino domani». Bisogna intenderci: l’anarchismo di cinquant’anni or sono è sempre giovane, e lo sarà anche fra cinquant’anni e anche più, nel senso che contiene delle verità che sono ben lontane dall’essere smentite, anzi rifulgono di nuova luce sullo sfondo dei fatti. Ma le ideologie di cinquant’anni fa sono sorpassate. Lo dimostra uno dei più vecchi e più giovani compagni nostri, Malatesta, che sta esaminando i vari problemi della rivoluzione con criteri che differiscono da quelli da lui adottati cinquant’anni fa e che contrastano con la gretta e pigra mentalità di molti compagni che trovano più comodo ruminare il verbo dei maestri che affrontare i problemi vasti e complessi della questione sociale quale si presenta oggi.
Siamo immaturi. Lo dimostra il fatto che s’è discussa l’Unione Anarchica sottilizzando sulle parole partito, movimento, senza capire che la questione non era di forma, ma di sostanza, e che quello che ci manca non è l’esteriorità del partito, ma la coscienza del partito? Che cosa intendo per coscienza di partito? Intendo qualche cosa di più del lievito passionale di un’idea, della generica esaltazione di ideali. Intendo il contenuto specifico di un programma di parte. Noi siamo sprovvisti di coscienza politica nel senso che non abbiamo consapevolezza dei problemi attuali e continuiamo a diluire soluzioni acquisite dalla nostra letteratura di propaganda. Siamo avveniristi, e basta. Il fatto che ci sono editori nostri che continuano a ristampare gli scritti dei maestri senza mai aggiornarli con note critiche, dimostra che la nostra cultura e la nostra propaganda sono in mano a gente che mira a tenere in piedi la propria azienda, invece che a spingere il movimento ad uscire dal già pensato per sforzarsi nella critica, cioè nel pensabile. Il fatto che vi sono dei polemisti che cercano di imbottigliare l’avversario invece di cercare la verità, dimostra che fra noi ci sono dei massoni, in senso intellettuale.
Aggiungiamo i grafomani pei quali l’articolo è uno sfogo o una vanità ed avremo un complesso di elementi che intralciano il lavorio di rinnovamento iniziato da un pugno di indipendenti che danno a sperar bene. L’anarchismo deve essere vasto nelle sue concezioni, audace, incontentabile. Se vuol vivere, adempiendo la sua missione d’avanguardia, deve differenziarsi e conservare alta la sua bandiera anche se questo può isolarlo nella ristretta cerchia dei suoi. Ma questa specificità del suo carattere e della sua missione non esclude un migliore incuneamento della sua azione nelle fratture della società che muore e non nelle costruzioni aprioristiche degli architetti del futuro. Come nelle ricerche scientifiche l’ipotesi può illuminare la strada delle indagini, quando si sia capaci di spegnere questa luce se essa risulta falsa, l’anarchismo deve conservare quel complesso di principi generici che costituiscono la base del suo pensiero e l’alimento passionale della sua azione, ma deve sapere affrontare il complicato meccanismo della società odierna senza occhiali dottrinari e senza eccessivi attaccamenti all’integrità della sua fede.
Il nemico è là: è lo Stato. Ma lo Stato non è solo un organismo politico, strumento di conservazione delle ineguaglianze sociali; è anche un organismo amministrativo. Come impalcatura amministrativa lo Stato non si può abbattere. Si può cioè smontare e rimontare, ma non negarlo, poiché ciò arresterebbe il ritmo della vita della nazione, che batte nelle arterie ferroviarie, nei capillari telefonici, ecc. Federalismo! È una parola. È una formula senza contenuto positivo.
Che cosa ci danno i maestri? Il presupposto del federalismo: la concezione antistatale, concezione politica e non impostazione tecnica, paura dell’accentramento e non progetti di decentramento. Ecco, invece, un tema di studio: lo Stato nel suo funzionamento amministrativo. Ecco un tema di propaganda: la critica sistematica allo Stato come organo amministrativo accentrato, quindi incompetente ed irresponsabile. Ogni giorno la cronaca ci offre materia a tale critica: milioni sperperati in cattive speculazioni, in lungaggini burocratiche; polveriere che saltano in aria per incuria di uffici «competenti»; ladrocini su larga e piccola scala, ecc. ecc. Una sistematica campagna di questo genere potrebbe attirare su di noi l’attenzione di molti che non si scomporrebbero affatto leggendo Dio e lo Stato. Dove trovare coloro che possono alimentare regolarmente questa campagna? Gli uomini ci sono. Bisogna che si facciano vivi.
Ci vuole una mobilitazione! Ingegneri, impiegati, dottori, studenti, operai, tutti vivono a contatto dello Stato o per lo meno di grandi aziende. Quasi tutti possono osservare i danni della cattiva amministrazione: gli sperperi degli incompetenti, i ladrocini dei farabutti, gli intoppi degli organismi mastodontici. È l’ora di finirla coi farmacisti dalle formulette complicate, che non vedono più in là dei loro barattoli pieni di fumo; è l’ora di finirla coi chiacchieroni che ubriacano il pubblico di belle frasi risonanti; è l’ora di finirla con i semplicisti, che hanno tre o quattro idee inchiodate nella testa e fanno da vestali al fuoco fatuo dell’Ideale distribuendo scomuniche.
Bisogna ritornare al federalismo! Non per adagiarsi sul divano della parola dei maestri, ma per creare il federalismo rinnovato e irrobustito dallo sforzo di tutti i buoni, di tutti i capaci. Chi ha un grano di intelligenza e di buona volontà sforzi il proprio pensiero, cerchi di leggere nella realtà qualche cosa di più di quel che si legge nei libri e giornali. Studiare i problemi odierni vuol dire sradicare le idee non pensate, vuol dire allargare la sfera del proprio influsso di propagandista, vuol dire far fare un passo avanti, anzi un bel salto in lunghezza, al nostro movimento.
Bisogna cercare le soluzioni affrontando i problemi. Bisogna che ci formiamo un nuovo abito mentale. Come il naturalismo superò la scolastica medioevale leggendo nel gran libro della natura invece che sui testi aristotelici, l’anarchismo supererà il pedante socialismo scientifico, il comunismo dottrinario chiuso nelle sue caselle aprioristiche, e tutte le altre ideologie cristallizzate. Io intendo per anarchismo critico un anarchismo che senza essere scettico, non s’accontenta delle verità acquisite, delle formule sempliciste, un anarchismo idealista ed insieme realista, un anarchismo, insomma, che innesta verità nuove al tronco delle sue verità fondamentali, sapendo potare i suoi vecchi rami.
Non opera di facile demolizione, di nullismo ipercritico, ma rinnovamento che arricchisce il patrimonio originale e gli aggiunge forze e bellezze nuove. E quest’opera la dobbiamo fare ora, poiché domani dovremo riprendere la lotta, che mal si concilia con pensiero, specie per noi che non possiamo mai ritirarci sotto la tenda quando infuria la battaglia.