Biografia di Pier Paolo Pasolini: vita, opere e impegno del poeta

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Io So 

lo so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). 

lo so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. 

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e dị Bologna dei primi mesi del 1974. […]  

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 8, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”. […]  

Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.  

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare |’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere… 

L’ultimo degli intellettuali 

Pier Paolo Pasolini viene definito l’ultimo degli intellettuali. Una figura emblematica, pragmatica, dal temperamento impavido e ardimentoso. Un uomo dalla forte personalità, a guardare la sua superficie dà l’idea di un mare calmo, o di un lago in un giorno di acquerugiola: acqua cheta che nasconde un abisso di emozioni, sentimenti vissuti con una ferocia implacabile, indomabile e che gli consumava l’anima. Un antifascista che non risparmiava i comunisti, che definiva “uomini vuoti”, uno scrittore che con un tocco raffinato faceva di semplici parole poesia e di scene di gente comune, film di successo. Un “ateo cristiano”, un regista eclettico, uno sceneggiatore poliedrico, un attore e drammaturgo multiforme.

L’Italia, il mondo, in quel lontano 1975, ha perso un mito, un eroe, il dio dell’Olimpo. Forse quest’ultimo appellativo avrebbe fatto sorridere lo scrittore, sì, lo scrittore, perché Pierpaolo, era solito presentarsi ai più sotto questa veste. Un uomo scomodo, assolutamente anticonformista, che non aveva nulla di normale, perché “Normale” definito dallo psicologo Zimbardo è un: “Aggettivo denso di pregiudizi”. Un marxista Gramsciano, amante dei sobborghi romani, delle periferie, dei “Ragazzi di vita”, un intellettuale estimatore di Arthur Rimbaud, il “poeta maledetto”. Un figlio con un legame profondo e viscerale con la madre, un fratello, quello che combatte con la penna, non con le armi, un amante che si muove al limite del profano, un amico generoso, un individuo libero che rappresenta appieno il significato letterale della libertà, anche se questo vuol dire “morire per gli idee”.  

Le origini e la famiglia

Pier Paolo Pasolini è nato a Bologna il 5 marzo 1922. Il padre discendeva da un nobile della Romagna, la madre da una famiglia di contadini friulani che con il tempo si sono innalzati a famiglia piccolo-borghese. Il nonno Argobasto discendeva da un ramo minore dei conti Pasolini Dall’Onda.  

Il padre Carlo Alberto e la mamma Susanna Colussi si sono conosciuti allo scoppio della grande guerra e si sono sposati a Casarsa (nel libro di Marco Trevisan: “Pasolini L’uomo che conosceva il futuro”, con la “voce narrante” di Pasolini, il quale spiega da linguista qual era il significato di Casarsa: prende il nome dall’espressione “case arse”) il 22 dicembre 1921. La madre era una maestra, il padre un ufficiale di fanteria.  

Il rapporto con i genitori

Dapprima Pasolini ha un ottimo rapporto con il padre che poi però diventerà tirannico e autoritario, un fascista che lo ha chiamato Pier Paolo come il fratello poeta (zio di Pier Paolo) morto in mare. Per questo suo padre lo invoglia a scrivere, pensando a una poesia alla Carducci e D’Annunzio, non tenendo conto che la poesia è la forma più libera di libertà di espressione e sotto ogni punto di vista. Pasolini si lega indissolubilmente alla madre, come lui stesso afferma: «Potrei dire di aver vissuto in simbiosi con mia madre. […] Affondo la guancia nella sua povera pelliccia che essa indossa: in quella pelliccia sento il profumo della primavera, un miscuglio di gelo e di tepore, di fango odoroso di fiori inodori, di casa e di campagna. Questo odore della povera pelliccia di mia madre è l’odore della mia vita». La madre è antifascista – pensava che Mussolini era una “culatta” cioè “chiappe grosse”. Susanna ha una visione del mondo idealistica e idealizzata è lei a mostrargli la poesia, gli legge le storie, le favole, crescendo con dei valori solidi e di un certo spessore. Dalla madre ha ereditato la generosità, l’eroismo, la pietà.  

I primi anni di vita

All’asilo si poteva definire un bambino deciso, categorico, ingenuo, credulone, di facili entusiasmi e capriccioso, come lui stesso afferma. Ha un fratello più piccolo di tre anni di nome Guido che si unirà ai partigiani.  

Nella vita di Pier Paolo Pasolini c’è anche sua nonna Giulia per la quale ha avuto un grande amore. 

Insieme alla famiglia si sposta molto, affermando di «Sentirsi un nomade».  

Gli anni a Bologna

Gli anni a Bologna li definisce i più belli, è qui che si appassionerà a Salgari, Macbeth e dove smetterà di credere in Dio. Qui ha all’incirca 14 anni e il suo interesse per il cristianesimo si riaccenderà dopo la guerra. 

La guerra e la chiamata alle armi

A Casarsa sul finire del 1942 insieme alla famiglia aspetterà la fine della guerra. Nel 1943 alla fine dell’armistizio ricevette la lettera della chiamata alle armi. Dovette recarsi a Pisa per arruolarsi, frequentò il corso di allievi ufficiali conseguendo il il grado di caporal maggiore. L’8 settembre a Livorno fu fatto prigioniero dai tedeschi. Disobbedendo e approfittando di una rappresaglia insieme a un commilitone si buttò in un fosso, attenendo il momento migliore per darsi alla macchia e sfuggendo così alla deportazione. Travestito da contadino tornò a Casarsa e lì con il cugino Nico iniziò la sua avventura con la poesia, fondando “L’Academiuta di lenga furlana”.  

La laurea e il dopoguerra

Pier Paolo Pasolini si laurea a Bologna con 110 e lode con il professor Carlo Calcaterra come relatore e una tesi su Pascoli.  

Così racconta come ha vissuto con la seconda guerra mondiale dopo essere scampato alla deportazione: 

«Una sera una bomba esplose a pochi metri dal casolare, schegge e frammenti di un albero del giardino colpito entrarono in camera nostra attraverso la finestra. Altrettanto frequenti erano i rastrellamenti dei fascisti che cercavano reclute per l’arruolamento forzato nel nuovo esercito della Repubblica dei Salò. Cominciavano a formarsi i primi gruppi dei partigiani. Io cercavo di tenermi distante da tutto questo, ficcando la testa nei libri, nei miei studi. […] Siccome avevo disertato, vivevo nel terrore di essere catturato e impiccato con un gancio da macellaio, come erano soliti fare i fascisti». 

L’insegnamento e l’impegno politico

Dopo i rastrellamenti dei tedeschi, da Casarsa Pasolini e la madre si trasferiscono a Versuta, in un casolare dove insieme alla madre insegna ai ragazzi e ai bambini che a causa della guerra non possono raggiungere la scuola a Casarsa che tra l’altro era stata bombardata. La madre insegnava ai bambini della scuola primaria, Pier Paolo Pasolini a quelli della secondaria come si direbbe oggi, o come si chiamavano allora e fino a qualche tempo fa, le elementari e le medie.  

La perdita del fratello Guido

Il 7 febbraio 1945 viene ucciso il fratello Guido insieme ad altri sedici partigiani della brigata Osoppo a Porzûs in Friuli, l’eccidio venne commesso da una milizia di partigiani comunisti. È l’evento più traumatico della vita di Pasolini.  

I primi successi letterari

Nel 1946 Montale scelse due delle sue poesie e vennero pubblicate nella rivista fiorentina “Il Mondo”. Nello stesso anno Pasolini lavorerà a un romanzo autobiografico che resterà incompiuto e che dapprima chiamerà “Quaderni rossi” poi “Il romanzo di Narciso” dove racconta liberamente le sue esperienze omosessuali.  

Nel 1947 vinse a Venezia il Premio Angelo per poesie in friulano e veneto.  

L’adesione al Partito Comunista

Nello stesso anno si iscrive al Pci di San Giovanni di Casarsa, prendendo le distanze dalla democrazia, nonostante i compagni avessero ucciso suo fratello e spiegò così le sue ragioni:  

«Avevo deciso di aderire al Partito Comunista per tanti ragioni, la principale delle quali la spiegai così, in uno dei miei tanti articoli dell’epoca, apparso il 26 gennaio 1947 sul quotidiano di Udine “Libertà” “Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornite una nuova cultura “vera”, una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell’esistenza […] Mi gettai a capofitto nella lettura di Marx e di Gramsci. Più Gramsci che di Marx, a dire il vero. Ero giunto alla conclusione che “l’altro è sempre infinitamente meno importante dell’io ma sono gli altri che fanno la storia». 

La carriera di insegnante e la militanza politica

Nel 1947 insegna lettere a Valvasone. Diventa segretario di una piccola sezione locale del Pci. Prendendo parte a una manifestazione che prevedeva il risarcimento dei danni ai mezzadri per i danni della guerra, prende forma l’idea di un romanzo sul mondo in rivolta, sullo sfruttamento dei contadini da parte dei proprietari terrieri, sulle lotte sociali dei braccianti, sull’amore per gli umili. Il romanzo in questione si concretizzò più tardi e venne pubblicato nel 1962: “Il sogno di una cosa”.  

La denuncia e l’espulsione dal partito

Ad agosto del 1949 venne denunciato per atti osceni e corruzione di minorenni. L’avvocato lo fece scagionare dall’accusa di corruzione di minorenni, rimase in in piedi l’imputazione per atti osceni. Pasolini non si sottrasse né mentì, piuttosto fornì la sua versione dei fatti e fu condannato a tre mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali. La pena fu condonata e in processo d’appello fu assolto. Tuttavia il Pci di Udine decise di espellere Pasolini dal partito e fu sospeso dall’insegnamento.  

La fuga a Roma

Il 28 gennaio 1950 prepara in segreto con la madre la fuga a Roma:  

“La mia vita futura non sarà certo quella di un professore universitario: ormai su di me c’è il segno di Rimbaud, o di Campana anche di Wilde,  ch'io lo voglia o no, che gli altri lo accettino o no.  È una cosa scomoda, urtante inammissibile, ma è così: e io, come te, non mi rassegno. Io ho sofferto il soffribile, non ho mai accettato il mio peccato, non sono mai venuto a patti con la mia natura e non mi ci sono neanche mai abituato; la mia omosessualità in era più, era fuori, non c’entrava con me.  Me la sono sempre vista accanto come un nemico, non me la sono mai sentita dentro. Solo in quest’ultimo anno mi sono lasciato un po’ andare”. 

Roma: la nascita del mito 

La prima abitazione di Pasolini a Roma fu nel ghetto ebraico nei pressi del Tevere. I primi sei mesi a Roma Pasolini li passa “a zonzo” essendo disoccupato e scoprendo una Roma piena di “Ragazzi di vita”. La madre fa la domestica in una famiglia di architetti. Un po’ di sostentamento arriva dallo zio Gino a cui Pasolini è molto legato e che definisce una persona “dolce” nella quale si rivede.  

Per cercare di sbarcare il lunario Pier Paolo si iscrisse al sindacato comparse di Cinecittà dove correggeva bozze e occasionalmente di prestava a vendere libri usati. Grazie a un amico ottenne un posto a una scuola secondaria privata a Ciampino. Questo lavoro gli permise di trasferirsi dapprima in Monteverde Nuovo, poi a Monteverde Vecchio, in abitazioni più dignitose. 

Pasolini non si perde mai d’animo, la poesia è la sua forza: 

“Tutto poteva nella poesia avere una soluzione. 
ma pareva che l’Italia, la sua descrizione e il suo destino, 
dipendesse da quello che io scrivevo,  
in quei versi intrisi di realtà immediata,  
non più nostalgica, quasi l’avessi guadagnata col mio sudore”. 

Ma è il giornalismo che lo fa uscire dalla povertà. Piazza diversi articoli a “Il Quotidiano”, altri a giornali di destra come “Il popolo di Roma” e “La libertà d’Italia”. Nel frattempo diventa amico di Sandro Penna, attorniato sempre da ragazzi.  

Scrive “Ferrobedò” un racconto che poi si sarebbe trasformato in uno dei suoi romanzi più famosi: “Ragazzi di vita”.  

La corrente Letteraria a cui appartiene Pasolini  

La corrente letteraria a cui appartiene Pasolini è il Neorealismo. Un movimento di un certo spessore, di cui fa parte anche Calvino, Rossellini, De Sica, Primo Levi, Moravia, Elsa Morante, per citarne alcuni e di altri letterati e linguisti. Il neorealismo ha come attore principale la quotidianità dell’essere umano intriso di vizi e virtù,  lo scenario, il palcoscenico è l’ambiente in cui vive.  

Le opere di Pasolini: tutti i libri

L’opera di esordio dello scrittore è “Poesie a Casarsa”; “Ragazzi di vita” – romanzo scritto in dialetto romano –, un’altra opera molto importante dello scrittore è: “Le ceneri di Gramsci”. 

Tuttavia vanta diverse opere, ognuna unica a modo suo, come “Il sogno di una cosa” e “L’odore dell’India” – un libro ispirato al viaggio in India intrapreso con Moravia ed Elsa Morante, dove racconta le emozioni, le sensazioni vissute.  

“Petrolio” è la sua opera incompiuta e pubblicata postuma nel 1992 da Einaudi.  

In “Lettere Luterane” sono racchiusi articoli e interventi di Pasolini del 1975, scritti fino a poco prima della sua morte. Qui si preoccupa della “mutazione antropologica” del paese, criticando il consumismo, la televisione, lo Stato, le istituzioni, la chiesa, la classe dirigente,  insomma, non risparmiando nessuno. Scrive una lettera molto dura a Italo Calvino, ormai un Pasolini stanco, un reduce, un sopravvissuto alle ingiustizie di un mondo fatto da ingiusti, un uomo abusato dalla prepotenza, dall’ipocrisia, da un Italietta  piccolo borghese, gretta e prettamente fascista:  

“Lascia che ti dica che non è cattolico, invece, chi parla e tenta di dare spiegazioni magari dal vivo, è circondato dal più profondo silenzio. Non  sono stato capace di starmene zitto, come non sei capace di startene zitto tu ora. “Bisogna aver molto parlato per poter tacere” (è uno storico cinese che, stupendamente lo dice). Dunque parla, una buona volta. Perché? Tu non hai steso un “cahier de doléances” in cui sono stati allineati fatti e fenomeni a cui non dai spiegazione, come farebbe Lietta Tornabuoni o un giornalista sia pur indignato della tv. Perché? Eppure io ho anche da ridire sul tuo “cahier” al di fuori della mancanza dei perché. Ho da ridire sul fatto che tu crei dei capri espiatori,  che sono: “parte della borghesia”, “Roma”, i “neofascisti”. Risulta evidente da ciò che tu ti appoggi a certezze che valevano anche prima. Le certezze (come ti dicevo in un’altra lettera), che ci hanno confortato e anche gratificato in un contesto clerico-fascista. Le certezze laiche, razionali, democratiche, progressiste. Così come sono esse non valgono più. Il divenire storico è divenuto, e quelle certezze sono rimaste com’erano”. 

Un uomo che però non si rassegnava e combatteva e sfidava con la penna e la cinepresa quel potere lurido che tanto detestava.  

Alfonso Berardinelli scrive così nella prefazione di “Scritti corsari: 

“L’invisibile rivoluzione conformistica di cui Pasolini parlava con tanto accanimento e sofferenza dal 1973 al 1975 non era affatto un fenomeno visibile. Chi ricorda anche vagamente le polemiche giornalistiche di allora, a rileggere questi “Scritti corsari” può restare sbalordito”. Il fatto è che per Pasolini i concetti sociologici e politici diventano evidenze fisiche, miti e storie della fine del mondo”. Finalmente, così, Pasolini trovava il modo di esprimere, di rappresentare e drammatizzare teoricamente e politicamente le sue angosce… di parlare in pubblico del destino del presente e futuro della società italiana, della sua classe dirigente, della fine irreversibile e violenta di una storia scolare”.  

Nel 1968 curava la rubrica “Il caos”, dove con ampia libertà parlava di politica, società, cultura, letteratura e molto altro. In un intervento denuncia “il fascismo di sinistra”:  

“Lo so, la coscienza dei propri diritti può diventare aggressiva e terroristica. Quanti cattolici, diventando comunisti,  portano con sé la Fede e la Speranza, e trascurano, senza neanche rendersene conto, la Carità. È così che nasce il fascismo di sinistra”. Il testo edito dalla Garzanti, con prefazione di Roberto Saviano, ha una nota dell’editore riguardo la chiusura della rubrica “Il caos” con le motivazioni di Pasolini: “Era diventata inpubblicabile  una nota mia osservazione riguardante uomini influenti…”. La rubrica veniva scritta fine  anni ’70, anni noti per lotte studentesche, sui diritti civili.  

Film realizzati da Pasolini  

Il primo film di Pasolini è “Accattone”. Gli attori di Pasolini oltre a quelli famosi erano soprattuto gente di strada, per dare veridicità, unicità alla pellicola. Il reale su un palcoscenico, fatto di un ambiente ancor più reale.  

Sono molti i film con grande spessore girati da Pasolini: “Accattone”, “Mamma Roma” “Il vangelo secondo Matteo” girato in una Matera unica, un Cristo straordinario in terra lucana. “Uccellacci e uccellini” che vede come protagonista un Totò – Antonio De Curtis – e Ninetto Davoli, una pellicola allegorica, un film intriso di metafore che mette in scena quello che è la situazione umana e che non avrà mai modo di cambiare, un po’ come scriveva Verga: l’impossibilità dell’essere di elevarsi dalla propria condizione sociale ed economica. Il suo ultimo film “Salò o le centoventi giornate di Sodoma” (girato nel 1975 e ispirato a un romanzo del Marchese de Sade), verrà giudicato in maniera aspra dalla critica e dal popolo, la gente dell’epoca non era pronta per le scene a contenuto fortemente sadomasochistico. 

Il Decameron invece è un film del 1971 tratto dal Decameron l’omonima opera di Boccaccio di cui ricordiamo i valori: l’amore e la fortuna, ingegno, la generosità, la cortesia.  

Il Decameron è il primo episodio della “Trilogia della vita, seguita da “I racconti di Canterbury “Il fiore delle Mille e una notte”. Anche qui non mancarono i problemi con la censura, che vide Pasolini ancora protagonista di un processo dal quale ne uscì non colpevole. Il film ebbe un successo strepitoso non solo in Italia ma anche in Europa, al festival di Berlino vinse l’Orso d’argento.  

Le donne di Pasolini: Maria Callas e Oriana Fallaci  

Medea, la Callas e Pasolini 

“Medea” è un film basato sull’omonima tragedia di Euripide, che vede come protagonista Maria Callas. Fu girato in Cappadocia (Turchia), Aleppo (Siria), a Pisa, a Grado. Le musiche furono quelle sacre giapponesi, canti d’amore iraniani, dietro consulenza di Elsa Morante. Il film fu accolto dalla critica in maniera positiva.  

La Callas, quando fu scelta da Pasolini, era in crisi e il matrimonio con Onassis finito. Così Pasolini giustifica la scelta della Callas come attrice per il suo film:  

“Per quella barbarie che è sprofondata in lei, che vien fuori dai suoi occhi, nei suoi lineamenti, ma non si manifesta direttamente, anzi la superficie è quasi levigata, insomma dieci anni passati a Corinto, sarebbero un po’ la vita della Callas. Lei viene fuori dal mondo contadino, greco, agrario, e poi si è educata a una società borghese. Quindi in un certo senso ho cercato di concentrare nel suo personaggio quello che è lei, nella sua totalità più complessa”. 

Pasolini trattò con molto riguardo la Callas, secondo Oriana Fallaci, Pier Paolo assecondava ogni suo capriccio, i capricci di una donna sofferente, tradita dall’amore, che portava con sé tutto quel dolore tragico di una donna pazza di amore. Ancora oggi si vocifera dell’amore che travolse Pasolini e la Callas, ovviamente un mito, in quanto Pier Paolo non amava i corpi femminili e all’epoca anche lui era sofferente per il suo grande amore. 

Pier Paolo Pasolini, Oriana Fallaci e “Lettera a un bambino mai nato”  

Oriana Fallaci è una delle donne più apprezzate del panorama giornalistico. Una donna che denunciava una società maschilista, una grande penna che ha dato voce alla guerra, fu infatti la prima corrispondente donna della guerra in Vietnam. I suoi scritti, composti da una spiazzante schiettezza, spesso come quelli di Pasolini, risultavano scomodi. Una Fallaci che non si è arresa alle conclusioni sconclusionate sul decesso di Pasolini e da brava giornalista qual era, fa una controinchiesta dell’Europeo – giornale per il quale scrive – che smentisce la ricostruzione dell’omicidio di Pasolini e tutte le sue incongruenze.  

L’amore provato dalla Fallaci per Pasolini era ovviamente inquieto, travagliato in in quanto come per la Callas, Pasolini non prova amore alcuno, almeno non l’amore passionale, inteso come un uomo può provare verso una donna, e così afferma la stessa Fallaci: “Diventammo subito amici, noi amici impossibili. Cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà […] E io mi sentivo quasi imbarazzata a provare quel misterioso trasporto per te. Pensavo: in fondo è lo stesso che sentirsi attratta da una donna”.  

Nel viaggio a New York, la Fallaci racconta in uno scritto: “Un marxista a New York”, dove scorge un uomo immerso in una fragilità colma di tristezza, disperazione, amarezza. Un Pasolini che fantastica su un opera con attore protagonista San Paolo e come ambiente, scenario, una New York immersa nella miseria, una città che ha una mescolanza di razze dove non esiste né l’operaio né la classe operaia. Qui incontra un sindacalista che lo porta da un operaio nero, invalidato dalla sua caduta durante il lavoro dal quarantaseiesimo al quanrantaduesimo piano.  

Qui, in questo viaggio la Fallaci teme per Pasolini, che la sera, dopo cena, si immerge nella vita dei quartieri malfamati, proprio come nelle sue periferie romane.  

Ha un profondo rammarico la Fallaci. Il giudizio che Pier Paolo Pasolini dà al suo libro “Lettera bambino mai nato”, solo un mese prima della morte del poeta:  

“Da qualche parte, Pier Paolo, mischiata a fogli e giornali e appunti, devo avere la lettera che mi scrivesti un mese fa. Quella lettera crudele, spietata, dove mi picchiavi con la stessa violenza con cui ti hanno ammazzato. Me la sono portata dietro per due o tre settimane, le ho fatto fare il giro di mezzo mondo fino a New York, poi l’ho messa non so dove e mi chiedo se un giorno la ritroverò. Spero di no. Vederla di nuovo mi farebbe male quanto me ne fece quando la lessi e rimasi intirizzita a fissar le parole, sperando di poterle dimenticare. Non le ho dimenticate, invece. Posso quasi ricostruirle a memoria. Più o meno, così: “Ho ricevuto il tuo ultimo libro. Ti odio per averlo scritto. Non sono andato oltre la seconda pagina. Non voglio leggerlo, mai. Non voglio sapere cosa v’è dentro la pancia di una donna. Mi disgusta la maternità. Perdonami, ma quel disgusto io me lo porto dietro fin da bambino, quando avevo tre anni mi sembra, o forse erano sei, e udii mia madre sussurrare che…”. Non ti risposi. Cosa si risponde a un uomo che piange la sua disperazione di trovarsi uomo, il suo dolore d’essere nato da un ventre di donna?  
L’amore maledetto di Pasolini, morire per le idee (Roberto Carnero) 

Dopo gli scandali della gioventù dopo i quali è dovuto “fuggire” a Roma, finisce l’epoca di Wilde, Rimbaud, e cambia completamente l’interpretazione della condizione di omosessuale.  

“Quanto all’interpretazione delle origini e delle radici della condizione omosessuale, Pasolini sembra essere legato alla visione freudiana, come espressa nei “Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905)  e in altri scritti successivi, in cui il padre della psicanalisi si riferisce all'omosessualità con il termine “inversione” (che guarda caso viene usato anche da Pasolini, benché vada osservato che si trattava in quegli anni di un vocabolo comunemente usato in tale accezione, senza una connotazione negativa o discriminatoria). Per Freud la pscicogenesi dell’orientamento omosessuale di un soggetto va ricercata nell’infanzia, e più precisamente nell’impossibilità del bambino di identificarsi con il genitore dello stesso sesso. 

L’omosessuale cercherebbe nel partner un altro se stesso che gli restituisca la propria immagine e lo rassicuri sulla propria identità. Per Freud, all’impossibilità di identificarsi con il genitore dello stesso sesso si accompagnano l’attaccamento al genitore di sesso opposto, la lotta contro il complesso di castrazione, il narcisismo che impedisce di superare la situazione problematica. In uno scritto del 1961, Pasolini è molto lucido nel denunciare l’atteggiamento improntato a vero e proprio razzismo con cui la stampa trattava spesso gli omosessuali: “La ‘pretestuosità’ di cui sono vittime nella stampa gli omosessuali è precisamente di tipo razzista: e un esame linguistico operato sulla comparazione di articoli giornalistici scritti contro i neri, gli ebrei, i Teddy Boys (del resto a loro volta razzista) e gli omosessuali, mi darebbe ragione”. Ma – come accennavamo – la concezione “L’inversione è il prodotto di un ‘complesso’ psicologico che può colpire qualsiasi individuo, nella prima infanzia, a qualsiasi classe sociale o a  qualsiasi ambiente egli appartenga.

Lontano dalla cultura della cosiddetta rivoluzione sessuale e del movimento di liberazione gay  (la prima accezione il “Fuori!”,  era nata a Torino nel 1971 su iniziativa del libraio Angelo Pezzana e di altri attivisti), Pasolini identificava nell’omosessualità il più alto grado di diversità possibile, radicale e indicibile, il riassunto di tutte le diversità. Per una rappresentazione letteraria esplicita, diretta, ma soprattutto positiva della condizione della vita omosessuale (pur senza che ne venissero negati i risvolti problematici nella società di allora),  in Italia bisognerà aspettare gli anni ‘80 con scrittori come Pier Vittorio Tondelli e Aldo Busi”. (R. Carnero, «a cura » 2022, Pasolini, Morire per le idee, Edizioni Bompiani). 

Nel periodo in cui girava “Medea”, Pier Paolo Pasolini era corroso dall’amore, che come diceva Freud “L’amore è il passo più vicino alla psicosi”, per Ninetto Davoli.  

Così Ninetto Davoli in un’intervista descrive Pasolini: 

Pier Paolo era una persona di una gentilezza, dolcezza e generosità uniche. Non è morto ricco perché dava molto, condivideva tutto con gli altri. Sul set aveva un’enorme pazienza con gli attori. La gentilezza che aveva nella vita la usava anche quando lavorava. Non era che so, come Fellini, che guardava il pelo nell’uovo. Pier Paolo era molto calmo, spiegava con semplicità senza fare l’intellettuale.  

Pasolini e il calcio  

È noto l’interesse di Pasolini per il calcio, tifoso del Bologna e lui stesso giocatore a livello dilettantistico in giovane età, nominato capitano della squadra di calcio della facoltà di lettere. Ha sempre indagato con grande curiosità tra le pieghe del mondo dello sport in questo video racconteremo il calcio: 

Giornalista: “Lei non beve, non fuma, mangia poco, potrebbe fare delle corse da maratoneta. Che hobby ha fuori dal suo lavoro? 

Pasolini: Il pallone, il gioco del pallone. 

Giornalista: Lei ha detto anzi che il gioco del football è l’ultima rappresentazione sacra. 

Pasolini: Eh sì tutti l’ho detto così un po’ metaforicamente, va presa con prudenza questa mia affermazione, sa perché l’ho detta? Mentre per esempio la televisione è un mezzo meccanico di diffusione, io in questo momento sono un’immagine in uno schermo, mentre il pallone è una rappresentazione dove coloro che danno la rappresentazione, i suoi giocatori sono in carne ed ossa di fronte ad altri spettatori in carne ed ossa, quindi un rapporto da singolo a singolo fisico, anche reale e materiale com’era il teatro, il teatro ha avuto i suoi grandi momenti, purtroppo non si muove più, adesso purtroppo non riesce a essere più.  

E poi ancora in un’intervista: 

“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la Messa, sono in declino. Il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro. Cos’è il calcio se non un linguaggio universale? E come tutti i linguaggi ha i suoi poeti suoi prosatori”.  

Pasolini in un’intervista affermò che se non avesse fatto lo scrittore, avrebbe provato a fare il calciatore professionista. Il fisico atletico glielo avrebbe di certo permesso. Si definiva nel gergo calcistico, una classica mezzala, un giocatore al servizio della squadra.  

E parlava ancora così, Pasolini, in queste parole si capiscono le preferenze che aveva: 

“Ebbene anche per la lingua del calcio si possono fare le distinzioni del genere: anche  il calcio possiede dei sottocodici, un calcio che rappresenta un linguaggio fondamentalmente prosaico e un altro che ne rappresenta uno poetico, per spiegarmi darò alcuni esempi: Bulgarelli gioca un calcio in prosa egli è un prosatore realista, Riva gioca un calcio in poesia egli è un poeta realista. Corso gioco un calcio in poesia ma non è un poeta realista, è più stravagante. Rivera  gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica da elzeviro. Anche Mazzola è un elzevirista, che potrebbe scrivere sul Corriere della Sera, ma è più poeta di Rivera, ogni tanto interrompe la prosa e inventa lì per lì dei versi folgoranti. Si noti che tra la prosa e la poesia non faccio alcuna distinzione di valore: la mia è una distinzione puramente tecnica. 

Perché Pasolini è così importante? 

È un uomo che non aveva paura di scrivere e dire quello che pensava, basandosi sull’osservazione. Non risparmiava nessuno, uno scomodo antifascista, capace di criticare i comunisti, un anticonformista che con i suoi film raccontava la realtà popolare, denunciando le ipocrisie e le ingiustizie. Un uomo che difendeva i deboli, di qualsiasi parte loro fossero, non facendo distinzione di genere o di classe. Un uomo che amava la Roma dei sobborghi, quella sporca e fangosa ai limiti di una società borderline, fatta di delinquenti e malviventi, di ragazzi di strada, di borgata, che mangiavano la vita a morsi e che avrebbero mangiato anche lui pezzo per pezzo. 

Quanti processi ha subito Pasolini? 

In tutto i processi che ha subito Pasolini nel corso del tempo, sono 33. Perché? Partendo dal primo, atti osceni in luogo pubblico e corruzioni di minori, sequestri delle sue opere, rapina a mano armata in un benzinaio, tutte con assoluzioni in primo grado o in appello. Tuttavia, la risposta più semplice ma non banale sta nel fatto che la maggior parte della magistratura era di formazione fascista. Pasolini, un Intellettuale, un Comunista e Omosessuale, quali colpe maggiori di queste?  

Che cosa denunciava Pasolini? 

Un uomo che “denunciava” i potenti, la classe dirigente, la sua penna non risparmiava nessuno. Le sue accuse erano rivolte a una società piccolo borghese, la società dei consumi, ai potenti, ai fascisti, ai comunisti. Le sue opere di grande spessore hanno lasciato un segno indelebile nel panorama culturale nazionale e internazionale.  

La morte di un mito  

L’assassinio di Pier Paolo Pasolini è avvenuto il 2 novembre 1975, all’idroscalo di Ostia. La ricostruzione dell’omicidio non ha mai convito né ora, né allora, che vedeva come unico sicario un giovane Pelosi. Un assassinio involontario per così dire, perché dopo averlo pestato, è stato investito “non intenzionalmente” dallo stesso carnefice, con l’auto della vittima. L’Alfa che ha investito Pasolini durante la fuga dell’omicida, gli ha schiacciato il torace rompendogli il cuore. Oriana Fallaci è la prima a non credere a questa versione dei fatti e lancia una controinchiesta dell’“Europeo” (giornale per cui lavorava), smentendo la ricostruzione dell’omicidio. Quella della Fallaci diventerà poi la ricostruzione più plausibile dell’omicidio del più grande intellettuale di tutti i tempi. La Fallaci individua almeno altri due assalitori, due motociclisti, focalizza l’attenzione su un anello ritrovato vicino al corpo di Pasolini e su tutte le incongruenze della versione dei fatti di Pelosi. Pasolini è stato picchiato selvaggiamente, lo scontro non è avvenuto con un singolo individuo, un fisico atletico e allenato come quello dello scrittore, si sarebbe potuto ben difendere da un unico assalitore, perlopiù giovane come lo era Pelosi. Pelosi in quanto minorenne vuole proteggere gli altri (maggiorenni) poiché la pena scontata a un minorenne è quasi assicurata. La Fallaci viene accusata duramente dalla magistratura, perseguitata dalla polizia poiché non vuole rivelare  –  e non lo farà mai – la fonte da cui ha ottenuto informazioni preziose sull’uccisione di Pasolini e riportate  sull’articolo: “Ucciso da due motociclisti?”  

La Fallaci riscontra ben sei errori gravissimi che le autorità fanno durante gli accertamenti del caso: 

  1. Non aver protetto la scena del crimine 
  1. Non aver mappato con precisione i ritrovamenti 
  1. Non aver custodito con cura la macchina di Pasolini, consegnata ben quattro giorni dopo il ritrovamento del cadavere alla scientifica e quindi esposta a tutti gli agenti inquinanti 
  1. Arrivare il giorno dopo sul luogo del delitto 
  1. Non aver interrogato gli abitanti del posto 
  1. Non aver mai convocato sul posto il medico legale 

Banalmente, la morte di Pasolini vuole essere assegnata a un delitto di sfondo sessuale, o meglio, omosessuale. Tuttavia i dubbi atroci di chi sia stato – o siano stati – i veri mandanti, rimane. Che dovesse essere solo una spedizione punitiva contro lo scrittore che poi si sia trasformata in massacro? O più semplicemente l’uomo scomodo doveva essere eliminato, “Lì dove la morte è banale” come avrebbe detto Hannah Arendt?  

C’è poi, la versione di un testimone che non si esporrà, poiché si trovava in una situazione amorosa con l’amante, che tale deve rimanere e lontano dagli occhi della moglie. Questa versione non convince nessuno. Il testimone ha paura della moglie? O del mondo della droga? O di chi? Della politica? Di certo per la Fallaci e per chi era vicino a Pasolini l’unica verità è che i potenti volevano eliminare l’uomo scomodo, farlo morire due volte: fisicamente e moralmente.  

E poi l’affermazione di Ninetto Davoli: “Pier Paolo non improvvisava i suoi appuntamenti, li prendeva in anticipo due o tre giorni prima.” Dunque non regge nemmeno la storia dell’uscita improvvisata con Pelosi.  

“La parola impegno ha ormai una storia molto lunga. Prima di riassumerla, vorrei però dire che c’è anche un momento elementare e immutabile in questo significato, che consiste nella partecipazione dello scrittore alla lotta operaia. I modi di questa lotta sono molti, dalla guerra armata al dibattito  pacifico e quotidiano: non c’è un mondo più giusto dell’altro: e  molte volte possono coesistere. Basta che non sia persa di vista la finalità. In tal senso l’impegno non potrà mai mettere in forse, come tu dici, la libertà dell’artista, perché la partecipazione alla lotta è una libera scelta e fa parte della cultura dell’artista: è cioè lui stesso. Non ci sono mai comparti stagni in un uomo.  È  l’ideologo ortodosso di un partito di genere staliniano che può mancare di umanità, e quindi può scindere l’umanità altrui. 
Nella sua follia moralistica il politico dogmatico potrà porre alcune regole che vorrà vedere sempre amplificate e con l’alibi del finalismo. In realtà le confusioni sulla parola impegno sono state tipiche del periodo stalinista e sono dovute a una sorta di mostruoso moralismo di partito, di cui ancora molti comunisti soffrono le conseguenze: la tendenza a un certo conformismo tematico è troppo pronto allo scandalo di fronte alle “deviazioni” degli artisti. In realtà a un’artista va lasciato il diritto all’errore almeno in quanto contraddizione o ipotesi precoce o ritardata. Egli non deve tacere nulla, perché in un’artista il peccato più grande è l’omissione - essendo la sua funzione esprimere,  e dunque esprimere tutto. […] (Pasolini, Le belle bandiere, Edizioni Garzanti) 

Fonti  

  • “Pasolini, L’uomo che conosceva il futuro”, Marco Trevisan 
  • “Pasolini, Morire per le idee” Roberto Carnero 
  • “Pasolini, Un uomo scomodo”, Oriana Fallaci 
  • “Lettere Luterane”, Garzanti 
  • “Scritti corsari”, Garzanti  
  • “Il caos” Garzanti 
  • “Pasolini, Le belle Bandiere, Garzanti 
  • Pasolini e il calcio, Youtube “Football Mystery”

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Dott.ssa in Discipline Psicosociali. Illustratrice, autrice di libri per bambini e fantasy, racconti, poesie, romanzi. Finalista 2017 del concorso Fiction e Comics, de Ilmiolibro, Gruppo Editoriale l’Espresso con il libro “C’Era Una Volta”. Libri pubblicati sullo stesso sito, Desideri Cristina ilmiolibro.it. Vincitrice del Secondo premio Internazionale di Poesia e Narrativa, Firenze Capitale D’Europa con “La bambola di Giada”. Racconti e favole sono stati inseriti in raccolte antologiche in quanto vincitori di concorsi, quali “Parole d’Italia, Racconti brevi di vecchi e nuovi italiani” indetto dalla Regione Lazio, la favola “Le stelle” selezionata dalla Scuola Holden per DryNites. Vincitrice di svariati concorsi letterari. Ha collaborato con la Montegrappa Edizioni e, per la stessa, ha ideato e curato sette concorsi letterari. Ha illustrato il libro “Sogni e Favole” del romanziere Giuseppe Carlo Delli Santi. Con la Pav Edizioni ha pubblicato il romanzo per la collana psicologica-thriller "La collezionista di vite”. Per la Pav Edizioni e in collaborazione con Gabriella Picerno, psicologa e scrittrice cura le collana 1000 Abbracci. Per la GD Edizioni è co-direttrice (insieme a Gabriella Picerno) della collana pedagogica “Il filo di Arianna”. Cura i concorsi letterari “La Botteguccia delle Favole”, “Lo Zaino Raccontastorie”. Autrice per il blog “Il Mago di Oz”.

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