Cantami, o diva, del campano Umberto Nobile

Umberto Nobile (1885 – 1978), già generale dell’Aeronautica Militare Italiana, è stato un pionere del volo come uno degli ultimi esploratori, nel senso romantico del termine. La sua leggenda rimane legata alla sventurata spedizione del dirigibile Italia che si concluse con il fortunoso salvataggio dei sopravvissuti dell’equipaggio. Eroe moderno, come l’Ulisse di Dante, egli cercò di sopravanzare i limiti dell’uomo, valicando confini che non fossero solo geografici, ma anche umani. Al pari di Pitea di Marsiglia, anch’egli celebrò con la sua vicenda il mito dell’estremo Nord, nel tentativo di raggiungere quello geografico, per dare al mondo il suo definitivo limite di conoscenza.

Una delle personalità più affascinanti ed avvincenti dei primi decenni del Novecento fu sicuramente quella di Umberto Nobile. Insieme al vate, Gabriele D’Annunzio, è da considerarsi un eroe epico contemporaneo, che poco ha da invidiare a quelli cantati da Omero nell’Iliade e nell’Odissea.
Nobile nacque a Lauro, un piccolo comune italiano della provincia di Avellino, il 21 gennaio 1885. Era figlio di Vincenzo Nicolò Francesco Nobile delle Piane, discendente di un ramo cadetto della nobile famiglia Delle Piane e agguerrito avversario dei Savoia, fu infatti sempre fedele ai Borbone, per tale motivo perse il titolo nobiliare.

Umberto dopo aver conseguito la maturità classica nel 1902 presso il liceo Giambattista Vico, si laureò presso l’Università Federico II di Napoli nel 1908 in ingegneria industriale meccanica, con il massimo dei voti. Negli anni la sua passione per il volo crebbe sempre più e nel 1911 venne ammesso al corso di alta formazione in costruzioni aereonautiche presso il battaglione del genio militare di Roma. Durante la Prima guerra mondiale, nel 1915, fu assegnato come ufficiale del Genio, allo stabilimento militare di costruzioni ed esperienze aeronautiche.

In questi stabilimenti, nel 1916, mise subito a frutto tutte le sue conoscenze progettando un nuovo dirigibile per l’esplorazione del mare, denominato O. Nobile, nel biennio 1916-18, oltre al dirigibile, progetto anche tre diversi tipi di paracadute, tra cui uno di tipo collettivo, che consentiva il lancio dell’intero equipaggio di un pallone aerostatico. Nel 1922 progetto assieme all’ingegnere Gianni Caproni, la costruzione del primo aeroplano metallico in Italia, il Ca 73. Dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, tornato in Italia, nel 1923 realizzò il dirigibile N1.

Un anno molto importante per Nobile fu il 1924, quando conobbe l’esploratore norvegese Roald Engelbregt Gravning Amundsen. Quest’ultimo aveva tentato di raggiungere il Polo Nord nel 1925 mediante due idrovolanti, ma l’impresa era fallita miseramente. L’idea del norvegese incontrò la genialità dell’italiano, da tale incontro nacque l’impresa del 1926 mediante il dirigibile Norge. Alle ore 9:30 del 10 aprile 1926 il Dirigibile Norge, comandato da Umberto Nobile, si alzò in volo da Ciampino, lungo il tragitto fece tappa a Pulham, Oslo, Leningrado e Vadsø, giungendo il 7 maggio presso le Isole Svalbard, ove salirono a bordo l’esploratore norvegese Roald Amundsen e colui che aveva sponsorizzato la spedizione, Lincoln Ellsworth.

Il dirigibile riprese il volo l’11 maggio e giunse sopra il Polo Nord il 12 maggio, alle ore 1.30 (Greenwich). Due giorni dopo il dirigibile atterò a Teller, invece che a Nome, per le avverse condizioni atmosferiche. Conclusa l’impresa si accese una fervida faida tra Nobile e Amundsen, su a chi andasse il merito e il credito per la spedizione. In tale temperie, il crescente partito fascista cercò di attribuire la spedizione all’ingegnere italiano, infatti, una volta tornato in Italia Nobile fu promosso da Mussolini a maggior generale del Genio Aeronautico.

Dopo il successo di tale spedizione, l’ingegnere italiano decise di organizzarne un’altra, però questa volta con un equipaggio interamente italiano. Il tutto fu finanziato dalla Reale Società Geografica Italiana con l’aiuto della Regia Aeronautica. L’equipaggio fu selezionato con estrema attenzione tra i membri della Regia Marina Militare, dell’Aeronautica e degli Alpini. La stampa fascista diede moltissimo risalto alla spedizione già dalle primissime fasi. Il dirigibile utilizzato fu un N4, messo a disposizione dalla Regia Aereonautica e per l’occasione rinominato “Italia”.

Il dirigibile decollò da Ciampino il 19 marzo 1928 e fece sosta a Baggio, vicino Milano, da dove ripartì il 15 aprile. Il volo, dopo aver fatto tappa presso la Baia del Re, giunse a Ny-Ålesund. L’esplorazione prevedeva tre ricognizioni aeree con partenza e rientro a Ny-Ålesund. Il primo volo ebbe luogo l’11 maggio, ma si interruppe immediatamente a causa delle avverse condizioni metereologiche. Il volo riprese il 15 maggio, in questa occasione il dirigibile volò ininterrottamente per tre giorni, per un totale di 4000 km. Il terzo volo partì il 23 maggio con 16 persone a bordo. Scopo del terzo volo, che iniziò alle ore 4:28, era quello di raggiungere il Polo Nord, facendo rotta per Capo Bridgman al limite del Mare di Wandel nel Nord-Est della Groenlandia raggiunto alle ore 6:40.

Di seguito si riporta la cronologia del volo estrapolata direttamente dall’opera di Nobile, L’Italia al Polo Nord nella edizione del 1930:

«0:24 (24 maggio): L’Italia raggiunge il polo. Il volo, durato 19 ore e 52 minuti fu tranquillo ed agevolato in questa fase da possenti venti di coda. A causa del tempo in peggioramento non fu però possibile lasciare una squadra sul posto. Il raggiungimento del Polo rappresentò anche un momento di festeggiamenti. Tra gli alalà al generale Nobile furono lanciati sul Polo una bandiera italiana, il gonfalone della città di Milano, la croce lignea donata da papa Pio XI, il medaglione della Madonna del Fuoco di Forlì. Furono inoltrati messaggi radio al Papa, al Re e al Duce, mentre in sottofondo un grammofono suonava “Giovinezza” e “Le Campane di San Giusto”. La croce donata dal Papa era in realtà destinata a essere piantata sul pack, ma nell’impossibilità di fermarsi l’equipaggio la lanciò sui ghiacci.
2:20: Inizia la fase di rientro. I venti di coda, che avevano agevolato l’andata, ora creavano gravi problemi. Nobile calcolò una possibile durata del rientro, stimandola in quaranta ore; l’idea del comandante prevedeva di seguire una rotta attraverso il Polo e di raggiungere la baia di Mackenzie. Il meteorologo della spedizione Finn Malmgren, prevedendo incessanti venti a prua, sconsigliò questa rotta e consigliò di ritornare indietro verso la Baia dei Re. Malmgren era certo di trovare lungo la strada una zona di venti più calmi, ma le sue previsioni erano errate: dopo 24 ore di burrasca a prua e nebbia impenetrabile, l’Italia era ancora a metà del percorso. Strati di ghiaccio iniziarono a formarsi sulle eliche, che sparavano le durissime schegge contro l’involucro. Pur forzando i motori e raddoppiando il consumo di combustibile la velocità rimaneva bassa.
8:15 (25 maggio): Il marconista Biagi invia un messaggio alla nave appoggio: “Vi sento forte. Se tardo ho motivo”. Nobile stimò la posizione dell’aeromobile a 100 miglia dall’isola di Moffin. La sua stima era totalmente sbagliata: l’Italia si trovava a quasi 200 miglia ad est dall’isola.
9:25 (25 maggio): Il timone di quota, appesantito dal ghiaccio, si bloccò in posizione di discesa. L’Italia era fortemente appruato e a soli 250 m dal suolo. A questo punto Nobile fece fermare i motori, e ordinò a Cecioni di filare la catena-zavorra che si trovava a prua. Viglieri, con l’aiuto di Cecioni, sbloccò il timone, l‘aeronave risalì fino ai 1100 metri di quota.
9:55: Nobile ordinò di mettere in marcia il motore di centro e quello di sinistra. L’aeronave venne riportata alla quota di 300 metri, apparentemente senza danni.
10:00: Dalle misurazioni apparve che il vento era diminuito, cosicché non era necessario mettere in marcia il terzo motore. Con la visibilità del sole Mariano e Zappi determinarono le coordinate della posizione del dirigibile, Nobile si propose di trasmetterle via radio successivamente e si impegnò in ulteriori misurazioni.
10:27: il radiotelegrafista Biagi chiese un controllo radiogoniometrico alla nave appoggio la quale eseguì la trasmissione e rimase in attesa (invano) della risposta.
10:30: Cecioni avvertì il pericolo dicendo “siamo pesanti”. La coda della nave si era abbassata improvvisamente di 8 gradi. Nobile ordinò di accelerare i due motori in funzione e di far partire il terzo nell’intento di sostenere dinamicamente l’aeronave, ma la perdita di quota fu inarrestabile. Al fine di ridurne le conseguenze Nobile diede ordine di fermare i motori (per evitare un incendio nell’urto) e di mollare la catena-zavorra. Cecioni non riuscì però a sciogliere o tagliare la cima che tratteneva la catena la quale si impigliò nel ghiaccio sottostante come un’ancora. Biagi lasciò la radio e cercò di recuperare l’antenna per salvarla, nessun S.O.S. fu lanciato.
10:33: Prima la poppa del dirigibile e poi la navicella di comando del dirigibile urtarono la superficie ghiacciata. La navicella si sfasciò nell’impatto sul lato destro, mentre l’involucro del dirigibile resistette. Nello schianto furono sbalzati a terra dieci uomini: Nobile, Mariano, Behounek, Trojani, Viglieri, Pomella, Biagi, Zappi, Malmgren, Cecioni. Tra i superstiti, subirono ferite Nobile, che ebbe fratture a una gamba e a un braccio, Cecioni, che ebbe una gamba fratturata, e Malmgren, che riportò una ferita a una spalla. Pomella, invece, decedette poco dopo per emorragia interna. I restanti sei membri dell’equipaggio rimasero intrappolati nell’involucro del dirigibile, il quale, alleggerito, lentamente riprese quota e scomparve alla vista. I superstiti osservarono dal pack che Arduino guardava atterrito giù dalla passerella del motore di sinistra mentre l’involucro dell’aeronave proseguiva la sua corsa verso est. Con l’impatto della navicella di comando, si era sparso sul pack parte del materiale, tra cui una tenda da campo dove i naufraghi trovarono riparo, la stazione radio campale sulle onde corte costituita da un apparato ricevitore, un apparato trasmittente e dalle batterie necessarie al loro funzionamento, strumenti per la misurazione delle coordinate di posizione e i rifornimenti che erano stati preparati per gli esploratori che si sarebbero dovuti fermare al polo: tutto ciò consentì agli uomini di sopravvivere sui ghiacci fino all’arrivo dei soccorsi».

I sopravvissuti (Nobile, Zappi, Mariano, Viglieri, Biagi, Behounek, Malmgren, Cecioni, Trojani) restarono alla deriva su un enorme blocco di ghiaccio in movimento. Subito venne inviato un S.O.S ma per un errore tecnico non fu captato. Solo il 9 giugno la nave d’appoggio “Città di Milano” riuscì a captare le onde radio dei dispersi, che nel frattempo stavano sopravvivendo grazie all’attrezzatura e alle vivande gettate giù eroicamente dal dirigibile da Arduino. Tra tale attrezzatura vi era anche la famosa Tenda Rossa che permise al gruppo di sopravvivere.

I superstiti riuscirono ad essere portati in salvo grazie ad una fitta rete di cooperazione internazionale tra Italia, Francia, Norvegia, Finlandia, URSS e Germania. A un mese dall’impatto il primo ad essere portato in salvo fu Nobile, per mezzo di un piccolo aereo svedese comandato dal tenente Lundborg. Quando Lundborg tornò a prendere il resto dell’equipaggio, precipitò egli stesso. Nelle operazioni di salvataggio, in totale perirono otto persone, lo stesso Amundsen morì, mentre sorvolava la zona per prendere parte alle ricerche dei dispersi. Solo il 12 luglio 1928 il rompighiaccio sovietico Krassin raggiunse gli altri superstiti e li trasse in salvo. A capo della squadra vi era Rudol’f Lazarevič Samojlovič.

Per quanto concerna la cooperazione internazionale per il ritrovamento dei superstiti, risulta molto interessante il volume di Gianni Albertini Alla ricerca dei naufraghi dell’Italia: mille chilometri sulla banchisa. Albertini, che fece parte della spedizione di Nobile, pubblicò il volume a un anno dalla tragedia, fu spinto a mettere per iscritto i suoi ricordi dal fatto che non riusciva più a tenere solo per sé quel fardello, come anche lui spiega nella premessa:

«Di ritorno da questa triste e meravigliosa avventura artica i ricordi divennero un peso insostenibile; il pensiero, ripiegandosi quasi su sé stesso, iniziò una lenta e snervante rielaborazione di tutto quanto aveva in sé, tentando faticosamente di filtrare, epurare, onde liberare, se possibile, i ricordi schietti dall’influenza di penose impressioni».

Più avanti Albertini testimonia come tutti i gruppi di soccorso cooperarono tra loro con tutte le loro forze: «Essi lottarono per un’idea, per una causa, per la loro missione; desistettero dalla lotta solo quando videro gli areoplani andare e venire sulla direzione della catastrofe e capirono che il gruppo Nobile era stato trovato».

Albertini narra in prima persona l’avvicendamento delle operazioni di soccorso. A tal proposito risulta interessante la sua testimonianza a bordo del rompighiaccio sovietico Krassin:

«Alle 4 h. del 16 luglio montiamo a bordo del Krassin dopo aver superato il breve tratto che separa la nave dall’idroplano. Tutto lo Stato Maggiore della nave e dell’equipaggio era in coperta […] Abituato ormai da oltre due mesi alle monotone marce solitarie, ai soggiorni silenziosi sulle baleniere disadorne, la vita sul Krassin mi interessava enormemente, forse perché ogni cosa era vista attraverso la lente animatrice della vodka».

Le testimonianze più significative ci vengono dallo stesso Nobile in Gli italiani al Polo Nord. Uno dei capitoli più suggestivi è quello avente titolo Il coraggio della disperazione, qui si evince tutta la disperazione del gruppo quando dopo l’incidente non riuscì a stabilire subito un contatto con Città di Milano:

«La giornata del 28 passò senza che si avessero notizie dirette della Città di Milano. Apprendevamo da San Paolo che essa aveva ormai raggiunto le coste settentrionali dello Svalbard, ma nessun beneficio ne avevamo risentito nelle comunicazioni radiofoniche. Anzi, manco a farlo apposta, ora, che la Città di Milano era più vicina, non riuscivamo più a intercettare le trasmissioni». 

Dopo aver abbandonato l’idea di costruire delle slitte e di marciare attraverso il pack, il gruppo decise di modificare il segnale dell’ S.O.S per mettersi direttamente in contatto con la Stazione San Paolo:

«Nelle ultime ventiquattro ore, avendo constatato che la stazione San Paolo si sentiva assai più chiaramente della Città di Milano, avevamo modificato il nostro S.O.S aggiungendovi le parole: “Rispondete via IDO 32».

Riportiamo in fine le parole di Nobile all’arrivo dei superstiti in Italia: «Finalmente giungemmo in Italia. Il popolo spontaneamente si riversò nelle stazioni, invase i piazzali, ci gridò commosso tutto il suo amore. Nella mia cabina inondata di fiori, presto non vi fu più il posto per sedere». Tale testimonianza risulta particolarmente importante poiché ci permette di comprendere l’eroicità del soggetto e della spedizione, che nonostante il fallimento disastroso, è accolta con pomposi e spontanei festeggiamenti.

La mitizzazione della figura di Umberto Nobile è collegata proprio a queste due grandi imprese polari, quella del Norge e quella dell’Italia, la prima conclusa con successo, ma di cui non riuscì mai a prendersi interamente il merito, la seconda eroicamente disastrosa. Il presente saggio si è aperto con l’accostamento di Nobile ai grandi eroi tragici dell’età classica, quelli dell’Iliade e dell’Odissea, la cui maggioranza perì in cerca di gloria. Tra questi ve ne è uno che non morì, sopravvisse per narrare ai posteri ciò che aveva veduto: Ulisse. Come all’Ulisse omerico, così a Nobile venne concesso di sopravvivere, per testimoniare ai posteri le sue imprese, a limite, per i suoi tempi, tra la realtà e il mito.

Restando però con i piedi a terra, un altro accostamento resta semplice agli occhi dell’esperto, quello tra Nobile e Pitea di Massalia. Nobile come il massaliota aveva fatto con le nuove navi per la navigazione oceanica, mediante i nuovi mezzi tecnologici (il dirigibile su tutti), tenta di raggiungere il Polo nord in volo, impresa mai riuscita a nessuno prima di lui. Entrambi si spingono all’estremo nord della loro Ecumene, facendo naturalmente in distinguo su base cronologica. Inoltre entrambi, dopo un primo rifiuto della madre patria di finanziare le rispettive imprese, vengono spinti e osannati proprio da queste ultime, la prima in cerca di nuove materie prime (Marsiglia), la seconda per affermarsi più vigorosamente come grande potenza (Italia fascista).

Nobile risulta dunque un eroe di altri tempi, troppo grande per il proprio presente, mitizzato prima e incorso in una sorta di damnatio memoriae, dopo il disastro del dirigibile Italia.

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Laureato in Lettere classiche presso l’Università degli studi di Urbino e con Laurea magistrale in Scienze Storiche presso l’Università di Macerata, ha conseguito una Summer school in metrica e ritmica greca presso la Scuola di metrica dell’Università di Urbino (2016).
Nell’ottobre 2022 consegue il Master di primo livello in “Operatore delle biblioteche”. Nel 2022 entra a far parte del Centro studi sallustiani, dell’Unipop di Fermo, del comitato scientifico della
rivista di filologia greca e latina Scholia (didattica), in qualità di vicedirettore e in qualità di socio-amico dell’Aib. Insegna materie letterarie presso l’Istituto di Formazione Professionale Artigianelli di Fermo.
Appassionato di storia greca e romana, e di poesia, ha pubblicato numerose monografie sugli storici latini e alcune sillogi poetiche: La tradizione delle opere sallustiane dai manoscritti agli incunaboli della Biblioteca civica di Fermo, AndreaLivi Editore, 2020; Tito Livio. La fortuna del più grande storico romano, Primicieri Editore, 2021; APPIANO ALESSANDRINO. Dall’età classica all’età contemporanea, Primiceri Editore, 2021; Rufo Festo Avieno, la fortuna di uno storico minore, Arbor Sapientiae editore, 2021; La fortuna di uno storico minore: Lucio Anneo Floro, i manoscritti e gli incunaboli della Biblioteca Civica Romolo Spezioli, Amarganta, 2021; Svetonio. Dall’età
classica all’età moderna. Gli esemplari della Biblioteca civica Romolo Spezioli di Fermo, Primiceri, 2022; Frammenti poetici,BookSprint, 2021; Renzi Riccardo, ἀλήθεια, Sonnino, Edizioni La Gru, 2022; Studi e riflessioni sull’evoluzione del ceto nobiliare: tra la fine del medioevo e la prima età moderna, Primiceri, 2022.

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