Canti di lavoro: working class nella letteratura e nella musica

Morrie Morgan è tornato. Di nuovo in Montana in cerca di fortuna. Poi in una biblioteca e tra le lotte e gli scioperi dei minatori.

Oggi parliamo di lavoro e working class.

E lo faremo a partire da alcune canzoni e soprattutto da un libro.
Ho recentemente divorato Il canto del lavoro, di Ivan Doig, tradotto da Nicola Manuppelli per Nutrimenti, uscito nel 2023.
L’autore, non a caso definito l’erede di Steinbeck, ci catapulta in una storia ambientata nell’America dell’ovest, che parla di partenze, incontri e lotte sindacali.
Non è infatti per nulla casuale il titolo, che mi ha attirata fin da subito, proprio per il valore politico e storico che i canti di lavoro hanno avuto nella storia.

Il canto del lavoro

Il canto del lavoro nasce proprio dalle voci dei lavoratori e delle lavoratrici ed è testimonianza corale di fatti storici, di richieste di diritti, di denuncia degli abusi dei padroni e del sistema capitalistico. Ma è anche strumento di conforto: accompagnando il lavoro, segna il ritmo, sostiene la fatica e allevia la pesantezza di lavori manuali spesso duri e con turni insostenibili.
In uno dei più noti canti italiani di inizio Novecento “Se otto ore vi sembran poche”, le mondine chiedevano una riduzione degli orari lavorativi da 12 a 8 ore e si battevano per una vita dignitosa e rispettosa. In questo canto sociale di inizio Novecento (riferibile anche al progetto di legge presentato da Modesto Cugnolio nel 1906, accompagnò poi altre lotte nel corso del Novecento). Lo stesso Furore (cit.) di una classe sociale ampia, che si muove in un panorama austero, di sottopaghe, viaggi e trasferte, emigrazione e appartenenza a un gruppo umano: la working class.
Anche per questo motivo il libro che abbiamo tra le mani mi ha ricordato un altro grande autore nordamericano, lavoratore, appassionato, esploratore dalla vita rocambolesca: Jack London. Anche lui ha raccontato di pugilato e incontri di boxe. Altro tema che appare in questo appassionante lettura.

Un viaggio on the road.

Ma passiamo alla storia, un evocativo viaggio on the road . Questo in realtà è il secondo libro di una trilogia. All’interno di storie e vicende, emerge il protagonista, Morrie Morgan: nel primo romanzo (La stagione fischiettante) era un insegnante di scuola itinerante del Montana, un’enciclopedia vivente in cammino, ma qui lo troviamo in nuove avventure! E dalla scuola, dopo essere fuggito arriva quasi per caso a lavorare in una biblioteca. È lì che ben presto si ritrova sostenere i minatori nella loro lotta e protesta sindacale.

Miniere e minatori

Non posso fare a meno di ricordare il tragico parallelo europeo, la tragedia di Marcinelle, avvenuta la mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio.

Oltre al senso claustrofobico delle gallerie e del pericolo di crollo, i minatori stavano spesso a contatto con polveri che causavano malattie ai polmoni, in quel buio si perdeva la cognizione del tempo. Si lavorava lontano da casa in condizioni dure e senza un equipaggiamento adeguato, sopportando il freddo nelle ossa e l’umidità. Lavorare in miniera, diciamolo, non era affatto bello.
Venendo ai canti dei minatori mi è subito tornato alla memoria “A la mina no Voy” canto colombiano del XII secolo che dichiara con forza di non voler andare in miniera. La più bella canzone dei minatori però è forse Sixteen Tons, canto di miniera ripreso peraltro dalle femministe del Movimento Femminista Romano nella melodia di Noi siamo stufe (canzone del disco Canti di donne in lotta del 1975). Sixteen tons è una canzone country americana registrata per la prima volta nel 1946 da Merle Travis (Folk Songs of the Hills). Il brano parla molto esplicitamente delle condizioni estreme di lavoro dei minatori.


«You load sixteen tons, and what do you get?
Another day older and deeper in debt
Saint Peter, don’t you call me ‘cause I can’t go
I owe my soul to the company store»

Qui nella bellissima versione di Johnny Cash.

Johnny Cash canta Sixteen tons.


Infine ricordiamo un altro caso italiano: “Eravamo in 29” il cui testo si conclude dicendo “maledet si-à ‘l Gotardo gl’ingegneri che l’àn progetà per quei poveri minatori soto i colpi son restà per quei poveri minatori soto i colpi son restà.” I colpi sono gli esplosivi che si utilizzavano per aprire varchi e fare crollare parti di roccia da utilizzare.
Il sito @ildepositocantiprotesta riporta anche questo testo

«Caviam cantando, caviam la fossa
la fossa dove c’è un nero tozzo di pane
qui dove un giorno, le nostre ossa

marciran forse sotto le frane
Pei ricchi il biondo oro cerchiam

caviam cantando, caviam, caviam».

Vogliamo il pane, ma anche le rose

Infine un altro canto fondamentale nella storia del Novecento: Bread and Roses. Ciò che divenne colonna sonora dello sciopero del pane e delle rose , il famoso sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici dell’industria tessile svoltosi nel 1912 a Lawrence. Con queste parole essi chedevano una riduzione degli orari lavorativi, un aumento del salario, la riassunzione degli scioperanti (senza discriminazioni).

La frase fu estrapolata da un celebre discorso tenuto dalla femminista e socialista Rose Schneiderman a Cleveland. Fu poi anche ripreso da James Oppenheim.

«As we come marching, marching in the beauty of the day,
A million darkened kitchens, a thousand mill lofts gray,
Are touched with all the radiance that a sudden sun discloses,
For the people hear us singing: “Bread and roses! Bread and roses!”»

Bread and roses (dal film Pride)

Un inno alla libertà

La working class è il perno su cui ruotano le vicende di questo racconto. Nelle pagine emerge un amore viscerale per i libri, come oggetti, compagni, così come per il senso profondo di giustizia umana.
Il romanzo di Ivan Doig è un canto alla libertà e alla dignità.
Non ci resta che aspettare la traduzione del terzo volume di questa trilogia, Sweet Thunder!

Colgo l’occasione per ricordare come a breve ci sarà il Festival working class dei lavoratori ex GKN organizzato da Edizioni Alegre. https://www.magozine.it/il-festival-working-class-dei-lavoratori-ex-gkn-con-edizioni-alegre/

Un’occasione per pensare insieme a questi temi e partecipare numerose e numerosi.

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Cantautrice, scrittrice e archivista, è appassionata di canto e musica popolare e di lotta. Ha scritto due libri (Voci. Storia di un corredo orale e Cantautrici), attualmente sta incidendo il suo primo disco e lavora come archivista e ricercatrice. Il progetto cantadoira vuole valorizzare le voci degli ultimi, alzando il grido della working class contro le ingiustizie.

https://www.instagram.com/lacantadoira/

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