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Claudio Rocchi
Sembra che Claudio Rocchi abbia detto che “la vita è una casa anarchica”. Anche lui che fu artista di successo e monaco induista, che ebbe molte metamorfosi possiamo definirlo anarchico nel senso di libero e libertario, insofferente delle autorità e della borghesia, anzi contro. È certamente più facile definire l’anarchia in senso ideale e astratto che un anarchico in carne e ossa. Comunque non vogliamo fare forzature, anche se espressamente Rocchi scriveva che “il discorso della polizia” era diverso dal suo e dai suoi amici, lo faceva intendere a chiare lettere; fu sempre contro il potere
. Era un antagonista nel senso più nobile del termine, il suo non era certo un vuoto e caotico ribellismo. “La tua prima luna” tratta di una fuga da casa. Il cantautore dimostra sensibilità e comprensione empatica per il disagio giovanile, oggi cosa sempre più rara se si pensa al fatto che è di uso comune ormai il termine spregiativo “scappato di casa”. Rocchi fu uno dei maggiori artefici del rock progressive italiano, che lasciò una traccia negli anni Settanta e influenzò molti artisti in seguito. Non dimentichiamoci per esempio che i concept album nacquero con il rock progressive. Nei due testi di canzoni che ho riportato si trovano diverse dispercezioni e dimostrano che nella sua giovinezza Claudio Rocchi aveva un mondo psichedelico tutto suo.
Non scordiamoci che allora molti guardavano alla realtà psichedelica. Era puro arricchimento esperienziale oltre al fatto di sopportare meglio la quotidianità alienata e problematica ogni tanto con uno stato alterato di coscienza. Fu un artista controcorrente perché non rincorse mai il successo. Fu sempre a disposizione del suo pubblico. Sapeva che il pubblico era tutto per l’artista. Non a caso quando gli chiedevano un autografo chiedeva le generalità del richiedente e poi lo firmava scrivendo quel nome e cognome, non il suo: aveva già capito che la perdita di autorialità non derivava solo dalla presenza dell’inconscio, dal suo dominio sull’io, ma anche dal fatto che come diremmo oggi “Il poeta sei tu che leggi” e parafrasando, un poco cambiandolo, questo verso di un poeta di strada “il cantante sei tu che compri i dischi”.
Rocchi non si risparmiava con il suo pubblico. Negli anni Settanta faceva molti concerti e amava anche improvvisare molto sul palco. Il concerto per lui non era un modo per fare soldi, ma era un momento di grande aggregazione, di ritrovo, un modo per stare insieme alla sua gente. Fu considerato uno degli artisti più originali degli anni Settanta. Ho letto tutti i suoi testi su Internet e non mi hanno mai deluso, erano delle belle poesie in musica. Erano apparentemente accessibili, non criptiche, non oscure le sue canzoni, ma grazie a grandi intuizioni liriche e a un robusto retroterra culturale aprivano spiragli verso l’assoluto.
Era anche un mistico. Aveva praticato la castità per 15 anni in tempi di grande libertà sessuale e in un mondo quello della musica leggera in cui non gli mancavano le occasioni. Erano tempi di femminismo, di emancipazione e liberazione sessuale. I giovani contestatori si trovavano al bivio in questo senso: la civiltà era repressione degli istinti e allora bisognava sublimare (Freud) oppure la repressione sessuale causava solo nevrosi e allora bisognava liberarsi sessualmente (W. Reich)? I più sceglievano la seconda strada. Rocchi ci insegnava che la rinuncia per un certo periodo di tempo ai piaceri della vita permetteva di trovare “un gusto superiore” quando riprendevamo a goderli. Infatti, intervistato da Battiato raccontava che fu sublime per lui bere una semplice birra dopo anni che non l’aveva bevuta.
Ma la sua comunque non era semplice rinuncia pulsionale ma elevazione spirituale. E per l’appunto Dio? Per molti era una “proiezione antropologica” come voleva la sinistra hegeliana, per altri “un bisogno socialmente indotto” come voleva Durkheim. Rocchi se ne fregò altamente e scelse Dio. Insomma per citare una sua canzone se non sei parte della soluzione allora sei parte del problema. Dispiace che questo cantautore illuminato sia sconosciuto ai più e considerato di nicchia. “La realtà non esiste” è il suo capolavoro: poesia totalizzante musicata, cantata dopo la sua scomparsa anche da Battiato e Alice.
“La tua prima luna”
Questa è la tua prima luna che vedi Fuori di casa sapendo di non ritornare Oggi sei uscito e ti sei domandato Ma dove sto andando e che cosa farò Sei finito in un prato mangiando una mela Comprata passando dal centro Dove i tuoi amici parlavano ancora Di donne e di moto e tu ti fumavi La gioia di essere riuscito a fuggire di casa Portandoti dietro soltanto la voglia Di non ritornare Hai pochi soldi sai bene domani Nessuno ti aiuta se hai voglia di chiedere aiuto Ma in quella prigione dove ti hanno insegnato Ad amare poche persone alla volta non vuoi ritornare Vuoi amare più gente vuoi vivere in mezzo alla gente E mentre tu dormi su un prato sentendo un po' freddo Con dentro una voglia di piangere forte Tu vedi passare una macchina verde della polizia Non ti vedono neanche Li senti andar via e capisci di colpo Che il loro discorso è diverso dal tuo
“La realtà non esiste”
Quando stai mangiando una mela Tu e la mela siete parti di Dio Quando pensi a Dio sei una parte Di ogni parte e niente è fuori da tutto Quando vivi tu sei un centro di ruota E i tuoi raggi sono raggi di vita Puoi girare solo intorno al tuo perno O puoi scegliere di correre e andare Quando dormi tu sei come una stella E il respiro è come fuori dal tempo Quando ridi è come il sole sull'acqua Sai che farne della vita che hai Quando ami tu ridoni al tuo corpo Quel che manca per riempire un abbraccio Quando corri sai esser lepre e lumaca Se hai deciso di arrivare o restare Quando pensi stai creando qualcosa L'illusione è di chiamarla illusione Quando chiedi tu hai bisogno di dare Quando hai dato hai realizzato l'amore Quando gridi la realtà non esiste Hai deciso di esser Dio e di creare Quando chiami tutto questo reale Hai trovato tutto dentro ogni cosa
Stefano Rosso
Un altro anarchico fu Stefano Rosso, cantautore romano, ormai rimosso perché probabilmente ritenuto ancora oggi troppo canzonatorio, troppo dissacrante, troppo scomodo. Fu un poeta anche lui della musica leggera. Fu sempre contro. Nonostante ciò era anche molto lirico come in alcuni suoi capolavori come “Via della scala” o “Il poeta stanco”. Se ascoltate bene queste canzoni sono così coinvolgenti che emozionano chiunque.
Stefano Rosso fu anche un grande chitarrista. Alex Britti fu un suo fan. Infatti in diversi concerti gli ha fatto degli omaggi. Rosso non fece mai musica commerciale. Le sue non furono mai canzonette. Fece sempre canzone d’autore. Certamente anche lui fece le sue apparizioni televisive in RAI, però ricordiamoci anche che quello era un percorso obbligato. Non si fece, come si suol dire, mancare niente: partecipò anche a Sanremo. Inoltre, qualunque artista vuole farsi conoscere al grande pubblico, ma tutto ciò non scalfì mai la sua qualità artistica.
Le sue canzoni furono sempre pregevoli, di ottima fattura. Non c’era solo l’impegno sociale e politico, ma Rosso sapeva anche raccogliersi interiormente con canzoni in cui vigeva l’intimismo e l’esistenzialismo. Per esistenzialismo non intendo quello prettamente filosofico con l’angoscia della scelta e la deiezione heideggeriana. Intendo in modo più pratico il far tesoro delle proprie passioni, della propria esperienza personale, della propria vita. Insomma non c’era solo la politica, ma esistevano anche le proprie vicissitudini.
Infatti Rosso si ritirò per qualche tempo dalle scene. Corsero voci infondate che si era arruolato nella legione straniera. Invece lo aveva segnato profondamente una cocente delusione sentimentale. Un’altra cosa bella di Rosso era di quella di non prendersi mai sul serio, ma di prendere sul serio il mondo. In fondo la vita per lui era una cosa maledettamente seria da prendere con molta ironia. Il suo era un atteggiamento disilluso nei confronti del Paese e delle sue vicende politiche. Il suo era un atteggiamento disincantato nei confronti della conoscenza. Sapeva benissimo che il mondo in buona parte era intelligibile, ma la nostra conoscenza era un edificio fondato su una palude, riprendendo una metafora di Popper.
Se Claudio Rocchi spiccava per il suo misticismo, Stefano Rosso spiccava per la sua capacità di far satira. Rosso mi sembra di primo acchito, per quanto non l’abbia mai conosciuto di persona, come un amico di vecchia data con cui si può parlare di cose serie ma anche con cui si può ridere e scherzare. Senz’ombra di dubbio non aveva quell’aura di serietà e quella pretenziosità intellettualistica, che avevano altri cantautori. In “Via della Scala” c’era la testimonianza della sua formazione di autodidatta, che però non disprezzava assolutamente la scuola e la cultura ufficiale. Si sapeva far capire da tutti e allo stesso tempo non rinunciava a lanciare messaggi importanti.
Anche oggi ogni tanto qualche radio vintage passa “Una storia disonesta” sul tema della droga leggera e anche su quello non esplicitato della sua liberalizzazione. Il mio dramma giovanile è stato di non aver vissuto gli anni Settanta oltre al fatto di non aver mai trovato “la ragazza giusta”. In un mondo ormai di hit strappalacrime o di scalmanati come quello del pop nostrano forse farebbe bene ricordare un artista vero che aveva tante cose da dire, come Rosso. È vero: sono canzoni che fanno nostalgia per chi ha vissuto quegli anni, ma che ci riportano indietro nel tempo e ci fanno capire chi siamo stati o comunque chi era la generazione giovane negli anni Settanta.
Consiglio a tutti di leggere i bei testi e di ascoltare le belle canzoni di Stefano Rosso, una grande voce fuori dal coro, sicuramente un uomo che non accettò i compromessi, andò avanti per la sua strada, non guardò in faccia nessuno, fu sempre coerente. Purtroppo gli anni Settanta sono stati dimenticati, rimossi e con essi alcuni protagonisti. Chi si ricorda più che nel ’77 le colonne sonore del movimento studentesco erano “Ho visto anche degli zingari felici” di Claudio Lolli e “Ma chi l’ha detto che non c’è?” di Giacomo Manfredi? Alle nuove generazioni non importa più niente.
Il mainstream vuole conformismo, consumismo, apparenza. Tutto è destinato a passare, a finire. Ma forse non tutto è andato perso. Come ebbe a dire poco prima della dipartita lo stesso Stefano Rosso: “Io non credo alla categoria del pubblico giovane. Se una musica è bella si farà apprezzare da giovani e meno giovani, insomma da tutti”. Il cantautore è scomparso in sordina, pur riponendo fiducia nel prossimo e anche speranza. Non è cosa da tutti.
“Una storia disonesta”
Si discuteva dei problemi dello stato Si andò a finire sull'hashish legalizzato Che casa mia pareva quasi il parlamento Erano in 15 ma mi parevan 100. Io che dicevo "Beh ragazzi andiamo piano Il vizio non è stato mai un partito sano". E il più ribelle mi rispose un po' stonato E in canzonetta lui polemizzò così: "Che bello Due amici una chitarra e lo spinello E una ragazza giusta che ci sta E tutto il resto che importanza ha? Che bello Se piove porteremo anche l'ombrello In giro per le vie della città Per due boccate di felicità". "Ma l'opinione - dissi io - non la contate? E che reputazione, dite un pò, vi fate? La gente giudica voi state un po' in campana Ma quello invece di ascoltarmi continuò: "Che bello Col pakistano nero e con l'ombrello E una ragazza giusta che ci sta E tutto il resto che importanza ha?" Così di casa li cacciai senza ritegno Senza badare a chi mi palesava sdegno Li accompagnai per strada e chiuso ogni sportello Tornai in cucina e tra i barattoli uno che... "Che bello Col giradischi acceso e lo spinello Non sarà stato giusto si lo so Ma in 15 eravamo troppi o no?". E questa Amici miei è una storia disonesta E puoi cambiarci i personaggi ma Quanta politica ci puoi trovar
“Via della Scala”
Via della Scala è sempre là E io dal letto 26 Malato di pazienza sto E aspetto chi non torna più È un ragazzino magro che Cantava sempre insieme a me E morì un giorno che non so E i suoi bei sogni mi lasciò E Biancaneve è ancora là È un po' invecchiata, ma che fa Le mele non le mangia più Forse i ragazzi giù del bar Ricordo tanto tempo fa Veniva a scuola insieme a me La guerra già non c'era più E poi non c'eri neanche tu La brillantina e via così Si incominciava il lunedì Ad invidiare quello che Aveva un libro da studiar Diceva, "Non ti serve a niente La scuola non ti servirà" E invece io tra quella gente Capivo un po' di verità La mariujana ti fa male Il Chianti ammazza l'anemia I miei compagni li ho lasciati Ho preferito andare via Così ho comprato un giradischi Uno di quelli che non va Per non dar noia a quel vicino Che non riesce a riposar Ho conosciuto tante donne Cattive, oneste e senza età A tutte ho dato un po' qualcosa Con tanta generosità A lei, mia madre, i dispiaceri Mentre a mia moglie dei bambini Al primo amore i sentimenti I baci e l'acne giovanile Via della Scala è sempre là E io dal letto 26 Io chiudo gli occhi e penso a te Ti sento e invece non ci sei
articolo trovato ora per caso, e molto apprezzato. ne ringrazio morelli.
susanna schimperna