Clima, capitalismo verde e catastrofismo di Philippe Pelletier

Traduzione a cura di Carlo Milani.

Il saggio scritto dal francese Philippe Pelletier, “Clima, capitalismo verde e catastrofismo” pubblicato dalla casa editrice Elèuthera ha l’ambizioso obiettivo di fornire una diversa chiave di lettura su un tema complesso come il cambiamento climatico. L’analisi dell’autore parte con un assunto non scontato: l’informazione posta in essere dai singoli soggetti (come politici, esperti, ecc.) e dai media può essere sì, basata su dati scientifici ma spesso assistiamo ad una manipolazione di questi dati in funzione dei propri interessi.

Il saggio è strutturato in due parti composte da due capitoli ciascuna. Il primo è dedicato al concetto di “clima”; il secondo ai dati che sono stati resi noti sul climate change; il terzo sulla geopolitica e governance e l’ultimo riguarda la metapolitica.

L’intero testo è un’arringa in cui l’autore fa presente i dati resi noti fino ad oggi sul clima e successivamente passa alla confutazione di questi ultimi andando a smontare tali verità con altre affermazioni vere a metà o con semplici congetture.

Sarò sincera, pensavo di avere tra le mani un libro di un negazionista del clima. Perché la sensazione è quella! Ed è questo, spero, lo scopo del saggio. Quello di eliminare la convinzione che la scienza sia un qualcosa di infallibile. La scienza ci fornisce le risposte a tante domande sulla nostra esistenza, sulla nostra salute e sul clima; ma quello che sappiamo oggi su ciò che accadrà tra qualche decennio potrà differire su quello che potremmo scoprire domani con ulteriori ricerche e studio. Può bastare questo per dubitare della scienza che fondamentalmente ci guida nella nostra quotidianità e futuro?

In quanto geografo, l’autore fa presente che è ormai di uso comune utilizzare, negli articoli che parlano del riscaldamento globale, grafici con curve che racchiudono pochi punti e rappresentano uno spazio limitato al posto di mappe che ci permettano di valutare correttamente l’estensione e le variazioni locali del fenomeno.
E soprattutto che il dibattito perpetrato, soprattutto della classe politica, sulla questione “temperature calde-fredde” si focalizza solo sulla temperatura della troposfera, la porzione di atmosfera più vicina alla superficie terrestre, ma caldo e freddo non sono gli unici elementi o fattori climatici da considerare in questo contesto.

Una precisazione che ho apprezzato, forse l’unica, è il fatto che quando si parla di “effetto serra” non si specifica mai che quello associato a riscaldamento globale è il così detto ”effetto serra addizionale”, in quanto il primo è naturale e fondamentale per il nostro Pianeta per permettere la vita mentre il secondo fa riferimento appunto a quello antropogenico.

Vengono messe in contrapposizione anche le solite due teorie ormai famose, ovvero:
il riscaldamento globale avviene per un aumento dei gas a effetto serra in atmosfera o il tutto è ricollegabile e giustificabile con la Teoria dei cicli di Milankovic? O addirittura l’autore riporta che la fusione dei ghiacci sia un tema utilizzato solo per creare allarmismo e che anzi, il fatto che le Himalaya scompariranno per buona parte entro la fine del secolo sia una “boiata” e che l’IPCC confondendosi con le date (avevano scritto 2035 anziché 2350) abbia confermato in qualche modo la propria incompetenza.
Quando anche il rapporto rilasciato dall’ Hindu kush Himalaya assessment, pubblicato lo scorso anno, rimarca il fatto che un aumento delle temperature globali di due gradi comporterebbe la scomparsa di due terzi dei ghiacciai himalayani entro il 2100. Mentre se anche si limitasse l’aumento a 1,5 gradi, un terzo dei ghiacci sarebbe comunque condannato.

Ma non è mio compito smontare punto per punto le inesattezze riportare e citate.
Questo saggio è un’arma a doppio taglio. In mano a persone poco esperte potrebbe creare confusione e alimentare la convinzione che il catastrofismo sia eccessivo, non necessario e che gli organi competenti e adibiti allo studio del riscaldamento globale siano degli inetti.

In un periodo delicato come quello attuale, in cui ognuno può condividere e far presente la propria opinione, in cui gli eventi siccitosi stanno aumentano, così come l’innalzamento del livello del mare, così come le grandinate improvvise e tanti altri eventi che non sto qui ad elencare, le parole vanno ben ponderate.

All’inizio di questa recensione vi avevo detto che mi sembrava di leggere un saggio scritto da un negazionista. Ebbene, dopo aver girato l’ultima pagina, la 230esima per essere esatti, e aver chiuso la copertina posso dire che è così. O meglio, il geografo francese è un anarchico che cercando di denunciare il classismo e complottismo della classe politica e dirigente che al momento stanno guidando le policy climatiche, sempre a suo dire, è ricaduto nello stesso negazionismo che voleva forse scongiurare.

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