Il consumo è una piaga sulla quale affondano radici marce. Riguarda ogni ambito culturale accettato dal sistema vigente e ogni abitudine sociale, compresa quella ad una scorretta alimentazione. Il corpo umano necessità di alcune sostanze per innescare una riserva di energia spendibile, alcuni cibi e il come vengono trattati per essere sottoposti a coloranti, addensanti e altre sostanze, non aiuta.
Gli allevamenti e le coltivazioni intensive sono quelle in cui tutte queste sostanze pericolose vengono impiegate con costanza, i limiti la legge li mette ma questi cambiano a seconda dei governi che si susseguono, come detto anche in passato, deve cambiare il modello anche di approccio all’alimentazione.
Una filiera corta aiuterebbe a bypassare questo meccanismo perverso nel quale gli alimenti cadono nei principi del mercato industrializzato. Un piccolo coltivatore non è come un industria alimentare che punta sul consumismo per esistere, il piccolo coltivatore può anche non avvalersi di sostanze nocive per la salute.
Gli allevamenti sono già di loro qualcosa di degradante perché tolgono agli animali allevati il diritto ad un esistenza libera, quelli intensivi amplificano tale principio e sono anche causa di aumento dei gas serra secondo un Rapporto FAO del 2006 è stato calcolato che gli allevamenti intensivi producono una quota del 18% di anidride carbonica, metano e ossido di azoto, cambiare modello di sostentamento ed essere meno egoisti è indispensabile, non solo utile per ridurre le emissioni di gas.
Il consumo di suolo, acqua e altre risorse per la produzione di ogni kg di carne da dover produrre ci indica che il consumo di carne, in particolare le carni di bovino, andrebbe ridotto. Gli impatti ambientali degli allevamenti intensivi sono devastanti.