Coronavirus. Ripartiamo dal lavoro.

Mentre alcune forze politiche si esercitano nell’arte di dividere l’opinione pubblica con ipotesi su riapertura, date in cui ripartire, il Ministro della Salute Roberto Speranza per primo aveva dichiarato: “Dobbiamo dire la verità. La situazione resta drammatica. L’emergenza non è finita. Il pericolo non è scampato. Ci aspettano mesi ancora difficili. Il nostro compito è creare le condizioni per convivere con questo virus. Ecco, il verbo giusto è convivere. Almeno fino a quando non avremo il vaccino o una cura”.

La considerazione di Speranza, la sua visione sul prossimo futuro nel ruolo di Ministro della Salute, è condivisa dagli esperti scientifici sia in Italia che all’estero e pongono quindi un problema reale, poi via via condiviso da numerosi esponenti pubblici e politici. Come convivere? Non solo da quando riaprire ma, per quanto tempo gestire l’emergenza della convivenza? Il tessuto produttivo italiano è in grado di riaprire garantendo le condizioni di sicurezza richieste a gran voce dai sindacati CGIL, CISL e UIL? Come sarà possibile far rispettare i protocolli sulla sicurezza sottoscritti tra Governo, sindacati ed organizzazioni dei datori di lavoro?

Ciò che è sempre più chiaro ora, è che la sicurezza dei luoghi di lavoro, in passato evocata solo per le morti bianche, prevalentemente nell’industria o nei cantieri edili, diventa di colpo collegata alla sicurezza di tutti i cittadini del nostro paese. Perché un luogo di lavoro, sia un centro commerciale, un ospedale o un negozio di abbigliamento, sono sia luoghi in cui garantire la sicurezza dei lavoratori impiegati, ma allo stesso tempo luoghi in cui garantire la sicurezza di tutti i cittadini che lì si recano, per ragioni più o meno essenziali.

Mentre l’emergenza Coronavirus persiste, la vigilanza degli ispettorati del lavoro continua a vivere un momento complicato che ne diminuisce l’efficacia: dal primo gennaio 2017, infatti, gli ispettori del Ministero del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail sono stati unificati nell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), ma i dipendenti di Inps e Inail non sono confluiti nel nuovo ente. Diverse inchieste giornalistiche degli ultimi anni hanno anche evidenziato gli effetti negativi della nuova gestione dell’apparato ispettivo, a cui occorre ancora porre rimedio. Come se non bastasse, le risorse pubbliche destinate alle attività ispettive sono via via diminuite.

Occorre quindi che le aziende, in particolar modo le PMI (che rappresentano la gran parte del tessuto produttivo del nostro paese), facciano un esame di coscienza sul tema della sicurezza. Se la sicurezza dei propri lavoratori, nonché dei cittadini, sia da mettere al primo posto oppure no. Se bisogna approntare un piano della sicurezza vero o se scaricare un pacchetto di aggiornamento del DVR online, con prezzi che vanno dai 50,00 ai 250,00 euro + IVA. Se la sicurezza viene fatta davvero o se viene fatta sulla carta, spesso senza informare nemmeno i lavoratori.

Che cos’è il DVR?

La redazione del documento di valutazione dei rischi (DVR) è un obbligo non delegabile del datore di lavoro e costituisce la fase terminale della procedura di valutazione del rischio nella propria azienda; in particolare esso deve assolvere anche alla previsione del rischio gestionale, deve essere cioè uno strumento capace di guidare efficacemente i soggetti della prevenzione – datore di lavoro, dirigenti, RSPP, RLS – nell’attuare in concreto le misure di prevenzione e protezione ed il programma di miglioramento. Il DVR deve contenere l’analisi di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa e deve contenere altresì tutte le misure adottate dall’azienda per tutelare il proprio personale dai rischi evidenziati.

Le aziende hanno valutato il rischio Coronavirus?

Probabilmente. Forse alcune sì, ma molte altre no. Non esiste un modo per saperlo, né per esser certi che siano state adottate misure adeguate per l’emergenza. Il rischio è che si cerchi di rispettare le indicazioni sulla sicurezza solo dal punto di vista formale e non sostanziale. E’ quindi possibile riaprire, tutelando la salute di lavoratori e cittadini, solo effettuando controlli nelle aziende. Controlli effettuati fisicamente, di persona, con un personale ispettivo in numero esiguo per la normale attività. Figuriamoci per il super lavoro che si sta ipotizzando.

Peraltro ad oggi – per dare un’idea di quanto si parli spesso a sproposito di digitalizzazione – il DVR è un documento che può essere conservato anche solo in copia cartacea presso la sede dell’azienda. Inoltre, visto che il DVR deve essere conservato fisicamente nella sede aziendale, diventa difficile immaginare che gli ispettori – già in numero esiguo per i controlli di routine – possano verificare fisicamente la redazione di un numero imponente di documenti e se le misure adottate siano adeguate e conformi alle indicazioni ministeriali. Certo, se vi fosse un unico portale online, a cui le aziende possano accedere tramite i propri consulenti per caricare la documentazione, avremmo un sistema di controlli che potrebbe almeno partire dalla verifica online dei documenti. Per poi poter predisporre delle ispezioni mirate nei confronti delle aziende che non hanno adottato adeguate misure. Ma questa come altre ipotesi, pongono al centro della riflessione il tema del trasformare l’Italia in un paese davvero digitale.

Di giorno in giorno rischiamo invece di essere distratti da aspetti seppur importanti ma secondari: l’uso delle mascherine sempre e comunque, riaprire o non riaprire le chiese per Pasqua, l’esempio della Cina, la crescita dei contagi negli Stati Uniti, il diritto di poter godere delle ferie estive per rinvigorire giustamente le energie psico-fisiche a cui si è attinto nel corso dell’anno e dell’emergenza. Dobbiamo solo sperare che l’azione della politica non venga condizionata dall’insieme di voci dissonanti, di politici in cerca di visibilità, che cercano di ritagliarsi uno spazio oggi per poter criticare domani e riguadagnare consenso. Serve una classe politica degna del proprio ruolo.

Ripartiamo da qui. Ripartiamo dal lavoro.

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