La “quintessenziale” natura degli esseri umani
Secondo Stern – psichiatra e psicoanalista statunitense, 1934, 2012 – il senso del sé non è definibile come percezione, conoscenza o consapevolezza. Non emerge solo quando un individuo – bambino – è consapevole di sé in modo auto-riflessivo, né solo quando può parlare di se stesso. L’individuo è impegnato fin dai primi momenti dopo la nascita ad estrarre dalla propria esperienza nel mondo i vari rapporti tra le diverse esperienze sensoriali.
I bambini piccoli non hanno esperienza di cose, persone, suoni come soggetti o oggetti dotati di qualità discrete e nominabili, ma formati da caratteristiche globali sensoriali combinate. I bambini piccoli quindi astraggono caratteristiche globali dall’esperienza percettiva e affettiva e gradualmente identificano costellazioni invarianti – rappresentazioni abbastanza stabili di Sé non tanto legate al singolo episodio ma alla storie di tutte le proprie esperienze sia riguardanti se stesso, sia riguardanti gli altri –.
Ma soprattutto costruiscono rappresentazioni di interazioni che avvengono ripetutamente fra loro e gli altri. Dunque il nucleo affettivo del sé è legato alle esperienze con gli altri, alle interazioni e alle risposte affettive che si sono sperimentate – è la base intorno alla quale si costruisce la nostra vita –. Il nucleo affettivo del sé è di grande importanza durante l’infanzia, per comunicare significati e motivazioni nella duade genitore-bambino.
Madre e bambino costruiscono una serie di codici affettivi che sono fondamentali a entrambi. Ammaniti e Gallese ne “La nascita della Intersoggettività, Lo sviluppo del sé tra psicodinamica e neurobiologia” in maniera esauriente e esaustiva ci spiegano che: “Sin dal principio, viviamo con l’altro”. Per un breve periodo della nostra vita come tutti i mammiferi, ci nutriamo e respiriamo attraverso il corpo di un altro, viviamo letteralmente in un altro corpo: due cervelli, due cuori che abitano nello stesso luogo.
Lo studio del cervello non può trascurare né essere scisso dalla molteplicità di livelli che caratterizzano il nostro incontro con gli altri. Di che cosa è fatta l’esperienza umana? Che cosa vuol dire per l’essere umano amare ed essere amati, odiare o sentirsi disprezzati, provare sicurezza e sentirsi al sicuro, provare indifferenza o al contrario commuoversi di fronte a un evento? L’Intersoggettività si riferisce alla “quintessenziale” natura degli esseri umani, intesi come corpi situati, che provocano e provano sentimenti e compiono azioni.
Essere, sentire, agire e conoscere descrivono modalità diverse delle nostre relazioni corporee con il mondo. Sul principio del vivere la nostra vita con un altro, mi viene in mente una delle storie più lette al mondo e scritta da Antoine de Saint – Exupery: Il piccolo principe, densa di significati e significativi legami.
L’incontro tra il piccolo principe e la volpe avviene casualmente, così si conoscono e intrattengono una conversazione: «Vieni a giocare con me?» Le Propose il piccolo principe. «Sono cosi triste.» «Non posso giocare con te, non sono stata addomesticata», disse la volpe. «Che cosa vuol dire “addomesticare?”» Chiese il piccolo principe. «È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire saper “Creare dei legami”.» «Creare dei legami?» «Certo. Tu fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a cento mila ragazzini. Io non ho bisogno di te, e neppure tu ha bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a cento mila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremmo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica al mondo.» «Comincio a capire. C’è un fiore… che, credo, mi abbia addomesticato…» disse il piccolo principe. «[…] Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana come una musica. E poi guarda! Vedi laggiù i campi di grano? Non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento tra le spighe. Per favore… addomesticami.» Disse la volpe.
Vorrei poter continuare a scriverla, ma questa storia è già narrata ed è densa, ricca di contenuti. Ci dice in maniera poetica quanto sono importanti i rapporti, le connessioni tra un essere e un altro, anche se diversi. La storia prosegue in una fitta attività di incontri, scanditi da fiducia, linguaggio verbale e corporeo, da riti e infine da un saluto che ha il sapore di un addio: «Ecco il mio segreto: non si vede bene che col cuore. Ciò che è essenziale è invisibile agli occhi […]» disse la volpe.
Tuttavia seppur rattrista, la separazione, il legame da creato da una base sicura, rende il distacco sopportabile e non traumatico. Questo brano può ben rappresentare la Teoria dell’Attaccamento di Bowlby che parla di modelli rappresentativi interni, che ritiene che rimangano e nel corso della vita, ci aiutano, ci orientano nei momenti di difficoltà e di crisi.
I modelli di attaccamento si costruiscono anche rispetto al sé corporeo, stress e sofferenza determinano delle condizioni somatiche di difficoltà anche in età adulta e quando subiamo perdite, abbiamo risonanze fisiche. Eppure, nonostante dai tempi di Aristotele si discuta della natura sociale degli esseri umani, questo non ha impedito una visione solipsistica della natura umana. Ciò nonostante, l’essenza della cognizione sociale è legata alla comprensione del comportamento degli altri.