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Manifesto del progetto.
Cucina Sovversiva vuole essere un tentativo collettivo di immaginare una maniera di preparare un cibo che “alimenti” relazioni sane, mutuali e orizzontali tra chi produce e chi consuma, tra chi abita i territori in cui si coltiva e il destinatario finale del prodotto.
Cucina sovversiva vuole essere la visione utopica e reale, concreta al tempo stesso di una filiera del cibo che spezzi tutte le catene dello sfruttamento capitalista che non vede altre ragioni d’essere se non quello del profitto a discapito dei territori violentati e depauperati, dei lavoratori sfruttati fino a quando regge il business e poi lasciati a loro stessi, dei complessi ecosistemi i cui equilibri vengono rotti da coltivazioni intensive, da monoculture e da un largo uso di diserbanti e pesticidi che impoveriscono i terreni rendendoli, a lungo termine, improduttivi.
La nostra cucina vuole sovvertire questi modelli di produzione su cui si basa la nostra economia e immaginare relazioni completamente diverse. Crediamo che il consumo di cibo sia, tra le diverse aree della speculazione, quella su cui la gente possa influire maggiormente con le proprie scelte.
“Cucina Sovversiva”, per questo, vuole diventare una comunità virtuale, orizzontale, aperta a chiunque desideri sperimentare nuovi modi di cucinare e condividere le proprie esperienze per diffondere il tentativo di sovversione non solo in contesti politici, sociali e rivoluzionari ma anche nelle cucine delle case private e dei locali pubblici concretizzando la trasformazione sociale a partire dal consumo del cibo.
Il fattore sociale come approccio principale del progetto.
Il senso della cucina non può limitarsi al gusto dei singoli ingredienti utilizzati ed a quello del piatto finito. E’ necessario chiedersi quale origine abbiano gli ingredienti utilizzati e da quale tipo di produzione e distribuzione provengano. Quando cuciniamo dobbiamo poterlo fare con la convinzione che gli ingredienti che utilizziamo e la maniera attraverso cui vengono prodotti non abbiano un impatto nefasto sull’ambiente, sull’economia e sulle condizioni di lavoro di chi partecipa ai processi produttivi.
Dobbiamo cucinare con la consapevolezza di poter ripetere la stessa ricetta alla stessa maniera e con gli stessi ingredienti anche tra 10, 50, 100 anni.
Per avere un impatto sociale positivo la nostra cucina deve utilizzare materie prime provenienti da produttori e agricoltori del nostro territorio che producono loro stessi senza l’intermediazione di altri e senza aver bisogno del lavoro altrui per incrementare la produzione ed arricchirsi.
I nostri ingredienti devono provenire rigorosamente da auto- produttori: senza difficoltà possiamo procurarci farine, cereali, legumi, ortaggi e verdure.
Andiamo a fare la spesa alla fiera delle autoproduzioni, prendiamo contatti con i produttori che ci interessano ed ordiniamo da loro ciò che ci serve. Sosteniamo tutti i circuiti delle autoproduzioni della nostra zona, impariamo a conoscerli e andiamo a visitare aziende agricole, campagne per vedere di persona come vengono coltivati i prodotti che utilizziamo in cucina.
“Cucina etica”, ma non solo.
Alla base di questo tipo di cucina deve esserci una sorta di “sostenibilità” ovvero l’idea che un modello possa essere riprodotto oggi in qualsiasi parte del nostro pianeta e che possa durare nel tempo senza andare incontro all’esaurirsi di risorse, al consumo di terre, a condizioni che impediscono la perpetua riproduzione del modello a causa del modello stesso.
Nei decenni successivi all’ultima guerra mondiale l’occidente ha assistito ad una grossa crescita economica che non è stata pari per le altre aree del pianeta, anzi è stata tale per l’occidente a discapito di altre aree del pianeta.
“Crescita economica” vuol dire che circola moneta, che aumenta il consumo e che multinazionali e grande distribuzione cercano di soddisfare le richieste per ingrassare a loro volta.
Grandi appezzamenti di terre del sud del mondo sono stati comprati da multinazionali per essere destinati alla produzione di semi e cereali per alimentare gli animali degli allevamenti intensivi occidentali sorti nel dopoguerra per soddisfare la crescente domanda di carne e derivati di origine animale. Oggi noi sappiamo con certezza che questa filiera non è sostenibile, non lo è mai stata. Molte persone per questa, ma anche per altre ragioni, scelgono di adottare un regime alimentare vegetariano o vegano. Tuttavia, queste scelte non possono essere imposte perchè riguardano lo spazio della coscienza individuale, ciò nonostante, bisogna prendere atto della “non sostenibilità” di questo determinato tipo di consumo.
I nostri antenati limitavano l’uso della carne in cucina ad una o due volte alla settimana. Oggi chi non vuole eliminare il consumo di carne e derivati deve rendersi conto che ha due scelte: la prima è quella di consumare carne e derivati solo due giorni a settimana ed acquistare questo tipo di prodotti solo da piccoli allevatori che non usano il sistema di allevamento intensivo; la seconda possibilità è quella di alimentare il sistema che sfrutta territori, chi li abita, chi ci lavora e distrugge interi ecosistemi.
Noi vogliamo immaginare che questi meccanismi deleteri possano essere riconosciuti e abbattuti e per questo vogliamo sperimentare e condividere esperienze culinarie basate esclusivamente su prodotti di origine vegetale – senza derivati animali.
Dunque, il progetto “Cucina Sovversiva” utilizza ingredienti di origine esclusivamente vegetale e provenienti dagli auto-produttori. Non dobbiamo confondere la Cucina Sovversiva con la cucina vegana dei supermercati o dei circuiti bio. In tal senso, la Cucina Sovversiva è molto di più che, esteriormente vegana, opponendosi al business che la grande distribuzione sta creando attorno a questa nuova tendenza. Crediamo che comprare prodotti vegani già pronti dallo scaffale del supermercato non è affatto etico. Spesso questi prodotti sono di origine industriale e prodotti e confezionati oltre frontiera. Protestare contro l’alta velocità e comprare prodotti con una filiera così lunga non è per nulla etico, coerente, sovversivo.
Cucina genuina, energia, vitalità e salute.
Ciò che alimenta deve nutrire, aiutare a crescere e non deve distruggere o nuocere.
La Cucina Sovversiva deve essere per quanto possibile salutista senza perciò negare il piacere del buon cibo. Un’alimentazione prevalentemente vegetale è tendenzialmente ma non necessariamente salutista. Se cominciassimo a ridurre lo zucchero e ad evitare il cibo industriale avremmo fatto un primo passo in avanti.
L’eliminazione del cibo industriale ha un carattere non solo salutista ma soprattutto etico e sociale.
C’è però tutta quella tipologia di cibi definita da fast-food su cui bisogna fare una riflessione.
Queste catene di punti vendita che fanno riferimento ad una azienda madre da cui sono obbligati a rifornirsi di tutti i prodotti, usano quasi esclusivamente cibo surgelato di produzione industriale che ne facilita la preparazione in pochi minuti. Non possiamo ambire a portare un cambiamento all’interno dei fast-food che in quanto tali (punti vendita di multinazionali) andrebbero sempre boicottati, però possiamo riprodurre quel tipo di cibo utilizzando ingredienti provenienti da autoproduzioni: Ad esempio, il pane bianco possiamo farlo in casa con farina di grano tenero comprata direttamente dal contadino di fiducia; le patatine possono essere preparate in tanti modi a partire da patate genuine; e così via per salse, creme e condimenti: si preparano in poco tempo con ortaggi, legumi e latti vegetali; mentre hamburger e polpettine vegetali si modellano a partire da cereali, legumi conditi con spezie. “La Cucina Sovversiva” deve fare anche questo: immaginare una trasformazione del cibo spazzatura in cibo “sfizioso e salutare” da preparare in casa con facilità.
In questo, viene meno il vincolo alla rinuncia verso questo tipo di cibo, che ancora attrae tanta gente, da parte di chi vuole rispettare le implicazioni salutiste, e quelle etiche e sociali di una certa maniera di “fare cucina”.
Di pari passo, va fatto un lavoro di recupero delle ricette delle tradizioni regionali, spesso definite “povere”, accessibili a tutti, genuine e basate sull’essenzialità degli ingredienti vegetali, stagionali e su piante selvatiche; ricette rielaborate quando serve per ricollocarle nella prospettiva visionaria progettuale della “Cucina Sovversiva”.
Cucina popolare, contro la disuguaglianza e la disparità sociale
La Cucina Sovversiva, come già detto, deve essere chiaramente accessibile a tutti e non deve comportare costi elevati nella sua applicazione.
Di conseguenza, va escluso l’acquisto di prodotti biologici certificati se non necessario, per una doppia ragione.
Il biologico certificato è un business che ha il solo scopo di far lievitare i prezzi a partire dal produttore che ci specula con l’inganno che il bio certificato sia completamente naturale ed esente, nella coltivazione dall’uso di pesticidi chimici.
In realtà il protocollo biologico, per legge, prevede l’impiego di un certo tipo di prodotti chimici, vietandone altri, entro certi limiti nella quantità e nel tempo. Tralasciando le truffe di un certificato che il produttore compra e che come tutto ciò che si compra si può ottenere facilmente seppure senza requisiti ma con i denari; possiamo arrivare alla conclusione che in certi circuiti di distribuzione e vendita è più facile trovare prodotti naturali più biologici di quelli certificati sebbene senza certificazione perché fuori da logiche speculative. Prezzo e qualità devono orientarci verso l’acquisto diretto dai produttori dei circuiti delle autoproduzioni. Quando anche questo diventa difficile, bisogna riuscire a sviluppare rapporti mutuali con gli stessi produttori provando, per esempio, a scambiare un paio di giornate di lavoro in campagna con del prodotto.
Senza contare che spesso nella grande distribuzione del biologico certificato viene meno l’aspetto sociale in quanto trattasi nella maggior parte dei casi di grandi aziende che attraverso la manodopera di operai alimentano le differenze tra chi si arricchisce col lavoro di altri e chi è costretto a lavorare per altri, quelli che si arricchiscono, per poter sopravvivere.
La questione del costo di preparazione dei piatti è, però, fondamentale.
Stabilite le linee fondamentali della Cucina Sovversiva possiamo cedere anche, talvolta, a dei compromessi cercando di recuperare gli ingredienti principali di un piatto dagli auto-produttori ed acquistando qualche altra cosa nella grande distribuzione sia per questioni di reperibilità che per mantenere basso o non alzare troppo il costo di un piatto.
Intenti ed applicabilità.
A partire da questo manifesto si vuole creare una comunità virtuale che sperimenta e condivide esperienze, che diffonde questo approccio sovversivo alla cucina e che si ritrova e si incontra attraverso l’organizzazione di aperitivi e cene sovversive e di momenti di confronto e dibattito in cui approfondire questioni teoriche e pratiche legate alla “possibilità di nutrirsi” attraverso un’idea etica, critica, “sovversiva” appunto, se si pensa alle dinamiche attuale, di “fare cucina”.
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bellissimo