Dai campi di sterminio allo…sterminio dei campi

di Domenico D’Alba

Mi piange, il cuore, quando, raggiungendo il mio poderetto rigoglioso di erba che, dondolandosi al vento, mi accoglie festosamente, gli occhi cadono sullo spoglio appezzamento confinante. Brulla terra, esanime. L’odore della morte, saturando di sé l’aria, soffoca le narici. Seccume giallastro, suolo asfittico. Desolazione.
Sopravvivono faticosamente, alcuni rachitici ciuffetti e, come boccheggianti lapidi dell’immane eccidio, urlano il loro straziante dolore, agli uomini ed al cielo. Inascoltati dai tanti, solerti nel calpestare etica e diritto e genuflessi, consapevolmente o distrattamente, ai mille altari di pietra, laici o religiosi, ricoperti di fastosi paramenti incrostati di ipocrisie e compromessi al ribasso.
La vita pullulava, un tempo. In quel campo. Sovrastato da secolari ulivi, che scuotono convulsamente le chiome, per la disperazione dello sterminio. Volevano sferrare poderosi calci agli scarni glutei dell’abbronzato contadino ed incalzare fino all’inferno l’irresponsabile che con un’arancione pompa di irrigazione seminava glifosate, come se nevicasse.
Proprio come avevano fatto i marines americani sul Vietnam del Sud irrorando le foreste pluviali con l’”Agente Arancio”, perché perdessero le foglie; per avvistare e snidare i contadini che difendevano la loro patria, la terra degli avi, il futuro dei figli.
La terra, però, avvinghiò tenacemente le radici, frementi di sdegno e versanti amare lacrime di linfa contaminata.
Esausti ora sopravvivono, gli argentei ulivi, sostenuti dalla forza della loro robusta fibra e dall’esperienza maturata nelle mille peripezie climatiche, pedologiche e colturali. Anche per loro, però, il cedimento strutturale è dietro l’angolo. E… qualcuno tirerebbe in gioco la xilella fastidiosa! Ed invocherebbe tagli indiscriminati, eliminando, di conseguenza, l’identità colturale, risalente agli antichi immigrati greci. E perorerebbe lo sversamento di… fiumi di pesticidi, che fanno esultare le multinazionali della chimica, a cui non importa nulla della salubrità del suolo, dell’acqua, aria e… della salute dell’uomo.
Affondo la mia zappetta nell’arida terra, alla ricerca di qualche superstite lombrico. Per capire. Eventualmente, per salvarlo. Neanche l’ombra. Le minuscole gallerie? Rinsecchite o crollate! E le folte torme di batteri? Dove sono finite le frenetiche schiere di laboriose formiche, che incantano i bambini ogni volta che le adocchiano? Dove mai si saranno appostate le lucertole che si rosolano al sole, facendo scattare le loro testoline senza collo al più flebile pericolo? E le rosse coccinelle, dai sette puntini neri, utili nella lotta biologica? A che destino sono andate incontro le chiocciole arricchenti il magro pasto di nonno Giuseppe e nonna Nicoletta, che mangiavano a ritmi cadenzati dall’ampio piatto di ferro smaltato? E le lucciole che con la loro presenza garantiscono la bontà dell’aria? E le api, la cui falcidie, mette a repentaglio, per la mancanza dell’impollinazione, la fruttificazione a peri, meli, ciliegi, viti, melograni, cachi, peschi…? E… le vespe?
Già, le care vespe! Particolarmente aggressive, quel giorno assolato di maggio. Per un pelo non mi provocarono uno shock anafilattico, per aver involontariamente calpestato il loro nido rintanato sotto un ulivo del generoso Vincenzo, comodante del piccolo uliveto che coltivo.
Quale nefasta sorte, dunque, è capitata a tutta la fauna e flora preesistente? Fumo, come quello che usciva dalle ciminiere di Auschwtz, dove “lavoravano” serenamente mamme e papà, affettuosi con i loro figli, conviviali con gli amici, e la domenica cantavano inni di gloria ai cieli religiosi ed a quelli del marketing. Volute di fumo. Dopo atroci sofferenze. Inascoltate. Da chi, scrolla le spalle con spocchiosa e tracotante sufficienza, e con uno sprezzante gesto della mano caccia le proposte di rapporti armonici da intessere con tutte le creature viventi ed abiotiche.
D’un tratto si placa il venticello che viene dal mare Adriatico, anche lui, come tutte le acque dolci, in seria apprensione per l’inquinamento chimico, e, dalle viscere della terra, tra flebili lamenti, affiorano fruscii e suoni che possono decodificare e comprendere, solo i tanti esseri viventi dall’identico respiro cosmico.
“Noi radici”, viene sussurrato con un fil di voce nell’esperanto della natura, “sappiamo immediatamente riconoscere al tatto le sostanze capaci di favorire l’armoniosa crescita delle piante, percepiamo all’instante gli odori nauseabondi, sentiamo il loro pestifero gusto, ma non siamo minimamente in grado di contrastare la risalita dei tossici liquidi che per capillarità raggiungono le più estreme propaggini del nostro smisurato corpo. Avvertiamo un bruciore che si propaga, poi, per osmosi in ogni cellula vegetale, e soffriamo pesantemente, lanciando urla che anche le pietre sentono ed … entrano in fibrillante angoscia. Loro!
Voi uomini, invece, razionali, vi lasciate abbindolare dalle narcotizzanti parole dei molti che comandano, ma non intendono governare pariteticamente le relazioni interpersonali ed interspecifiche, secondo i criteri della democrazia affettiva. Soggiacete alle lusinghe della pubblicità che vi circuisce, annegandovi nel consumismo più sfrenato. Persino, permettete, ahimè! che il vostro tessuto sociale si sfilacci! Per convenienza o rassegnazione, insomma, rinunciante ad avvalervi di quella scintilla di divinità che brilla in voi come anche in tutte le forme di vita. Che peccato! Non riuscite proprio a liberarvi della atavica ed autolesionistica visione antropocentrica dell’universo!
Il miserabile contadino, l’esecutore materiale dell’eccidio, poteva usare una fresatrice per eliminare l’erba o avvalersi di un decespugliatore, per contenere l’esuberanza vitale dell’avena fatua, delle margherite, calendule, cicorie selvatiche, della rucola, malva, del papavero. Ha preferito, invece, ricorrere al diserbante della Monsanto che in un batter d’occhio ha eliminato ogni forma di vita. E troncherà anche la sua, quella dei suoi cari, dei suoi amici che un giorno o l’altro busseranno alle porte dell’oncologo, come teme l’Organizzazione Mondiale della Sanità. E rimarrà sgomento ed angosciato nell’apprendere l’inclemente diagnosi. E sconvolgerà anche la tua vita! Sì, la tua! La tua! La tua! Dico proprio a te! …E quella dei tuoi figli e nipoti, a cui lascerai in eredità un terreno avvelenato per sempre!”
Silenzio.
Poi… i miei polmoni riprendono ad ossigenare, le foglie argentee a stormire, i capolini dei rossi papaveri ad occhieggiare e da lontano arriva lo sciabordio dell’Adriatico. Fino a quando, se non ci sarà l’avvedutezza di un colpo di reni? Di tutti!

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