“Desideria. Atto primo” di Carlo Capotondo è il capitolo d’esordio di una serie di racconti che si svilupperanno in più volumi, e in cui i generi letterari si avvicendano spaziando dal noir al romantico, dal surreale al drammatico.
Il punto di forza di queste storie sono i personaggi: realistici, tormentati, inquieti; e ancora bugiardi, folli, cinici e a volte sadici. Tutti accomunati dall’aver vissuto dei traumi che hanno deviato il loro percorso esistenziale, e che hanno pregiudicato il loro sguardo sul mondo; sono però personaggi capaci anche di commuoventi atti di generosità e di sacrificio: figure complesse, quindi, in cerca della loro strada in una realtà nebbiosa e oscura, che non regala niente, soprattutto a loro. E a volte questa realtà fa tanto male che l’unica soluzione sembra essere quella di mentire a sé stessi, di costruirsi delle verità personali e personalizzabili, in cui rintanarsi per proteggersi dalle brutture della vita.
Ogni gesto, ogni pensiero, è finalizzato a cercare di alleviare l’enorme dolore che provano, o per mitigare il senso di colpa e la vergogna di non essere conformi alla società. Lo vediamo nel racconto dal titolo “Desideria”, che si apre sulla prospettiva di un uomo solitario e profondamente introverso: «Paolo camminava lento, trascinandosi per la città in cui era nato ma che non aveva mai sentito sua. La tristezza lo attanagliava puntuale ogni estate, e mai come l’anno precedente, precisa come la morte, portandolo alla negazione del piacere della compagnia e del rispetto per se stesso, quasi costringendolo a rinnegarsi. Non era mai stato a proprio agio in mezzo alle persone, ma nel complesso universo della sua misantropia a volte riusciva a sopravvivere ripetendosi che “Da soli non si può vivere, perché chi non comunica con i propri simili alla fine morirà dentro”».
Oltre all’intenso Paolo, conosciamo Desideria, una ragazza pericolosa quanto una bomba innescata, e allo stesso tempo fragile, insicura, sommersa dalle macerie della sua vita disgraziata. Quando i due personaggi si incontrano, le conseguenze della loro unione non sono affatto rosee: due solitudini, due tristezze, due rabbiose attitudini possono annullarsi e curarsi a vicenda, oppure creare un’esplosione violenta. Non è difficile immaginare quale sia l’esito a cui giunge Carlo Capotondo, che nei suoi racconti decide di essere brutalmente onesto, senza girare intorno alle situazioni: succede, allo stesso modo, nella drammatica storia intitolata “Sotto un cielo di follia turchese”, o ancora in quella, densa di combattiva disperazione, intitolata “Io sono Gino, il braccio armato del popolo”.
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