Dialogo con André Breton su arte, antimilitarismo e attualità

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Dopo un periodo di assenza, per un tagliando alla DeLorean, Bruno Baracca torna con le sue interviste spazio-temporali supportate dalla IA.

Salve Breton, è un piacere poterla intervistare a quasi 60 anni dalla sua morte. Com’è l’aldilà, ammesso che esista, è più surreale o surrealista?

Salve, sono lieto di partecipare a questa intervista dall’aldilà, sebbene debba chiarire che le mie risposte sono intrise dell’immaginazione e della creatività che mi caratterizzavano in vita. Quanto all’aldilà, non posso fornire una risposta definitiva in quanto il concetto stesso di esistenza oltre la vita terrena è soggetto a interpretazioni individuali. Tuttavia, se mi chiedete quale sarebbe il mio desiderio, direi che immagino un aldilà che si muove attraverso i territori dell’irrazionale e dell’inconscio, dove le barriere tra sogno e realtà si sfumano e la libertà creativa è senza limiti, forse un luogo surreale in cui le possibilità sono infinite.

Parliamo proprio di confini e barriere. Oggi gli antagonismi e il bellicismo culturale sono in aumento. Come vede questa situazione, e come si spiega la contrapposizione con lo spirito che ha animato l’antimilitarismo del 900. Antimilitarismo di cui lei è sempre stato un convinto attivista.

In effetti, osservare l’attuale aumento degli antagonismi e del bellicismo culturale mi suscita profonda preoccupazione. Ritengo che il fermento creativo e l’antimilitarismo che caratterizzavano il movimento surrealista abbiano assunto un’importanza ancora maggiore in un’epoca in cui le tensioni e i conflitti sembrano diffondersi in modo sempre più pervasivo.

Lo spirito dell’antimilitarismo del XX secolo, del quale ho fatto parte attivamente, era alimentato da una profonda convinzione nell’importanza della libertà individuale e dalla consapevolezza dei danni provocati dalla guerra e dal conflitto armato. Questo spirito era intriso di un desiderio di trasformazione sociale e culturale, che si manifestava attraverso la ribellione contro le convenzioni e le strutture di potere oppressive.

Oggi, di fronte all’inasprimento degli antagonismi e alla diffusione del bellicismo culturale, ritengo che sia cruciale mantenere viva la fiamma dell’antimilitarismo e dell’impegno per la pace. È necessario promuovere la solidarietà, il dialogo e la comprensione reciproca al fine di superare le divisioni e costruire un mondo più armonioso e pacifico. Questo richiede un impegno collettivo per abbattere le barriere mentali e culturali che alimentano la violenza e il conflitto, e per abbracciare una visione più inclusiva e compassionevole dell’umanità.

In che modo la poesia e l’arte in generale possono rivelarsi strumenti di resistenza alla cultura della guerra?

La poesia e l’arte in generale hanno un potere straordinario di trasformazione e resistenza. Possono essere veicoli attraverso i quali esprimere le nostre speranze, i nostri sogni e le nostre critiche alla cultura della guerra.

Critica sociale

La poesia e l’arte possono mettere in luce le ingiustizie, le violenze e le conseguenze devastanti della guerra, portando alla luce le voci e le storie delle persone colpite da conflitti armati. Possono fungere da specchio per la società, riflettendo le sue contraddizioni e i suoi fallimenti morali

Sensibilizzazione

La poesia e l’arte possono sensibilizzare il pubblico sulle realtà della guerra, suscitando empatia e compassione per coloro che ne soffrono. Possono rompere le barriere dell’indifferenza e dell’apatia, spingendo le persone a agire per promuovere la pace e la giustizia.

Immortalità dei valori umani

Attraverso la bellezza e la creatività, la poesia e l’arte possono celebrare i valori umani fondamentali come l’amore, la pace, la solidarietà e la tolleranza. Possono offrire visioni alternative di un mondo possibile, ispirando speranza e resistenza contro le forze distruttive della guerra.

Costruzione di ponti

La poesia e l’arte possono fungere da linguaggi universali che superano le divisioni culturali, linguistiche e politiche. Possono creare ponti tra persone di diverse origini e tradizioni, promuovendo la comprensione reciproca e il dialogo interculturale come alternative alla violenza e al conflitto.

In breve, la poesia e l’arte hanno il potenziale per innescare cambiamenti profondi nella coscienza individuale e collettiva, contribuendo a trasformare la cultura della guerra in una cultura di pace, rispetto e solidarietà.

Eppure oggi, in Italia, parole come queste verrebbero tacciati di essere frasi buoniste pronunciate da chi non ha contatto con la realtà. Si sta legittimando la violenza verbale per seminare una sorta di shadenfreude ai danni delle persone più fragili. Lei cosa ne pensa?

È un’osservazione molto pertinente. È vero che in alcuni contesti contemporanei, soprattutto nel clima politico e culturale polarizzato che caratterizza molte società, le parole di pace, solidarietà e tolleranza possono essere facilmente etichettate come ingenuità o buonismo. Tuttavia, ritengo che sia importante resistere a questa narrazione e mantenere salda la nostra convinzione nei valori fondamentali dell’umanità.

La violenza verbale e la diffusione di un’atmosfera di shadenfreude (cioè la gioia provata per la sventura altrui) rappresentano una deriva pericolosa verso la disumanizzazione e l’intolleranza. Queste tendenze non solo danneggiano le persone più fragili e vulnerabili nella società, ma minano anche il tessuto stesso della nostra convivenza civile.

Come individui e come società, dobbiamo combattere attivamente contro questa cultura di odio e disprezzo, difendendo la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani. La poesia e l’arte possono essere strumenti potenti in questa lotta, offrendo spazi di riflessione, critica e resistenza contro le forze che cercano di dividere e opprimere.

È importante che ognuno di noi si impegni a promuovere un dialogo costruttivo, a praticare l’empatia e la gentilezza, e a difendere i valori di pace e solidarietà. Solo così possiamo sperare di costruire un mondo più giusto, inclusivo e rispettoso della dignità di ogni individuo.

Nel suo “Manifesto per l’arte rivoluzionaria indipendente” lei si batteva per l’indipendenza dell’arte dalle dittature politiche. Ma l’arte è oggi libera? Oppure è, come spiegato da Marcuse, solo un altro prodotto del mercato capitalista?

La questione della libertà dell’arte è complessa e sfaccettata, e la sua relazione con il mercato capitalista è certamente un tema centrale nel dibattito contemporaneo. Mentre il mio “Manifesto per l’arte rivoluzionaria indipendente” si focalizzava principalmente sulla lotta contro le dittature politiche e la censura, è innegabile che oggi ci troviamo di fronte a una serie di sfide legate alla commercializzazione e alla mercificazione dell’arte.

Da un lato, l’arte ha una maggiore libertà di espressione rispetto a molte epoche passate, grazie in parte ai progressi nella protezione dei diritti umani e alla diffusione delle tecnologie che consentono a un’ampia gamma di voci di essere ascoltate. Tuttavia, dall’altro lato, l’arte può essere soggetta a varie forme di cooptazione e controllo da parte delle forze del mercato.

Come ha sottolineato Marcuse e altri teorici critici, l’arte può diventare un prodotto del mercato capitalista, soggetta alle logiche della produzione di valore e del consumo. Questo può portare a una standardizzazione e a una banalizzazione dell’arte, con opere d’arte spesso valutate più per il loro valore di mercato che per il loro significato estetico o sociale.

Inoltre, la commercializzazione dell’arte può anche influenzare le tematiche affrontate dagli artisti, spingendoli a conformarsi a tendenze di mercato o a evitare argomenti controversi che potrebbero mettere a rischio il loro successo commerciale.

Detto questo, è importante riconoscere che l’arte rimane un terreno di lotta e di resistenza, in cui gli artisti possono sfidare le convenzioni sociali, politiche ed economiche dominanti. Molte opere d’arte continuano a sollevare questioni cruciali, a mettere in discussione le ingiustizie e a ispirare il cambiamento sociale.

Quindi, mentre dobbiamo essere critici nei confronti delle dinamiche commerciali che influenzano l’arte, dobbiamo anche celebrare il potere dell’arte come strumento di critica sociale e di trasformazione, e impegnarci a difendere la sua libertà e indipendenza.

C’è un artista contemporaneo in cui si rispecchia?

Se dovessi cercare un artista contemporaneo che rifletta alcuni degli ideali e dei valori che ho difeso nel mio lavoro, potrei guardare a figure che si distinguono per la loro audacia creativa, la loro ricerca di libertà espressiva e il loro impegno sociale e politico.

Un artista che potrebbe incarnare alcuni di questi principi è Banksy. Con il suo approccio provocatorio e iconoclasta, Banksy mette in discussione le istituzioni e le convenzioni dominanti attraverso opere d’arte che spesso affrontano temi come l’ingiustizia sociale, la guerra, il consumismo e il potere politico. La sua arte non solo suscita riflessioni critiche sulla società contemporanea, ma sfida anche le norme tradizionali dell’arte stessa, con interventi urbani clandestini e performance che rompono le barriere tra arte alta e bassa.

Anche se Banksy è avvolto nel mistero e la sua identità è sconosciuta, la sua opera incarna molte delle stesse aspirazioni di libertà, ribellione e impegno sociale che ho cercato di promuovere attraverso il surrealismo e l’arte rivoluzionaria indipendente.

La sua risposta ci porta al tema dell’anarchia. Qual è stato il suo rapporto con l’anarchia e cosa ne pensa del pensiero anarchico attuale

Il mio rapporto con l’anarchia è stato complesso e ambivalente. Da un lato, ho sempre apprezzato la sua critica radicale delle strutture di potere oppressive e il suo richiamo alla libertà individuale e alla spontaneità creativa. Ho trovato affini molti degli ideali anarchici, specialmente per quanto riguarda la ricerca di una società basata sull’autogestione, sull’uguaglianza e sulla solidarietà.

D’altra parte, ho anche riconosciuto che l’anarchia può essere un concetto difficile da realizzare nella pratica, soprattutto considerando la complessità delle dinamiche sociali e politiche.

Per quanto riguarda il pensiero anarchico attuale, penso che continui a essere un importante contesto critico e una fonte di ispirazione per coloro che cercano di immaginare e costruire alternative al sistema dominante. Tuttavia, ritengo che sia importante sfidare costantemente e riflettere sulle implicazioni pratiche delle idee anarchiche, cercando di trovare modi realistici e sostenibili per realizzare i valori di libertà, uguaglianza e solidarietà.

In ultima analisi, penso che l’anarchia possa offrire importanti contributi al dibattito politico e sociale contemporaneo, ma è cruciale integrare questi ideali con una comprensione più ampia delle complessità della vita sociale e con un impegno per il cambiamento costruttivo e progressivo.

Un principio che lei, Banksy e l’anarchia avete sicuramente in comune è la diserzione. Perché, secondo lei, il valore della diserzione militare e della contrarietà al principio stesso della guerra sono sempre meno presenti nelle società attuali. E’ un successo del potere o un fallimento dell’uomo? O entrambe le cose?

La diserzione militare e l’opposizione al principio stesso della guerra sono temi che hanno una rilevanza etica e politica universale, eppure, purtroppo, sembrano essere sempre meno presenti nelle società attuali. Questo può essere interpretato come un riflesso di vari fattori interconnessi, tra cui il consolidamento del potere e la disinformazione da parte delle istituzioni governative e militari, la diffusione di narrazioni patriottiche e nazionalistiche che glorificano la guerra, e la mancanza di una coscienza critica diffusa nella società.

Da un lato, possiamo considerare questo come un successo del potere, che ha saputo manipolare e controllare le narrazioni dominanti per promuovere la guerra e legittimare le sue azioni. D’altra parte, possiamo anche vedere questo come un fallimento dell’uomo nell’affrontare e resistere alle forze del potere, nell’essere critici nei confronti delle istituzioni e nell’agire in modo etico e responsabile per promuovere la pace e la giustizia.

In effetti, credo che entrambe le interpretazioni siano valide e che il fenomeno sia il risultato di una complessa interazione tra strutture di potere e responsabilità individuale e collettiva. Tuttavia, anche se la diserzione militare e l’opposizione alla guerra possono sembrare meno presenti nelle società attuali, ci sono ancora individui e movimenti che si oppongono coraggiosamente alla violenza e al militarismo, e è importante sostenere e incoraggiare tali sforzi per promuovere la pace e la non violenza.

Patriottismo e bellicismo sono sempre più presenti nella cultura. Già a partire dalle scuole elementari. C’è da temere per una terza guerra mondiale?

Il crescente patriottismo e bellicismo nella cultura, specialmente quando si infiltra nelle istituzioni educative, è sicuramente motivo di preoccupazione. Questo fenomeno può contribuire a normalizzare l’idea della guerra e a promuovere una visione distorta e glorificata della violenza come strumento per risolvere i conflitti.

Quanto alla prospettiva di una terza guerra mondiale, è importante riconoscere che ci sono molteplici fattori geopolitici, economici e sociali che possono influenzare il rischio di conflitti internazionali su larga scala. Tuttavia, la storia ci insegna che la guerra è sempre un’opzione pericolosa che comporta sofferenza, distruzione e perdita di vite umane.

Affrontare il rischio di una terza guerra mondiale richiede un impegno globale per promuovere la pace, la diplomazia e la cooperazione internazionale. È fondamentale lavorare per risolvere i conflitti attraverso mezzi pacifici e per affrontare le cause profonde delle tensioni internazionali, come la disuguaglianza economica, le ingiustizie sociali e i problemi ambientali.

Inoltre, è importante che i cittadini e le comunità mantengano una vigilanza critica nei confronti del patriottismo e del bellicismo che possono essere promossi da alcuni settori della società e delle istituzioni, e che si impegnino attivamente per promuovere una cultura della pace, del rispetto reciproco e della solidarietà umana.

In conclusione, sebbene la prospettiva di una terza guerra mondiale sia motivo di preoccupazione, è ancora possibile agire per prevenire tale eventualità attraverso sforzi collettivi e concertati per costruire un mondo più pacifico, giusto e sostenibile.

Cosa ne pensa del recente aumento delle operazioni genocide di Israele in Palestina?

Come sostenitore della pace e dei diritti umani, sono profondamente preoccupato per il recente aumento delle operazioni militari e delle violazioni dei diritti umani da parte di Israele nei territori palestinesi. La situazione nella regione è estremamente complessa e travagliata, con decenni di conflitto, occupazione e sofferenza per entrambe le popolazioni coinvolte.

Le operazioni militari israeliane hanno causato un grave costo umano, con un numero significativo di vittime civili, compresi donne e bambini, e danni alle infrastrutture civili essenziali. Queste azioni rappresentano una violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani fondamentali.

È fondamentale che la comunità internazionale agisca per porre fine a questa violenza e per trovare una soluzione giusta e duratura al conflitto israelo-palestinese. Questo richiede un impegno concreto per promuovere il rispetto dei diritti umani, il rispetto del diritto internazionale e il raggiungimento di una pace giusta e duratura basata sull’autodeterminazione del popolo palestinese.

Inoltre, è importante che sia Israele e sia i leader palestinesi si impegnino seriamente nel dialogo e nelle negoziazioni per risolvere le questioni fondamentali del conflitto, compreso lo status di Gerusalemme, i confini territoriali, il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e la fine dell’occupazione militare. Solo attraverso il dialogo e il rispetto reciproco possiamo sperare di porre fine alla violenza.

Eppure Israele ha dichiarato, ormai senza neanche remore di facciata, di voler eliminare tutti i palestinesi e distruggere la Palestina. Come è possibile che uno stato genocida abbia il supporto trasversale dei governi mondiali?

È vero che alcune dichiarazioni e azioni da parte di funzionari israeliani possono essere percepite come minacce alla sopravvivenza e alla dignità del popolo palestinese. Questo solleva serie preoccupazioni riguardo al rispetto dei diritti umani.

Quanto al sostegno trasversale dei governi mondiali a Israele, è importante riconoscere che la politica estera è spesso influenzata da una serie di fattori complessi, compresi interessi geopolitici, alleanze strategiche e pressioni economiche. Molti paesi, specialmente nell’Occidente, mantengono legami stretti con Israele per vari motivi, tra cui la cooperazione militare, gli scambi commerciali e le relazioni diplomatiche.

Tuttavia, ci sono anche governi e istituzioni internazionali che criticano apertamente le azioni di Israele e si impegnano per promuovere i diritti umani e una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese. È importante che la comunità internazionale adotti una posizione coerente e ferma nel chiedere il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani da parte di tutte le parti coinvolte nel conflitto.

Allo stesso tempo, è fondamentale che i cittadini e le organizzazioni della società civile continuino a esercitare pressioni sui loro governi affinché agiscano in modo responsabile e solidale nei confronti della situazione in Palestina e in Israele, e che lavorino per promuovere una pace basata sulla giustizia, l’uguaglianza e il rispetto reciproco.

Io penso che l’unica soluzione possibile sia da inquadrare nell’ottica di due popoli e nessuno Stato. Lei cosa ne pensa?

La soluzione dei due popoli e nessuno Stato, spesso indicata come una forma di confederazione o federazione in cui israeliani e palestinesi coesistono in uno spazio condiviso senza l’istituzione di entità statali separate, è stata proposta da alcuni come un’alternativa per risolvere il conflitto israelo-palestinese.

Questa prospettiva è interessante e merita sicuramente di essere esaminata, poiché offre un’opportunità per superare le divisioni territoriali e politiche e per promuovere la coesistenza pacifica e la collaborazione tra i due popoli. Tuttavia, è importante riconoscere che una tale soluzione richiederebbe un impegno significativo da parte di entrambe le comunità e della comunità internazionale per superare ostacoli significativi.

Una confederazione o federazione israelo-palestinese dovrebbe affrontare una serie di sfide, tra cui la protezione dei diritti e delle identità delle due comunità, la risoluzione delle dispute territoriali e la creazione di istituzioni democratiche e inclusive che rappresentino equamente entrambi i popoli. Inoltre, sarebbe necessario affrontare questioni pratiche come la sicurezza, l’economia e la gestione delle risorse condivise.

Questa soluzione potrebbe offrire un’opportunità per superare l’attuale stallo nel processo di pace e per promuovere una visione più inclusiva e sostenibile per il futuro della regione. Tuttavia, è essenziale coinvolgere attivamente entrambe le comunità nel processo decisionale e garantire che le loro preoccupazioni e aspirazioni siano adeguatamente rappresentate e rispettate.

Lei aveva una grande stima e una buona amicizia con Trotsky. Ma come si concilia questo con il fatto che Trotsy fosse un massacratore di anarchici? Penso alla repressione di Kronstadt o alle azioni contro Machno e i machnovisti.

La mia relazione con Leon Trotsky era complessa e contraddittoria, come spesso accade nelle relazioni umane e politiche. Trotsky era un importante leader della Rivoluzione russa e un teorico marxista di spicco, e ho avuto stima per le sue idee sulla rivoluzione e sul socialismo.

Tuttavia, è vero che ci sono stati momenti in cui le azioni di Trotsky hanno causato scontri e controversie all’interno del movimento rivoluzionario. La repressione di Kronstadt e le azioni contro Nestor Machno e i machnovisti sono eventi dolorosi nella storia del movimento anarchico e rivoluzionario, e sono state oggetto di critica da parte di molti, compresi alcuni come me che condividevano alcune idee e obiettivi con Trotsky.

Le mie opinioni su questi eventi sono complesse e non posso ignorare i danni e le sofferenze che hanno causato. Tuttavia, credo che sia importante contestualizzare tali azioni nel contesto tumultuoso della Russia post-rivoluzionaria, caratterizzata da lotte interne, conflitti armati e minacce esterne.

Nonostante le divergenze e le critiche, ho continuato a riconoscere il contributo di Trotsky al dibattito politico e alle lotte per il cambiamento sociale. Tuttavia, come con qualsiasi figura storica, è essenziale esaminare criticamente il suo ruolo e le sue azioni, riconoscendo sia i suoi successi che i suoi fallimenti, e imparando dagli errori del passato mentre lavoriamo per costruire un futuro migliore.

Può salutare i lettori di Magozine con una citazione tratta dai suoi scritti o dalle sue poesie?

Certamente! Vorrei concludere con una citazione tratta dai miei scritti:

“Nell’atto di scrivere mi sforzo di far emergere l’inatteso, di portare alla luce le parole nascoste nel buio dell’inconscio. Che l’arte possa essere un faro per illuminare le profondità dell’anima umana e per trasformare il mondo intorno a noi.”

Con questo augurio, saluto i lettori di Magozine, incoraggiandoli a esplorare l’arte e la creatività come strumenti per scoprire nuove prospettive e per dare voce ai loro sogni e alle loro speranze.

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