Dittatura, influenza sociale e il “Continuum Genocida”

Dittatura: un termine romano

La dittatura è una forma di governo che accentra il potere in un solo organo, se non nelle mani di un solo dittatore. La scalata al potere di una dittatura è spesso favorita da situazioni di grave crisi economica (ad esempio in seguito a una guerra), da difficoltà sociali (lotte di classi), dall’instabilità del regime esistente o dalla preesistenza di un regime dittatoriale. Questa è la definizione che ci fornisce Wikipedia per un vocabolo che fa rabbrividire e rende la soft skill empatia un lontano miraggio.

L’etimologia e l’evoluzione della parola dittatura ce le spiega chiaramente Wikipedia: Il termine compare per la prima volta in De re publica ed in Pro Milone di Marco Tullio Cicerone. L’etimo deriva dal latino dictatură, la carica romana del dictātor, titolo che un magistrato, ai tempi della Repubblica romana, poteva ottenere dal Senato romano per essere investito di pieni poteri politici e militari in tempi di emergenza (dittatore romano).

L’evoluzione del termine: pertanto, il concetto di dittatura nasce come fondamentalmente diverso dai concetti di dispotismo e tirannide, che erano designati come forme degenerate di monarchia nell’antichità, nel medioevo e nella prima età moderna. L’accezione negativa di dittatura è nata con la Rivoluzione francese; il terrore instaurato da Robespierre fu chiamato dittatura con riferimento a un regime politico tirannico.

Dietro a una dittatura c’è sempre un personaggio dispotico con psicopatologia borderline e perlopiù psicopatica.

Tuttavia, quello della dittatura non è un processo immediato. Si sviluppa con il tempo servendosi delle debolezze e della ignoranza di un popolo, sfruttando la minoranza o nel peggiore dei casi la maggioranza. La folla, la moltitudine di persone anonime è un fenomeno che ha sempre spaventato la brama di potere se non è ella stessa a sfruttarla. Alcuni eventi storici lo confermano: quanto è stata spaventosa la folla per la regina Maria Antonietta di Francia?

L’influenza sociale

L’influenza sociale è  un fenomeno presente praticamente in ogni aspetto della vita. Un processo di influenza sociale implica che il destinatario (o bersaglio) compia un aggiustamento del proprio comportamento, delle proprie idee e dei sentimenti espressi da altri (fonte  o agente di influenza).

L’influenza della maggioranza

A volte, quando un gruppo si riunisce per prendere una decisione o per esprimere un giudizio, le opinioni individuali inizialmente divergono ed emergono posizioni o idee di vario tipo. In questi casi, è probabile che il risultato finale sia il frutto di un compromesso che tiene conto dei differenti pareri. Altre volte, invece, accade che un’idea o una posizione raccolga immediatamente la maggior parte dei consensi; quando ciò si verifica, chi la pensa in maniera diversa può avere difficoltà a esprimere la sua opinione o sentire forte la tentazione di adeguarsi al parere degli altri. È questo il fenomeno a cui si fa riferimento quando si parla di influenza della maggioranza.

L’influenza delle minoranze

I primi studi che hanno fatto esplicito riferimento all’influenza minoritaria sono stati resi noti da Faucheux e Moscovici nel 1967 […].

Per quali ragioni una minoranza priva di potere riesce a ottenere un impatto sociale e perché tale impatto si manifesta soprattutto in termini di conversione o di divergenza? L’influenza della minoranza sembra essere dovuta soprattutto al fatto che le persone autonome e dissidenti sono in genere oggetto di una ammirazione più o meno consapevole da parte degli altri, proprio perché mostrano di saper resistere alla pressione sociale, di avere il coraggio di mantenere la propria indipendenza di giudizio e di pensiero [Baron e Bellman 2007; Kerr 2002]. Inoltre una minoranza impedisce una soluzione unanime e obbliga il bersaglio a non dare per scontata la scelta maggioritaria, a rimetterla in discussione, allargando il campo delle possibili soluzioni.

L’influenza dell’autorità

Il tipo di influenza più noto a tutti è quello che viene esercitato da una persona sulla base dell’autorità che le viene riconosciuta dagli altri membri del gruppo della comunità. L’influenza dell’autorità si basa su uno o più dei seguenti fattori:

a)      Il desiderio, da parte del bersaglio, di evitare sanzioni

b)      Il desiderio di ottenere ricompense

c)      La credenza che la fonte abbia il diritto morale di prescrivere il comportamento

(Mucchi Faina, A. Et al., «a cura di» (2012) L’influenza sociale, seconda edizione, Edizioni Il Mulino)

Il Mein Kämpf (La mia battaglia)

Di conseguenza a quanto abbiamo detto, per non dimenticare e per costruire un sapere dalle radici profonde ma che fa liberare in alto le fronde dell’anima è necessario conoscere come un soggetto come Hitler è salito al potere.

1925 – All’inizio di gennaio Hitler riassume la guida di un Partito nazionalsocialista ormai allo sbando, e lo àncora formalmente a una strategia) egalitaria. La Nsdap conta al momento 27 mila iscritti in tutta la Germania, cioè molti meno di quanti ne avesse nella sola Monaco prima del fallito putsch del novembre 1923.

II 15 gennaio entra in carica il nuovo governo del Reich: un gabinetto “tecnico” di centro-destra guidato da Hans Luther e sostenuto da Zentrum, Ddp, Dvp e Dnvp – la Spd rimane all’opposizione.

II 28 di febbraio muore il presidente della Repubblica Friedrich Ebert. Due giorni prima, il giornale nazionalsocialista “VOikischer Beobachter” ha ripreso le pubblicazioni, interrotte dopo il fallito putsch del novembre 1923, con un editoriale hitleriano di prima pagina intitolato «Un nuovo inizio».

1923 Adolf Hitler fu il capo indiscusso del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, noto anche come Partito Nazista, dal 1921. Nel 1923, venne arrestato e incarcerato per aver tentato di rovesciare il governo tedesco. Il processo gli portò fama e seguaci.

Hitler inizia a scrivere il Mein Kämpf durante la sua prigionia.

II libro di Hitler era sostanzialmente finito quando egli lasciò il carcere, nel dicembre 1924, ma il manoscritto piuttosto rudimentale doveva essere snellito e corretto da molti curatori… II prodotto finale era ancora così rozzo e ampolloso che perfino Hitler ammise in seguito che, se avesse saputo che sarebbe diventato Cancelliere della Germania, non avrebbe pubblicato il libro nella sua forma originale. Alcuni buontemponi del partito schernirono l’opera, suggerendo che Hitler avrebbe dovuto chiamarlo Mein Krampf (“Il mio crampo” o “La mia crisi”) anziché Mein Kampf. Migliorato o no, il primo volume di Mein Kampf, sottotitolato Eine Abrechnung, fu pubblicato il 18 luglio 1925 dalla casa editrice Franz Eher di Monaco.

Seguì, l’11 dicembre del 1926, il secondo volume, sottotitolato Die nationalsozialistische Bewegung (”Il movimento nazionalsocialista”). Fino al 1930, Mein Kampf si presentava in due volumi separati, ma poi venne riunito in un unico tomo, in edizione popolare a 8 marchi a copia. Prima della conquista del potere da parte dei nazisti, in Germania ne furono vendute 287.000 copie. Entro il 1945, ne erano state smerciate circa 10 milioni di copie in tutto, e il libro era stato tradotto in 16 lingue, diventando una delle opere più famose del mondo.

Tragicamente, lo stile ridondante di Hitler e i suoi sfacciati pregiudizi hanno fuorviato molti contemporanei, portandoli a sottovalutare l’importanza di Mein Kampf. Anche gli storici, ripugnati dal tono e dal contenuto, non sempre sono riusciti a valutare il peso di questo libro. Naturalmente, è assolutamente corretto descrivere Mein Kampf come verboso, difficile da leggere, monotono, il prodotto di un’ambizione intellettuale frustrata, e quindi pieno delle caratteristiche pretenziose di un uomo semi istruito. Questo giudizio, tuttavia, fa dimenticare il fatto che lo stile e la sostanza di Mein Kampf divennero una politica nazionale.

L’edizione italiana del Mein Kampf

Fu pubblicata dall’editore milanese Valentino Bompiani il 15 marzo del 1934: comprendeva però solo il secondo volume del testo hitleriano, e aveva per titolo “La mia battaglia”.

La pubblicazione si avvaleva di una «prefazione inedita dell’Autore per l’edizione Italiana». Un breve testo, datato «Berlino, 2 marzo 1934», nel quale Adolf Hitler scriveva:

«I popoli che combattono per sublimi idee nazionali hanno forza di vita e ricchezza d’avvenire. Tengono nelle proprie mani i loro destini. Non di rado le loro forze, creatrici di comunità, sono valori di portata internazionale, aventi per la convivenza dei popoli effetti più benefici che gli “immortali principii” del liberalismo, i quali intorbidano e avvelenano i rapporti fra le Nazioni. Il Fascismo e il Nazional-socialismo, intimamente connessi nel loro fondamentale atteggiamento verso la concezione del mondo, hanno la missione di segnare nuove vie a una feconda collaborazione internazionale. Comprenderli nel loro senso più profondo, nella loro essenza, significa rendere servigio alla pace del mondo e quindi al benessere dei popoli».

Tratto dal Mein Kampf

“[…] Non è lo Stato in sé che crea un determinato grado di civiltà; esso può solo conservare la razza, che è la condizione di quel grado.

Noi Ariani, in uno Stato possiamo solo raffigurarci l ‘organismo vivente di una Nazione – organismo che non solo assicura la durata di questa Nazione, ma la conduce alla suprema libertà sviluppandone le capacità spirituali e ideali.

Chi non vuole che la Terra vada incontro a questa sorte, deve professare la concezione che sia compito soprattutto dello Stato germanico quello di fare in modo che sia imposto un termine conclusivo a ogni ulteriore imbastardimento”[…].

Educazione dei giovani nel Mein Kampf:

«Allo stesso modo, e in misura assai più alta, lo Stato nazionale dovrà un giorno far prevalere la sua autorità, di fronte all’ ignoranza o all’incomprensione dei singoli, nei problemi della salvezza della Nazione; esso dovrà distribuire il suo lavoro educativo in modo che i giovani corpi vengano trattati con cura fin dalla prima infanzia e vengano rafforzati e temprati per la vita futura. Soprattutto dovrà vigilare perché non venga educata una generazione di “gobbi”».

(Fonte libro a cura di Giorgio Galli https://www.ibs.it/mein-kampf-di-adolf-hitler-libro-vari/e/9788879531603)

Nel testo (più o meno) vengono menzionate la parola Razza ben 289 volte, la parola Ebreo/ebrei in totale 415 volte di cui al femminile solo 15 volte. Perché solo? Qui è chiara l’avversione e la repulsione delle donne, in una società patriarcale e maschilista. È impressionante e sconcertante quanto questo libro fosse sorgente e fondamento della seconda guerra mondiale e dell’olocausto.

Nel frattempo in Italia

Matteotti, Giolitti e Mussolini

Nel 1924 alle nuove elezioni i fascisti trionfarono, grazie a minacce e violenze. Il deputato socialista Giacomo Matteotti, che osò denunciare i brogli elettorali, pochi giorni dopo fu rapito e ucciso per ordine di Mussolini.

Nel 1925 il consiglio provinciale di Cuneo, che ad agosto aveva rieletto come di consueto Giolitti alla presidenza, votò una mozione che gli chiedeva l’adesione al fascismo. Giolitti rassegnò quindi le dimissioni sia da presidente sia da consigliere.

“Dei vecchi liberali, Giolitti era quello che Mussolini maggiormente stimava: gli piaceva eloquenza  asciutta e precisa: – “non dice mai una parola che troppo” – e ne apprezzava la lunga esperienza di governo; forse ne ammirava  anche l’autorità e la decisione, ma nello stesso tempo lo temeva. In Salandra, Mussolini stimava il presidente dell’intervento il senso dello Stato, ma lo considerava troppo conservatore, mentre Orlando, pur stimandolo come “presidente della Vittoria”, non gli piaceva l’abito troppo professorale, il parlamentarismo alle concessioni. Secondo Rossi, se non vi fossero state condizioni favorevoli a una rapida ascesa dei fascisti al potere, Mussolini si “sarebbe degrado ad un Matera lo statista piemontese”, perciò le trattative con Giolitti  non erano soltanto manovre temporeggiatrici ma avevano un “minimo di possibilità ed erano condotte con una certa dose di buona fede”. Sulla buona fede di Mussolini nelle trattative con Giolitti si può avere qualche dubbio, come pure si può dubitare della sua disponibilità a partecipare a un governo preceduto dallo statista piemontese.

L’antigiolittismo evocato da De Vecchi (quadrumviro della marcia su Roma e Ministro dell’educazione nazionale, esponente di punta dell’ala “moderata”, cattolica e monarchica del regime, e per questo interlocutore preferito del fascismo col Vaticano e Casa Savoia), era radicato nella cultura politica fascista e perciò molto difficilmente la maggioranza dei fascisti avrebbe seguito Mussolini in una combinazione parlamentare con Giolitti, il simbolo più odiato della vecchia Italia e che il fascismo voleva soppiantare. Inoltre, era prevedibile che un governo Giolitti, anche con la partecipazione fascista, avrebbe comunque comportato lo scioglimento dell’apparato militare fascista: ed era molto probabile che i capi dello squadrismo si sarebbero opposti con virulenza a tale eventualità, come già avevano fatto nel 1921 contro il “patto di pacificazione”, ribellandosi al duce. (Emilio Gentile, E fu subito regime, Il fascismo e la marcia su Roma, Editore Laterza).

Un Continuum Genocida

L’etnografia delle nuove guerre si salda al più generale problema della comprensione della violenza storica: in particolare della Shoah, delle due guerre mondiali e dei crimini di regimi totalitari che hanno caratterizzato il XX secolo […]. Qui non è in gioco solo un concetto astratto di sterminio o pulizia etnica, ma la capacità di compiere fisicamente atrocità,  in un rapporto di distruzione dei corpi di donne, bambini altri esseri umani inermi e non solo astratti “nemici”. Non sono atti che ripugnano a una elementare e universale di coscienza morale? Milgram, Zimbardo (noti psicologi sociali) hanno messo a punto esperimenti cercando di mostrare come, in determinati contesti, un’ampia maggioranza di individui “normali” (Normale aggettivo denso di pregiudizi, Zimbardo) possa essere indotta a compiere violenze e torture.

La formula “banalità del male” è stata coniata dalla filosofa Hannah Arendt come commento alla figura di Adolf Eichmann criminale di guerra nazista e responsabile della deportazione verso i campi di sterminio degli ebrei in molti paesi dell’Europa occupata. Un male anonimo, astratto che non ha bisogno di “mostri” ma si esercita attraverso gli ordinari canali dell’amministrazione, delle procedure d’ufficio, dei moduli in triplice copia, da parte di individui “normali” la cui coscienza morale funziona a compartimenti stagni.

Per quanto una simile immagine di Eichmann sia oggi messa in discussione, la tesi di Hannah Arendt resta potente e soggettiva. La possiamo leggere con l’affermazione di una continuità, piuttosto che una rottura tra la normalità e il genocidio. L’antropologa Nancy Scheper-Hughes ha sviluppato questa idea attraverso una nozione di continuum genocida: vale a dire della contiguità dello sterminio di massa con quelle violenze quotidiane, nascoste e spesso autorizzate che si praticano “negli spazi sociali normativi: nelle scuole pubbliche  nelle cliniche, nei pronto soccorso, nelle corsie di ospedale, nelle case di cura, nei tribunali, nelle prigioni, nei riformatori e negli obitori pubblici. Questo continuum rinvia alla capacità umana di ridurre gli altri allo status di non persone, di mostri o di cose” per mezzo di varie “forme di esclusione sociale, disumanizzazione , spersonalizzazione, pseudo-speciazione e reificazione che normalizzano il comportamento brutale e la violenza verso gli altri […]. (Dei, F. “a cura di” (2016) Antropologia culturale, seconda edizione).

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Dott.ssa in Discipline Psicosociali. Illustratrice, autrice di libri per bambini e fantasy, racconti, poesie, romanzi. Finalista 2017 del concorso Fiction e Comics, de Ilmiolibro, Gruppo Editoriale l’Espresso con il libro “C’Era Una Volta”. Libri pubblicati sullo stesso sito, Desideri Cristina ilmiolibro.it. Vincitrice del Secondo premio Internazionale di Poesia e Narrativa, Firenze Capitale D’Europa con “La bambola di Giada”. Racconti e favole sono stati inseriti in raccolte antologiche in quanto vincitori di concorsi, quali “Parole d’Italia, Racconti brevi di vecchi e nuovi italiani” indetto dalla Regione Lazio, la favola “Le stelle” selezionata dalla Scuola Holden per DryNites. Vincitrice di svariati concorsi letterari. Ha collaborato con la Montegrappa Edizioni e, per la stessa, ha ideato e curato sette concorsi letterari. Ha illustrato il libro “Sogni e Favole” del romanziere Giuseppe Carlo Delli Santi. Con la Pav Edizioni ha pubblicato il romanzo per la collana psicologica-thriller "La collezionista di vite”. Per la Pav Edizioni e in collaborazione con Gabriella Picerno, psicologa e scrittrice cura le collana 1000 Abbracci. Per la GD Edizioni è co-direttrice (insieme a Gabriella Picerno) della collana pedagogica “Il filo di Arianna”. Cura i concorsi letterari “La Botteguccia delle Favole”, “Lo Zaino Raccontastorie”. Autrice per il blog “Il Mago di Oz”.

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