Donne, fede e fecondità nella storia

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Dal sito Storico-Religioso Artistico-Letterario Khayyam’s blog http://khayyamsblog.blogspot.com/

Dopo le ultime mail arrivate, occorre fare una precisazione concernente un pregiudizio ancor oggi assai diffuso e dovuto a studiosi soprattutto ottocenteschi come Johann Jakob Bachofen, autore di Das Mutterrecht (1861), e che continua a trovare largo credito: quello della Grande Madre una sorta di archetipo femminile che sarebbe stata la divinità principale delle società “primitive” le quali avrebbero avuto una struttura matriarcale.

Che la divinità principale di molte religioni sia stata e sia femminile, è fuori dubbio: è il caso del Giappone (la dea-sole) e si potrebbe richiamare alla memoria il filo conduttore de Il Codice da Vinci di Dan Brown. Ma che nello sviluppo dei gruppi umani ci sia stato un periodo iniziale in cui il potere era delle donne, è pura invenzione di antropologi incapaci di concepire gruppi umani senza potere, non gerarchici. Eppure, questi ci sono, esistono tutt’oggi: ci sono, infatti, strutture umane in cui non comandano né uomini né donne (concetto difficilmente accettabile, agli occhi di chi vede tutto in termini di dominio, distribuzione degli incarichi, ruoli prescrittivi, etc…).


La Grande Madre è stata effettivamente, a volte, una divinità protettrice della fecondità, spesso connessa con il culto della Terra. Ma di epoca paleolitica sono statuine con larghi fianchi, natiche abbondantissime, seni vistosi, gambe, braccia e teste ridotte a semplici accenni, le cosiddette “Veneri steatopigiche”, che non sono ricollegabili di certo alla fecondità dei campi, perché i cacciatori del paleolitico non coltivavano la terra. Immagini dello stesso tipo ricompaiono soltanto in epoca neolitica, e quindi a grandissima distanza di tempo, quando cominciò a svilupparsi l’agricoltura.


Oggi si tende a vedere le cose in termini alquanto diversi da un tempo, e a non istituire un rigido collegamento tra immagine femminile e fecondità, cioè a non ricondurre alla connessione tra fertilità della madre e fecondità della terra il mito di una grande divinità femminile. La donna, per le sue caratteristiche fisiologiche e psichiche (periodicità mensile, procreazione, etc.) è percepita dalla fantasia creatrice, non soltanto maschile ma anche delle stesse donne, quale essere che sta “dalla parte della natura”, sia come “strumento” di questa sia come simbolo della sua creatività.

Ora, la natura è intesa, nelle società organizzate, fondate sulla produzione e sul lavoro, come opposta alla cultura, pur essendo vista come la base imprescindibile della cultura stessa. Ne consegue che ogni attività culturale e soprattutto quelle di intervento sulla natura costituiscono un “rischio” del quale bisogna garantirsi l’esito e contro il quale, si devono erigere difese e compiere esorcismi.

Il rischio è comunque presente anche nel caso che si sia dediti alla caccia, cioè non ci si opponga alla natura ma si viva con essa in un rapporto di fratellanza o comunanza. Rischio estremo è, del resto, anche il nascere e il morire, e il legame della donna con la natura è perciò un nesso che permette di “intervenire” sull’aldilà, sulle “potenze” extraumane. La donna è concepita, simbolicamente, come il tramite più immediato e visibile (o, se si preferisce, controllabile) con la “natura” ovverosia con l’aldilà.


L’immagine femminile è dunque quella di una potenza simbolica e primaria, scissa dal potere reale, che nulla ha a che fare con la logica del dominio, con la sovranità o la costrizione. Un matriarcato non è mai esistito, e la donna non è concepita soltanto come madre; anzi, è un’immagine cosi poliedrica e ambigua, da poter assurgere, anche al “ruolo” di Vergine. A questa visione delle cose vanno accostate le molte immagini di Signore degli Animali dei gruppi di cacciatori, i cui echi perdurarono a lungo nel mondo agricolo (Artemide in Grecia).


La donna è, simbolicamente, una potenza che può essere benefica ma anche distruttiva, come la Durga indiana (una delle versioni della sposa di Shiva) oppure le figure connesse con il mondo dei morti (Ecate in Grecia, Izanami e le “megere infernali” in Giappone). La donna è, quindi, un “veicolo”, è l’immagine simbolica più immediatamente percepibile della creatività, e dunque fonte e oggetto di sentimenti disparati, tra l’altro angoscia e ansia di fronte al mistero impenetrabile dell’esistenza.

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