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Trama di Don’t look up
La dottoranda Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) e il suo docente Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) scoprono nell’orbita di Giove una cometa in rotta di collisione con la Terra. Con l’appoggio del Dottor Teddy Oglethorpe (Rob Morgan), responsabile del Planetary Defense Coordination Office (che esiste davvero e dal 2016 cataloga, mappa e sorveglia la traiettoria di oggetti potenzialmente pericolosi come asteroidi e comete) tentano in ogni modo di mettere in allarme.
O almeno ottenere l’attenzione della corrotta e avida amministrazione guidata dalla Presidente Janie Orlean (Meryl Streep). L’intervento del miliardario Peter Isherwell (Mark Rylance), CEO della tech company BASH interessato ai minerali preziosi contenuti nella cometa Dibiasky, interferisce con gli sforzi per salvare il pianeta dall’imminente catastrofe.
Recensione di Don’t look up
Film dell’anno
Don’t Look Up è un prodotto che, nel panorama del cinema mainstream, avrebbe tutte le carte in regola per aspirare al titolo di film dell’anno. Adam McKay, regista, sceneggiatore e produttore della pellicola, si è dimostrato negli ultimi anni un autore ispirato. L’argomento scelto è di un’attualità scottante e viene affrontato senza timidezze. Può inoltre vantare un cast che definire “di tutto rispetto” sarebbe riduttivo: limitandoci agli Accademy Awards, se sommiamo i riconoscimenti conseguiti dagli attori impegnati sullo schermo, otteniamo lo sconcertante numero di 41 nomination e 8 statuette vinte.
E, per certi versi, il film mantiene le promesse. Il problema sta proprio nelle aspettative suscitate da un tale dispiegamento di forze. È come se, dopo aver accumulato una abnorme quantità di polvere da sparo, una combustione imperfetta avesse impedito al fuoco d’artificio di dispiegarsi in tutto lo splendore che era lecito attendersi. Questo parziale insuccesso (56% di critiche positive dalla stampa americana sull’aggregatore Rotten Tomatoes e un misero 49/100 sul ben più serio Metacritic) costringe a porsi qualche domanda. Ma procediamo con ordine.
Adam McKay: regista di Don’t look up
Adam McKay è stato per anni autore del Saturday Night Live e poi, in sodalizio con Will Ferrell, Steve Carell e altri comici di punta dello show, regista e sceneggiatore di commedie grottesche e sopra le righe (Talladega Nights, Anchorman, Step Brothers). Da sempre sostenitore e finanziatore di Bernie Sanders, ala sinistra del partito democratico, nel 2015 ha impresso alla propria carriera una svolta radicale, dedicandosi a progetti più ambiziosi e politicamente schierati.
Il primo film di questo nuovo ciclo, La Grande Scommessa, è una minuziosa e spietata ricostruzione della crisi finanziaria dei titoli subprime del 2008, attraverso la quale si sente tutta la puzza dello squallore morale di Wall Street. Vice (2018) metteva invece alla berlina la vampiresca avidità e la sconcertante cialtroneria della classe politica neocon.
Global warming
Don’t Look up aspira a un obiettivo più elevato. L’intento fin troppo esplicito del film è parlare del Global Warming, trasformando però un problema diffuso e difficile da quantificare quale il cambiamento climatico in un singolo evento, una minaccia puntiforme che colpirà in un tempo e in un luogo precisamente calcolabili. La Cometa Dibiasky è un espediente retorico, una sorta di reductio ad absurdum della catastrofe globale imminente. Partendo dal nichilistico presupposto che l’umanità, a causa delle proprie mancanze congenite, non sarà in grado di evitare l’impatto, McKay si concentra su una critica sociale a 360 gradi.
La classe politica, rappresentata dalla presidente Orlean e dalla sua amministrazione colma di idioti narcisisti e incompetenti, è troppo concentrata sullo stornare l’attenzione dalla propria torbida bassezza per riuscire non tanto ad affrontare, ma anche solo a vedere il problema. Per quanto possa sembrare che McKay punti il dito contro Trump, la scelta di un presidente donna è in aperta polemica anche con il partito democratico. Janie Orlean è un mostro a due teste, una delle quali è Hillary Clinton. A prescindere dal genere, non ci sono soffitti di cristallo da sfondare quando si è organici a un potere corrotto.
La figura del miliardario Peter Isherwell
Importa poco sapere se Peter Isherwell sia più ispirato a Steve Jobs, Elon Musk o Mark Zuckerberg. Scegliete chi vi pare. Quello che conta, nell’immagine del miliardario che vorrebbe imbrigliare la cometa, è l’incarnazione dell’avatar di una distribuzione della ricchezza tanto diseguale da risultare oscena. Isherwell è un piccolo uomo sindromico e allampanato che ha perso il contatto con la realtà. I riferimenti massonici ai “pilastri di Boaz e Jachin” sparsi nelle sue deliranti orazioni sono il segno di una lucidità mentale irrimediabilmente compromessa dal prono ossequio dei servi comprati di cui si circonda, una percezione del sé allucinata e, a tratti, demoniaca.
McKay, sin dai tempi di Anchorman, ha sempre dedicato non poco del proprio slancio polemico al mondo dei Media. Giornali e televisioni, nel film, paiono afflitti da un costante deficit dell’attenzione. Come bambini iperattivi, tendono a distrarsi, inseguendo stimoli immediati, alla ricerca di onde da surfare più che di verità da approfondire. Il tempo di latenza sempre più ridotto delle news è il sintomo di un’incapacità di concentrarsi che rasenta il patologico. Tuttavia, la critica più feroce sembra rivolta alla società nella sua interezza.
Il grido d’allarme degli scienziati e l’antiscientismo
Il vero nemico della verità è l’incapacità di comprendere delle persone comuni, intrappolate in una palude di preconcetti, superficialità ed ignoranza, che hanno il pregio di essere rassicuranti perché sempre, ostinatamente uguali. La lotta degli scienziati per scuotere la gente dall’apatia è vanificata dalla grottesca risposta che riceve il loro disperato grido d’allarme. Alla rigorosa precisione dei dati si oppongono un antiscientismo elevato a fideistica irrazionalità e una conflittualità politica derubricata a fanatismo da stadio. Il mondo non si salverà perché è troppo stupido per farlo. E, in questo stato di cose, è difficile valutare correttamente cause e conseguenze: se la società sia corrotta perché lo sono i politici o viceversa i politici siano l’inevitabile espressione di una società piagata dal male.
Al di sopra di questi gironi infernali, additati con feroce puntiglio da McKay, nel suo silenzio vagare attraverso gli abissi di uno spazio sublime, la cometa appare come un angelo della morte ammantato di luce. Gli scorci naturalistici che baluginano a tratti sullo schermo, brillanti di colore, hanno il sapore dolce e amaro dei ricordi più belli. La natura attende la fine, rassegnata e pacifica, come un Eden che l’umanità non ha saputo proteggere e che pertanto merita di perdere.
Don’t look up non parla di Covid e di pandemia
Come già detto, l’intenzione esplicita del film era quella di parlare del cambiamento climatico. Del resto, essendo stato scritto nel 2019, è impossibile che volesse parlare di altro, a meno di voler attribuire all’autore facoltà profetiche. L’uscita nel bel mezzo della crisi pandemica, tuttavia, ha finito col nuocere alla chiarezza del messaggio. Don’t Look Up non parla di Covid. La diffusa percezione che l’argomento possa essere, in tutto o in parte, la pandemia, è il frutto di una falsa prospettiva. La Cometa, killer di pianeti capace di cancellare la vita dalla Terra, non vuole e non può essere metafora del virus. Il paragone inquina il messaggio del film e ne mortifica gli intenti. Il cambiamento climatico, non il covid, rischia di distruggere il Mondo.
In merito a questo, bisogna dire che la voglia di rendere la metafora troppo esplicita ottiene l’effetto di smorzarne la forza. È difficile convincere qualcuno della bontà dei propri argomenti dandogli così ferocemente dell’idiota. È paradossale il fatto che, nel film, McKay sia capace di identificare con lucidità l’errore insito nello strillare in faccia al pubblico “MORIREMO TUTTI!”, e poi finisca col farlo lui stesso.
È insita nella natura umana la tendenza ad ignorare paure troppo intense per essere affrontate, ma vaghe e indeterminate nel tempo. E c’è un motivo psicologico per questo. La morte è ineluttabile, ma se ci concentrassimo sul fatto che prima o poi saremo costretti ad affrontarla, finiremmo col precipitare in una disperazione paralizzante. Parafrasando Freud, paghiamo lo scotto della messa in sordina di questa consapevolezza con una depressione a bassa intensità, un’ansia per il futuro ammantata di mille maschere diverse, che ci risparmiano di doverne fissare il vero volto.
Cast stellare con Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence
Promettere a tutti la fine senza prospettare soluzioni, finisce con l’allontanare la gente dal problema, più che spingerla a concentrarsi su di esso. E questo, a mio avviso, è il primo problema. Il secondo, paradossalmente, è il suo cast stellare. Da un film che può vantare un tale numero di indiscutibili talenti, ci si aspetterebbe qualcosa di più. Purtroppo, Don’t Look Up è come una squadra piena di fuoriclasse che però non riescono a giocare insieme. La grande assente del film è la chimica tra i protagonisti.
Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence dialogano molto ma interagiscono poco, facendo ciascuno del proprio meglio ma senza sostenere gli sforzi altrui. Il tutto risulta ancor più deludente se paragonato con le superbe interazioni nei loro lavori precedenti: Jennifer Lawrence e Bradley Cooper, Leonardo DiCaprio e Margot Robbie, coppie che hanno fatto scintille sullo schermo.
È difficile dire cosa non abbia funzionato, ma è innegabile che qualcosa non sia andato per il verso giusto. Per questo Don’t Look Up lascia l’amaro senso di incompiutezza di un colpo mancato. Una metafora per certi versi geniale che si sfilaccia in atto d’accusa troppo esplicito e arrabbiato contro tutto e tutti, e un cast stratosferico ma poco ispirato azzoppano irrimediabilmente il film, che poteva essere tanto, e invece è solo qualcosa.
Conclusioni
Don’t Look Up è un film che consiglio a tutti quelli che pensano di aver dei buoni motivi per essere arrabbiati con il mondo, o che non si offenderanno troppo nel sentirsi dare degli idioti. In fondo, siamo tutti sulla stessa barca. Che purtroppo sta affondando.