Due parole soltanto su psicoterapia, deprogrammazione, rivoluzione…

Personalità e mentalità

La psicoterapia cerca sempre di far superare i traumi, di cambiare la personalità del soggetto, ma spesso non cerca di cambiarne la mentalità. Eppure è difficile tracciare una linea netta di demarcazione tra personalità e mentalità.  Anzi spesso queste due cose sono intrecciate, incastrate e non si sa mai bene quale sia il contenitore e quale sia il contenuto oppure per usare un’altra metafora quale sia la chiave e quale sia la serratura. Un certo tipo di mentalità comune di cui è intrisa una persona determina una certa personalità di base, ma anche un certo tipo di personalità di base è consono a un certo tipo di mentalità.  Diciamo grossolanamente che personalità e mentalità si richiamano continuamente tra di loro. Però è certo che quello che comunemente e semplicemente definiamo come mentalità viene trascurato dai/le  terapeut*. Eppure molti conflitti interiori scaturiscono proprio dalla mentalità.

Condizionamenti sociali e dei mass media

Gli/le espert* della psiche non si spingono oltre, non vanno oltre il consentito: c’è un limite che non può essere superato. D’altronde i/le terapeut* svolgono una professione intellettuale legalmente e socialmente riconosciuta; non possono giocare a fare i/ le rivoluzionar* e non possono mettere in discussione la mentalità comune che hanno i/le  pazient* e con essa la società stessa, il suo ordinamento, i suoi principi. Non possono mettere, se non saltuariamente,  in discussione gli archetipi di questa società consumistica, di questa civiltà dell’immagine, di questa cultura di massa, di questa società edonista.  In fondo quant* intellettuali vanno contro ciò? Chi si pone veramente contro il sistema? Gli stess* intellettuali sono spesso cortigian*, hanno dei referenti politici oppure si adeguano ai miti e ai codici della cultura di massa; bene che vada sono Masscult oppure Midcult. I/le  life coach e i/le  mental coach cercano di cambiare il soggetto per farlo diventare una persona di successo, un vincente. Pochissimi psicolog*, pochissim* terapeut* si arrogano il diritto di deprogrammare veramente una persona, di toglierle gli idoli vichiani e i messaggi subliminali, di renderla meno gregaria e conformista, di farle analizzare i modelli e i canoni imposti dalla società odierna. Forse deprogrammare una persona sarebbe un atto politico e non terapeutico, ma è altrettanto un atto politico anche se terapeutico cercare di riparare solo la psiche. Forse deprogrammare una persona sarebbe chiedere troppo perché sarebbe un vero atto rivoluzionario. 

Imporre una visione del mondo

E poi forse la società non incide molto sul vissuto di una persona? Perché non fare in modo che gli individui ne prendano coscienza? Questo tentativo non è da tutti perché presuppone che ogni espert* della psiche sia capace di analizzare in profondità la società attuale. Presuppone anche che il/la  terapeuta possa imporre la sua visione del mondo, anche se ogni scuola di psicoterapia impone la visione del mondo dell’ideatore/fondatore. Accade così che di volta in volta a sprazzi il/la terapeuta di fronte a nuove sfide epocali, che si presentano sotto forma di nuovi traumi e nuove patologie, dice la sua al/la paziente su come va il mondo: ad esempio dice la sua su Internet di fronte a un soggetto che soffre di pornodipendenza o di fronte a una paziente che ha subito revenge porn. In questi casi un* psicanalista deve dire la sua, deve metterci del suo perché ai tempi di Freud, Jung, Adler non c’era Internet. Ma poi perché deprogrammare totalmente una persona se questo significherebbe toglierle convinzioni personali radicate, amicizie, opportunità professionali, voglia di vivere? Ci sono molte persone che non vogliono cambiare la loro visione del mondo, non vogliono minimamente metterla in discussione e non è questo probabilmente uno dei compiti dei terapeuta. Inoltre ogni terapeuta avrebbe contro delle resistenze culturali, mentali, psicologiche fortissime e delle dinamiche transferali e controtransferali altrettanto forti. Ne varrebbe veramente la pena? Nonostante tutto ogni terapeuta, anche se implicitamente e saltuariamente, finisce per condizionare il soggetto. Ma poi se i/le terapeut* cercassero di decondizionare i soggetti non li manipolerebbero e non li condizionerebbero totalmente  anche loro? Secondo gli/le studios* ogni forma di psicoterapia è una forma di “suggestione inconscia”, che però a un certo punto si deve fermare, dato che non può concludersi  con una relazione sessuale/sentimentale tra terapeut* e soggetto e nemmeno essere rivoluzionaria socialmente, politicamente.  In fondo un individuo nevrotico o psicotico che si adegua alla mentalità vigente nella sua società non ha in fondo dimostrato un certo grado di integrazione? E chi sono i/le terapeut* per stravolgere tutto? Probabilmente per i/le terapeut* è lecito far cambiare un poco la mentalità dei soggetti riguardo al disturbo che presentano. I/le  terapeut* cercano solo di far cambiare mentalità a un fumatore o a un ludopatico riguardo alla questione fumo o alla questione gioco di azzardo. Si chiama cambiamento di atteggiamento.  Ma I/le life coach e i/le mental  coach che potrebbero osare di più non rischiano minimamente.

Nessuno va così in profondità

Resta il fatto che pochissim* cercano di far analizzare ai/lle pazienti la società e di criticarla: non lo fanno i/le terapeut*,  non lo fanno gli/le psicolog* sociali, non lo fanno i/le sociolog*, non lo fanno i/le counselor, non lo fanno i/le  consulent* filosofic*.   Alla base di tutto probabilmente c’è il mantenimento dello status quo, ma anche il fatto che i/le pazienti sarebbero totalmente disorientat*, smarrit* e andrebbero in crisi. È giusto e legittimo riparare l’hardware di ogni psiche, ma i/le terapeut* non possono far riconoscere ai soggetti che l’hardware psichico non è altro che software sociale. I/le  terapeut* non possono riparare l’hardware sociale che determina ogni psiche. Come scrisse Engels in una lettera a Marx: “Gli uomini fanno la loro storia, ma in un ambiente dato che li condiziona”. La terapia non cerca mai di cambiare totalmente il modo di rapportarsi del paziente all’ambiente, sia perché sarebbe destabilizzante sia perché la terapia mentale è micropotere che è asservita al macropotere (e non può essere rivoluzionaria socialmente, politicamente). I/le terapeut* non possono mettere a repentaglio l’assetto socioeconomico e quindi neanche i condizionamenti dei mass media ad esempio che perpetuano il Potere, quello con la p maiuscola. I/le terapeut* inibiscono i sintomi, curano le ferite della psiche, fanno superare i traumi. Già questo è molto, ma le cause socioeconomiche e quella che io chiamo la macropsicologia con le sue dinamiche non vengono affrontate durante nessuna seduta psicoterapica.  Forse sarebbe chiedere troppo e sarebbe troppo rischioso. Sarebbe togliere la terra sotto ai piedi di molti pazienti, che hanno bisogno di sentirsi normali confermandosi alle norme non scritte, ai gusti, ai canoni che impone loro la società.  Eppure se i/le terapeut* cambiassero veramente nel profondo la mentalità dei soggetti cambierebbero veramente la società perché 10000 pazienti cambiati veramente sarebbero 10000 piccole rivoluzioni interiori e una piccola rivoluzione sociale. Ma tale profondità non è consentita, è troppo rischiosa ed è minatoria a più livelli (per il soggetto, il/la terapeuta, i familiari, le persone vicine a entrambi, la società stessa). E poi chi dice che la mentalità del/la terapeuta sia quella giusta e che il cambiamento interiore che costui o costei voglia imporre sia quello giusto? 

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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