Due parole sulla televisione italiana (piccola critica provvisoria)

La televisione, ovvero un bisogno per molti italiani

Devo dire a scanso di equivoci che io non sono un telespettatore. La televisione l’ascolto distrattamente a pranzo e cena e molto di sfuggita ogni volta che vado a farmi un caffè in cucina. La tengono accesa i miei. Ma potrei essere un buon intenditore comunque….

La televisione viene considerata socialmente necessaria. Non se ne può fare a meno. Per molti è come l’aria che respiriamo. Ai bambini la televisione fa da babysitter. Agli anziani fa da badante. Per tutti gli altri è un’amica. I personaggi televisivi, che entrano nelle nostre case, sembrano di primo acchito cortesi e gentili, ma la rissa televisiva per fare spettacolo può andare in onda in qualsiasi momento.  Cosa volete di meglio? Cosa vi aspettate di più? La televisione evita ogni possibilità di rivoluzione e succederebbe la rivoluzione se venisse tolta al popolo italiano. La popolazione italiana non può esistere né pensare senza la televisione.  Quando ero giovane a Padova un uomo faceva discorsi pubblici, sostenendo che per fare la rivoluzione a quei tempi bisognava impossessarsi delle più grandi televisioni italiane, pubbliche e private. Si sbagliava. 

Il libertario o il libero pensatore apartitico dovrebbero prendere parte alla discussione, essere voce in capitolo

Il sistema  deve essere combattuto dall’interno con le idee e senza violenza, facendo un’analisi e una critica lucida della situazione in cui versa il nostro Paese. È vero che i mass media hanno grandi difetti e causano grandi distorsioni, ma chiunque vuole cambiare la realtà in modo pacifico deve utilizzarli, anche se in modo marginale. Usare la violenza sarebbe controproducente e in alcun modo giustificabile. Spesso il libertario o comunque il libero pensatore apartitico non prende parte al dibattito. Fa come Nanni Moretti in “Ecce bombo:  “No veramente non mi va, ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri. Senti, ma che tipo di festa è, non è che alle dieci state tutti a ballare in girotondo, io sto buttato in un angolo, no…ah no: se si balla non vengo. No, no…allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto così, vicino a una finestra di profilo in controluce, voi mi fate: “Michele vieni in là con noi dai…” e io: “andate, andate, vi raggiungo dopo…”. Vengo! Ci vediamo là. No, non mi va, non vengo, no. Ciao, arrivederci Nicola”. 

La mitizzazione di chi fa televisione

 Cosa ci volete a ogni modo sperare da Presidenti della Repubblica che nominano cavalieri, commendatori, etc etc giovani donne o giovani uomini che da pochi anni fanno televisione? Anche questo deve far riflettere. Lo stesso Stato, quindi, rappresentato dal Presidente della Repubblica, omaggia i giovani protagonisti dello showbusiness, quando dovrebbe accendere i riflettori su altre persone più meritevoli socialmente, lavorativamente, culturalmente. La televisione comunque  funziona tutta  in nome dell’audience e di conseguenza della pubblicità.  Ma non parliamo dei messaggi subliminali e del condizionamento dei mass media, tematiche già discusse. 

Chi fa televisione è considerato il migliore. È la persona prescelta e arrivata. Nessuno può competere con questo eroe del piccolo schermo. Questo è lo stereotipo diffuso. Chi fa televisione è considerato uno troppo in gamba, uno che ha qualcosa di speciale. Questa è la credenza diffusa. Questa è la vulgata.  Poco importano la miriade di chirurghi costretti a lavorare nell’emergenza.  Chi fa televisione è l’artista per eccellenza. La visibilità e i lauti compensi, spesso stratosferici, sono considerati strameritati. Non ci mette forse la faccia? I soldi però non dovrebbero forse essere più equamente suddivisi e ripartiti anche con chi lavora dietro le quinte? I meriti sono forse tutti dello showman perché parla a raffica e/o perché buca lo schermo? Che ce ne importa poi  della moltitudine di artisti bravi e semisconosciuti o sconosciuti, sottopagati o non pagati? 

La riconoscibilità sociale e professionale passa dalla televisione. Importante è diventare a tutti i costi personaggi pubblici.

Le caratteristiche in estrema sintesi della televisione e di chi la fa

Chi fa televisione molto spesso è di bell’aspetto, spigliato, narcisista, esibizionista. 

Chi sono i protagonisti della TV? I presentatori, gli opinionisti, i telegiornalisti, le showgirl, le ballerine, i comici, gli attori, i cantanti, gli imitatori, i cuochi. Ci sono anche i protagonisti più effimeri dei reality show, dei talent show, dei talk show, dei quiz, i casi umani e i familiari delle vittime, degli scomparsi nei casi di cronaca nera. Grande importanza rivestono la cronaca nera (c’è un abuso di diritto di cronaca e l’attivazione del cosiddetto circo mediatico giudiziario) e il gossip, quest’ultimo per svagare e riempire la testa di futilità.  Si passa di palo in frasca dall’uno all’altro, dalla tragedia al pettegolezzo stupido con estrema disinvoltura.  L’essenziale è solleticare la curiosità morbosa. 

Quali sono le funzioni della televisione? Cosa dovrebbe fare e dare? Io mi limito a scrivere che cosa fa: informazione, intrattenimento,  consigli per gli acquisti, pornosoft,  formazione o deformazione della parvenza di opinione pubblica. 

La cosa buffa è che presentatori e showgirl criticano il web oltremodo, ricordando i difetti ma omettendo i pregi del web. Invece non parlano mai dei difetti della televisione.  Altra cosa buffa sono le interviste ai vip, in cui deve uscire a ogni costo  fuori il loro lato umano. Spesso gli intervistati piangono. Lo show deve essere commovente. Poco importa che in realtà siano dei pescecani, che hanno calpestato cadaveri talvolta per avere successo (non a caso tutti si dicono amici nel mondo dello spettacolo, ma ogni vip ha pochi amici tra gli altri vip. Ci sono rivalità,  competizione, morte tua e vita mia, etc etc). I vip nelle interviste racconteranno dei loro traumi infantili, delle loro difficoltà (chi non le ha?). Quasi tutti i vip hanno sofferto di bullismo o erano presi in giro dai loro coetanei. Poi il brutto anatroccolo è diventato cigno. Ma poi alla fine viene calcata la mano e spicca il gran talento di chi ce l’ha fatta. Altra cosa buffa sono i programmi di cucina che istigano i telespettatori a mettersi in proprio nel settore della ristorazione o aprendo agriturismi. E il capitale e il grosso margine di rischio? Ma naturalmente loro dicono che chi non risica non rosica. La fanno facile. Ce la possono fare tutti.  Le persone si illudono. Infine altra cosa ridicola sono i programmi satirici che mettono alla berlina il popolo e non i potenti. Anzi i potenti da questo tipo di satira sono legittimati a rubare perché gli italiani rubano tutti e chi non ruba è solo perché non ne ha l’occasione, perché è impossibilitato. Invece la televisione che dovrebbe essere fatta, quella edificante, non viene fatta: quella dei documentari (i pochissimi fatti sono noiosi), quella del giornalismo di inchiesta, quella della divulgazione culturale, quella del teleteatro.  

Le TV locali possono ben poco contro le grandi reti TV. È quella che Aldo Grasso chiamò la TV del sommerso. Ma ha pochi mezzi economici, poco seguito. È però una televisione artigianale e genuina, al di fuori del mainstream. C’è più improvvisazione e questo può far sorridere. C’è meno pretenziosità,  meno vanità, meno presunzione e questo naturalmente non guasta assolutamente.  Forse di necessità fanno virtù: avendo meno visibilità mediatica  e meno guadagni hanno minor modo di montarsi la testa!?!! Comunque per queste televisioni sopravvivere non è facile. Toccano loro le briciole

La TV come droga

La tv è una droga per chi la vede ma anche per chi la fa. Non andare più in televisione, avere un calo di popolarità o una crisi reputazionale è un lutto da rielaborare per i vip. 

“Non ho niente da fare e allora guardo la TV”: si riassume in questo modo l’inizio di molte teledipendenze. La teledipendenza rientra nelle dipendenze citate dal Dsm.  La  tv quindi  è un innocuo passatempo o un mezzo per istupidire la popolazione? Di fatto produce nevrosi. 

Il segno dei tempi è il fatto che la casa colonica dove hanno girato anni fa lo spot del Mulino Bianco è meta del turismo di massa, molto di più della splendida abbazia di San Galgano, poco distante. Il comunismo non è riuscito a renderci uguali economicamente.  I mezzi di comunicazione di massa, in primis la televisione, ci hanno reso tutti uguali negli stili di vita, nei gusti, nel modo di pensare o di non pensare. Ci hanno uniformato. 

La tv vive e ci fa vivere in quello che Debord definiva “eterno presente”. I vip hanno molti privilegi, ma non è detto che rimangano vip per tutta la vita. Quando sono morti parte del pubblico si ricorda vagamente di loro, spesso cadono nel dimenticatoio. Raramente vengono ricordati. D’estate quando tutti gli showmen e le showgirl sono in vacanza qualche programma può far rivedere qualche loro immagine di archivio di qualche decennio prima. Tutto qui. Altri vip calcano la scena. Altri sono i protagonisti. Il passato viene dimenticato in fretta.  Tutto e tutti sono destinati all’oblio. The show must go on. 

Internet will kill television? Oppure sarà un valido alleato? Ci sarà un felice connubio? Gli internauti fruiranno molto della televisione online? La nostra bolla comprenderà anche la televisione online? La TV generalista finirà e domineranno la scena le TV satelitari e la TV on demand? La televisione sarà più interattiva? 

Tutti o quasi a ogni modo  cercano, vogliono, desiderano incessantemente un passaggio televisivo, anche a costo di fare una brutta figura o di fare la figura del buffone. L’importante è esserci per raccontarlo agli amici e per essere riconosciuti per strada. L’apparire su tutto e su tutti! E chi critica questo stato di cose è uno pseudointellettuale invidioso, rancoroso,  fegatoso che vorrebbe anche lui fare altrettanto, ma non ci è riuscito. Come sosteneva Luciano De Crescenzo si inizia col cercare di cambiare il mondo e si finisce col cambiare solo i canali televisivi. 

Cosa fare? Cosa non fare?

Allora cosa fare? Boicottare la televisione? Qualcuno potrebbe dire che sarebbero da sacrificare migliaia di posti di lavoro televisivi in nome del miglioramento della salute mentale e della crescita culturale del popolo italiano. Ma ne siamo sicuri? Siamo sicuri che miglioreremmo? O forse la televisione  fa sfogare gli impulsi aggressivi, vedendo omicidi nei film e nei telefilm, come pensava B.Russell?  Non sarebbe un passo più lungo della gamba boicottare la televisione? Il fatto è che i potenti non vogliono migliorare la televisione italiana o non fanno niente per migliorarla. Però boicottandola non c’è il rischio di passare dalla padella nella brace? Non c’è il rischio di far collassare il sistema economico italico se tutti non la guardassero più? Non c’è il rischio di un’implosione economica o comunque di una grave crisi, visto che viviamo in un sistema di libero mercato? E allora siamo costretti giocoforza a questo stato di cose? Cambiarle non è possibile? Forse bisognerebbe passare sopra la banalità televisiva, la mania di protagonismo dei suoi personaggi, le sperequazioni economiche,  gli effetti deleteri sulla popolazione,  specialmente sui bambini. Bisognerebbe fare come se non fosse niente di preoccupante?  Ma non è chiedere troppo? Bisogna aspettare e sperare che gradualmente gli italiani si emancipino dalla televisione? Come si suol dire: “campa cavallo che l’erba cresce”. 

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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