Con l’emergenza Coronavirus un’altra emergenza è passata in secondo piano, quella delle interruzioni di gravidanza volontarie, specie nelle regioni dove non è già disponibile l’accesso all’aborto farmacologico eseguibile con il farmaco RU – 486 denonimato pillola abortiva, che eviterebbe la necessità di ricovero di tre giorni nella struttura ospedaliera dove viene eseguito.
La Pandemia da Covid-19 ha inoltre creato difficoltà di accesso alle IVG negli ospedali delle regioni più colpite; la lista di attesa si fa più lunga, e le donne rischiano di andare fuori tempo massimo per poter avere accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Il rischio in questi casi e che si possa ritornare all’aborto clandestino del fai da te, eseguito con un ferro da calza o con una stampella di fil di ferro come quelle delle lavanderie. Per fortuna le “mammane” che eseguivano gli aborti clandestini con i più svariati metodi, in Italia non ci sono più, anche se ci sono ancora purtroppo ginecologi che nel sistema sanitario pubblico si dichiarano obiettori e poi nel privato, a pagamento, eseguono gli aborti. Ci sono anche, sul territorio nazionale, svariate pseudo “cliniche” gestite da cinesi dove si eseguono ancora interruzioni di gravidanza sempre a pagamento, per le loro connazionali, e chi sa con quali metodi.
Di questa incresciosa situazione tuttavia ci sono le associazioni dei “Provita” contente, perché per loro se una donna non può più abortire non lo fa e basta, senza pensare che invece quando una donna ha necessità di interrompere una gravidanza, lo farà con ogni mezzo, anche a costo di mettere in pericolo la sua stessa vita.
Quelli della mia generazione, che erano adolescenti negli anni settanta, ancora si ricordano di casi di cronaca in cui donne morivano per essere ricorse all’aborto clandestino, ma i giovani non ne hanno un’idea, per questo vi riporto in calce a questo articolo una testimonianza di quell’orrore che è l’aborto eseguito dalle mammane, trascrivendolo dal capitolo III del libro della ginecologa Rosetta Papa, previo suo consenso:
“La ragazza col piercing al naso” – Racconti di Donne a Sud della Salute –
“Giuseppina
(…) La prima volta non sapevo come muovermi e quindi la signora si spazientì perché le facevo perdere tempo. Fuori dalla porta c’erano altre due donne. Mi disse di stendermi sul tavolo e iniziò a toccarmi con le mani, invece dotorè, in ospedale il dottore teneva i guanti. Dopo poco cominciai a sentire un dolore sempre più forte, ma non aprivo gli occhi per paura di vedere. Sentivo solo che mi infilava qualcosa dentro e quando gridai forte perché mi sentivo scoppiare, solo allora mi disse:
– Mò te ne puoi andare, ma mi raccomando stanotte non dormire perché se perdi molto sangue e non te ne accorgi puoi morire nel sonno. Comunque qualsiasi cosa succede, non tornare qua. Se tutto va bene tra qualche giorno abortisci. – (…)”