Sull’essere sé stessi, sul vivere pienamente, a partire da Karl Kraus, Oscar Wilde, Gesualdo Bufalino…

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Adelphi ha pubblicato la raccolta degli aforismi di Karl Kraus, che si intitola appunto “Detti e contraddetti”. Il titolo è emblematico perché chi scrive aforismi e non solo si trova sempre nella condizione di “fail again” di Beckett: gli aforismi si contraddicono spesso perché ci sono la contraddittorietà della vita da un lato e dall’altro la contraddittorietà del pensiero, che ci restituiscono un’esistenza e un mondo illogici, insensati, assurdi per come lo intendeva Camus.

Oscar Wilde in un aforisma scrive: “Per essere felici bisognerebbe vivere. Ma vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più.”

Karl Kraus in un aforisma scrive: “Non si vive neppure una volta.”

Gesualdo Bufalino in “Bluff di parole” scrive: “Essere non comporta necessariamente l’esistere: Dio non esiste ma è.”

Mi chiedo quanto tempo abbiamo a disposizione per essere veramente noi stessi, per fare ciò che ci piace, per amare come vorremmo? E quante sono davvero le volte che ci riesce essere veramente noi stessi, fare ciò che ci piace e amare? Siamo spesso sonnambuli, persi in abitudini, noia, alienazione, stress, automatismi, dipendenze. Gran parte del tempo dell’uomo occidentale è dovere e poco piacere. Inoltre il poco tempo libero viene sprecato spesso in cose futili, che molti fanno per conformismo e perché gli altri le considerano divertenti. Quanta vita è veramente nostra? Quanto riusciamo a essere noi stessi? Quanta vita ci appartiene veramente, se molto è determinato e condizionato dalla biologia, dall’ambiente, dal caso, dalla Storia, dalla società, da forze inconsce? Bisognerebbe vivere una “vita inimitabile” e fare della nostra vita un’opera d’arte? Bisognerebbe cogliere l’attimo? Essere religiosi? Essere viveur? Essere cultori dell’ozio? Seguire le pulsioni? Oppure le esigenze interiori? Oppure cercare un equilibrio tra queste cose? Nietzsche scrive di diventare ciò che siamo. Ma quanto ci costerebbe essere veramente noi stessi? Quale prezzo dovremmo pagare? E il senso di colpa ? E le punizioni della società? E il biasimo altrui? E la vergogna? Finiremmo per essere soli anche se autentici, ma a che servirebbe avere l’autenticità allora, visto che siamo animali sociali? Bisognerebbe allora cercare un compromesso. Siamo sempre in equilibrio precario. Realizzare i nostri desideri mimetici oppure quelli più segreti? Sarebbe veramente egosintonico essere noi stessi totalmente? Realizzare tutte le nostre subpersonalità? Cercare di realizzare tutta la nostra unicità e irripetibilità, quando gran parte del nostro Sé è sociale, come insegna il sociologo Berger? Pregare, pentirsi, raccogliersi interiormente? Girare il mondo, incontrare migliaia di persone, amare molte donne? Cercare di capire la natura e le leggi che governano il mondo? Cantare la bellezza? Denunciare gli orrori? Combattere la malattia e la povertà? Cercare il rinnovamento, il cambiamento? Cercare di realizzare la piramide dei bisogni di Maslow? Vivere il più possibile le peak experiences di Maslow? fatto è che se vivessimo davvero pienamente non saremmo ancora soddisfatti perché non ci basterebbe vivere ma vorremmo anche capire tutta la nostra vita. Tutti privilegiano uno o più aspetti della vita e molti giungono alla maturità frustrati, complessati, insoddisfatti, inappagati perché non basta una vita intera per fare il 10% delle cose che vorremmo fare e perché la vita è fatta in gran parte di prosa e sono rari gli istanti di felicità, di poesia. Secondo un vecchio adagio noi viviamo sfruttando il 5% delle nostre capacità intellettive. C’è chi cerca di sfruttare al massimo le sue potenzialità. Forse sarebbe una vita più autentica se sfruttassimo il 10% delle nostre capacità, ma la questione è mal posta perché nessun scienziato sa qual è il 100% delle capacità mentali umane. La realtà è che molti desiderano denaro, ricchezza, successo, potere. Ma sarebbero davvero soddisfatti se ottenessero queste cose? La realtà è che abbiamo troppi determinismi e condizionamenti sociali e mediatici per essere veramente noi stessi. La realtà effettiva è che, come sostiene David Saxon, stiamo andando veloci ma non sappiamo dove. Lo stesso Habermas sosteneva che siamo sotto il giogo degli accadimenti e abbiamo poco margine di scelta. Bisognerebbe perseguire allora la felicità, che i fondatori della democrazia americana misero tra i diritti dei cittadini? E la nostra felicità non sarebbe misero egoismo, se altrove imperversano la povertà e la guerra? Ci salverà l’intelligenza artificiale? Picasso sosteneva che il computer dà solo risposte. Ciò che caratterizza veramente la specie umana è la capacità di farsi delle domande. Ecco allora che per essere veramente noi stessi ed essere autentici bisogna iniziare prima di tutto a porsi delle domande su noi, sulla vita, sul mondo, sulla giustizia, sull’uguaglianza, sulla libertà, sul rispetto, sulla morte, etc etc.

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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