Il relativismo rischia di indebolire la cultura d’appartenenza, ma offre democrazia e dà voce a tutti. L’etnocentrismo privilegia il proprio gruppo di appartenenza. L’etnocentrismo – lo dice la parola – ritiene centrale la propria etnia, la propria cultura. L’etnocentrismo fa parte della natura umana, perché è una costante antropologica e psicologica di tutti quella di privilegiare il proprio gruppo. Un certo margine di etnocentrismo esiste sempre, anche nella società più aperta: è ineliminabile. Lo hanno ammesso tutti gli antropologi recentemente. L’etnocentrismo è innato. Il relativismo è acquisito. Mi spiego meglio per non essere frainteso. Il relativismo è una conquista, è un a posteriori della civiltà, mentre l’etnocentrismo è un a priori della natura. Come dicono e scrivono i filosofi il relativismo è necessario, perché il suo opposto e contrario è l’assolutismo. Il rischio maggiore di tutti è quando l’etnocentrismo sfocia nel razzismo, nell’odio dell’altro. La faccenda è complessa perché il relativismo può essere prodotto sia dalla democrazia evoluta che dal nichilismo di una società e spesso è difficile distinguere il grano dal loglio, il relativismo cosiddetto buono da quello cosiddetto cattivo. Ma la questione è ancora più ingarbugliata, perché il relativismo può causare altra democrazia così come altro nichilismo: il circolo può essere virtuoso o vizioso. L’etnocentrismo può diventare fanatismo, integralismo e un nazionalismo troppo acceso (scriveva Gide che nei nazionalismi c’è troppo odio e poco amore). L’etnocentrismo può diventare credenza della superiorità della nostra società sulle altre e diventare sopraffazione. Comunque il relativismo non è solo rose e fiori. Ha anche i suoi difetti e i suoi rischi. Troppo relativismo smarrisce, disorienta, frastorna, perché ogni società per quanto aperta deve trasmettere valori e principi: altrimenti si rischia l’anomia totale! Un minimo di etnocentrismo consente di preservare le radici di un popolo. Il rischio maggiore è quello di imporre una dittatura del relativismo, che crei alla fine troppo disordine, troppa confusione, caos totale. Bisogna anche accettare che troppo relativismo può essere controproducente, può portare anch’esso all’odio, alla violenza di quelle persone con pregiudizi e chiusure mentali che si sentono minacciate proprio dal relativismo. È vero perciò che una società relativistica può essere percepita da alcuni come una minaccia per la loro identità, ma è altrettanto vero che l’affermarsi del relativismo apre le menti dei bambini e dei giovani, riducendo i pregiudizi e le chiusure mentali. Nella società ci vuole la giusta dose di relativismo, accettando e permettendo quella piccola parte di etnocentrismo ineliminabile nella popolazione, che si declina in cameratismo, campanilismo, sciovinismo, patriottismo, etc etc. Senza la distinzione tra ingroup e outgroup non esisterebbe neanche la fratellanza, l’amicizia, l’amore, perché non si può essere fratelli, amici, amanti di tutti, esistendo le affinità, le simpatie, l’attrazione, il disgusto, le idiosincrasie. L’amore umano è molto spesso unilaterale e per niente universale. Troppo relativismo (non solo troppo etnocentrismo) può anche essere una minaccia alla democrazia, perché può aprire le porte e dare la voce a forze intolleranti, violenti, dittatoriali. Il relativismo più sensato è quello che dà la voce a tutti, ma che non accetta l’intolleranza, l’odio, la dittatura. L’etnocentrismo è l’uomo allo stato di natura; il relativismo è come dovrebbe essere, l’aspirazione massima della civiltà. Al relativismo ci si può sempre abituare, così come ci si abitua a quello che riteniamo diverso e nuovo. Ma dobbiamo essere realisti. Il relativismo è cultura e l’etnocentrismo è natura. Bisogna non essere estremisti e non essere troppo bipolari, ma bisogna cercare di far coesistere questi due aspetti. L’etnocentrismo è difesa del locale, il relativismo è affermazione del globale. Si può combattere troppo etnocentrismo col relativismo, ma cercare di eliminare anche le forme più accettabili di etnocentrismo è utopico e può rivelarsi dannoso, potrebbe creare violenza e disordine per chi ha resistenza al cambiamento. Se un tempo niente era relativo, oggi c’è il rischio opposto che tutto sia relativo. Essere troppo aperti o troppo chiusi mentalmente può dipendere dalla cultura, dall’esperienza di vita, dalla personalità di base. Teoricamente sarebbe da condannare senza se e senza ma l’etnocentrismo e considerare giusto e sacrosanto il relativismo, ma dobbiamo fare i conti con i limiti umani. In pratica bisogna fare in modo che questi due aspetti della realtà umana si controbilancino, ma è assai arduo e complesso. Un giusto relativismo può essere il sale della democrazia (e potremmo stare ore a discutere se uno deve essere mezzo e l’altro fine o viceversa), ma ci vuole quel minimo di etnocentrismo che permette di educare e di far interiorizzare principi e valori. E comunque anche imporre il relativismo a tutti i costi è un atto assolutista, ma qualsiasi ideologia, qualsiasi cultura in questo senso è imposizione di valori e principi e perciò è assolutista. Un rischio del relativismo è quello di non trasmettere alcun valore o di mettere valori e disvalori tutti sullo stesso piano. Ogni cultura invece fa una selezione di valori e dà ai valori una priorità. Anche l’anarchia contiene in sé il relativismo, ma non rinuncia alla priorità della libertà, della giustizia rispetto all’ordine, al potere, alla tradizione secolare e quindi fa una scelta valoriale, privilegiando dei valori invece che altri. Troppo etnocentrismo può creare conflitti intergruppi, ma troppo relativismo può anch’esso crearli, perché alcuni possono avere problemi a formarsi un’identità sociale. La cosa migliore sarebbe relativizzare l’etnocentrismo e tentare l’etnocentrismo del relativismo, ovvero saper coniugare felicemente questi due aspetti.
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