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I cantautori, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, sono stati punti di riferimento di molti giovani, più che altro quelli impegnati politicamente. Da loro le giovani leve si aspettavano che venisse indicata la via maestra. I cantautori erano le bussole con cui orientarsi per i ventenni di allora.
Fabrizio De André
Fabrizio De André è stato un poeta prestato alla canzone e allo stesso tempo “l’amico fragile” di molti. Lo stesso Mario Luzi era convinto della poeticità dei suoi testi e scrisse che era un grande chansonnier. Luzi ascoltò tutti i suoi brani prima di dare un suo giudizio critico, che non fu assolutamente affrettato. Faber era di estrazione borghese. Suo padre era un professore, allievo di Croce. Suo fratello era bravissimo a scuola e diventò un ottimo avvocato.
Il nostro invece scelse di diventare artista, nonostante le incomprensioni in famiglia. Prese come maestri Brassens e Bob Dylan. Trovò terreno fertile nella sua Genova. Trovò come amici dei colleghi, che fecero anch’essi la canzone d’autore, la cosiddetta scuola genovese. Da giovane cantò sulle navi da crociera assieme a Paolo Villaggio e a Silvio Berlusconi. Poi la notorietà.
Fu un grande cantautore molto schivo che non si fece mai travolgere dal successo. Erano anni difficili quelli, in cui alcuni sparavano. Erano gli anni di piombo. Il suo engagement e il suo talento lo innalzarono al di sopra di qualche spanna rispetto all’Italietta dalla rima amore e cuore, rispetto al mondo dello spettacolo, allora così meschino, che emarginò Mia Martini perché secondo alcuni portava iella.
De André anarchico
De André fu anarchico. La sua anarchia però non fu mai presa di posizione politica eversiva ma categoria dello spirito. De André è stato il compagno di strada dei giovani degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Versatile e colto, scrisse un album in dialetto sardo, si ispirò ai vangeli apocrifi e a “Spoon River” di Edgar Lee Master. Fu antimilitarista e raccontò quel che accadeva in via del Campo in anni in cui c’era una censura ferrea.
Dedicò un brano anche a Pasolini (Una storia sbagliata) senza cadere nella retorica e nel moralismo. È stato il cantore degli ultimi, dei diseredati, dei tossicodipendenti, degli emarginati. Si mise sempre contro il perbenismo e l’ipocrisia della buona borghesia, ricordando che ognuno era comunque coinvolto in quel che succedeva nel Paese.
In direzione ostinata e contraria
Per la prima volta nella canzone italiana entrarono in scena gli umili ed i dannati con un’alta qualità poetica: le donne di vita ma anche una trafila di personaggi che stavano sulla “cattiva strada”. Si schierò sempre contro il potere e si mise dalla parte di chi viaggiava in “direzione ostinata e contraria”. Fu l’amico fragile dei giovani più impegnati. Dori Ghezzi fu la sua musa. Nonostante certe sue sregolatezze e l’alcolismo in alcuni anni riuscì sempre ad essere una grande coscienza critica dell’Italia di quegli anni.
La sua figura fu autorevole e autoironica senza mai essere autoritaria e neanche elitaria. I teatri erano sempre pieni nei suoi concerti. Cantò anche insieme alla Pfm. Si dimostrò molto umano non solo nelle sue canzoni ma anche nella vita perché perdonò i suoi rapitori e fece poesia di quel periodo drammatico con Hotel Supramonte. Cantò magistralmente le contraddizioni dell’amore, ricordando a tutti comunque che “era meglio essersi lasciati che non essersi mai incontrati”.
L’utopia per Fabrizio De André
A chi gli chiedeva “Che valore hanno per te l’utopia, il sogno?” rispondeva molto saggiamente: “Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura”.
Oggi è ormai riconosciuto giustamente come uno dei padri nobili della canzone d’autore e della musica leggera italiana. Viene sempre più considerato un poeta anche dai letterati. Infatti alcuni suoi testi sono stati inseriti in alcuni manuali di letteratura italiana. A chi gli chiedeva lumi sull’essere poeta o meno rispondeva, citando Croce, che dopo la giovinezza solo due categorie di persone scrivono poesie: i poeti veri e i cretini.
SEMPRE IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA