Folaghe, turisti e mutua solidarietà

Prima del turno di notte ho un rituale di preparazione. Parto da casa abbondantemente prima dell’orario indicato da quella scarpetta di cristallo del capitalismo che si chiama badge e cerco di ritagliarmi mezz’ora per l’autocommiserazione. Mezz’ora senza ruoli né maschere. Cerco uno spazio isolato, schivando l’allevamento intensivo umano di quell’ammattito mattatoio chiamato turismo. Persone apparentemente convinte di aver scelto l’esperienza unica, ma instagrammata miliardi di volte, del made in Italy. Persone entusiaste di mangiare una pizza di cartone a 20€ e bere un bicchiere di vino – che sembra piscio di gatto colorato con l’amarena – a 7€.

Entro al bar. La barista mi guarda con il sorriso falso e stanco di chi deve gestire un inferno per 4€ l’ora. I suoi occhi sono così eloquenti che rinuncio a chiederle un caffè. Prendo una red bull dal frigo vicino alle slot e la bevo velocemente e controvoglia. Lascio le monete sul bancone e vado verso la darsena.

Il lago sotto di me puzza, come sempre. La fiamma dell’accendino mi ricorda la canicola senza carattere di qualche ora prima.

Tengo viva la fiamma passando il fumo tra la bocca e le narici senza aspirare. Mi siedo e parte l’interrogatorio al mio io nichilista. Inizio a chiedermi che cazzo lavoro a fare? È una domanda di copertura. Quella vera sarebbe: per quale cazzo di motivo sono ancora vivo? Non c’è motivo per cui una persona moderatamente dotata di spirito critico, ma con scarso coraggio, debba vivere oltre i trent’anni. È come provare a sognare dopo mezzogiorno quando hai già dormito tutta la mattina. Al massimo avrai incubi, e sicuramente ti sveglierai con uno di quei mal di testa che covano anche quando pensi ti siano passati. Oltre i trenta, che tu voglia ammetterlo o no, hai già colto o perso le migliori occasioni per essere un umano degno di questo nome.

Una rossa con la pelle bronzo-rame mi passa accanto e il profumo dei suoi capelli mi distrae. Cammina decisa per chissà dove, mentre la sua camicetta si muove seguendone il respiro come risacca sull’insenatura di una baia. Una coppia di nordeuropei che puzzano di ricco mi sorpassa subito dietro, indicando qualcosa giù, nell’acqua.

Mi affaccio anche io. È una folaga con 4 pulli. La folaga è proprio brutta e i suoi pulli non fanno differenza. Sono uccelli neri come corvi ma più sgraziati. Le loro zampe sembrano le scarpe di un clown assassino. Tuttavia, come succede per tutta la fauna lacustre, nulla li salva dall’essere vittime impotenti – e spero inconsapevoli – dei voraci selfie di consumatori di esperienze preconfezionate e di divertimento antropocentrista.

La folaga madre ha scelto di fare il nido su una roccia a pelo d’acqua. Il maschio la supporta consegnandole lunghe canne di erbaccia lacustre che lei, sapientemente, posiziona e intreccia. Tutto sembra perfetto. Calmo e bucolico.

All’improvviso il lago inizia a sbraitare facendo alzare le onde e tradendo la metafora di Ivan Graziani sui capelli di Marta. Per un attimo esulto, convinto che il lago si sia rotto i coglioni di essere l’attore malpagato di una pubblicità per turisti. Poi sento poco distante il rumore del battello e comprendo l’origine artificiale delle onde. I pulli vengono sbalzati via dalla roccia e si affaticano, cercando di risalire con l’aiuto della madre. Poi un’onda e un’altra ancora. Ogni volta i cuccioli si disperdono e ogni volta, testardi e resistenti si ricompattano. A ogni onda vengono sbatacchiati contro altre rocce. Mi aspetto di vederli morti da un secondo all’altro. Ma resistono, riemergono e risalgono. Infine la tempesta artificiale si placa e possono tornare insieme sulla roccia. Si riavvicina anche il maschio portandosi dietro un pullo che l’acqua aveva sbattuto più lontano.

Tornata la calma riprendono a costruire il nido. Un innato anelito di mutualismo volto alla sopravvivenza della specie. Nessun contratto li tiene insieme né l’anagrafe e né lo stato di famiglia. È mutua solidarietà. È la capacità dei forti a sostegno dei bisogni verso i deboli. È ciò che dovrebbe essere.

Se hai apprezzato questo articolo

Iscriviti

Adesso

Iscriviti alla nostra Newsletter per ricevere un aggiornamento mensile sugli ultimi articoli e approfondimenti.

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo precedente

Sui diversi modi di porsi nei confronti della verità in estrema sintesi

Prossimo articolo

Le filigrane sul Taccuino di Cola dell’Amatrice: l’intervento della Direttrice della Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, Maria Chiara Leonori al 7th International Conference on Watermarks in Digital Collections. 

Ultimi articoli di I mari del galeone

Le foglie di Urbino

Di Riccardo Renzi Suona la campanella, è l’ultimo trillo dell’anno scolastico, l’ultimo della loro vita, per

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi