“Il passato, il presente e il futuro sono come infilati insieme nel filo del desiderio che li percorre”. O almeno così, ha affermato Freud. Un esempio – che lui chiama banale – per rendere più chiara la sua affermazione: a un ragazzo povero e orfano, è stato dato l’indirizzo di un datore di lavoro, dove può forse ottenere un posto. Nel frattempo che si reca nel luogo suggeritogli, può indugiare in un sogno a occhi aperti. Il contenuto della sua fantasia potrebbe essere questo: ottiene il posto, viene preso in simpatia dal suo datore, si rende indispensabile nel lavoro, viene accolto dalla famiglia del principale, ne sposa la figlia, e quindi diventa lui stesso direttore d’impresa, dapprima socio e poi come successore del padrone.
In questa fantasia il sognatore ha riconquistato quello che possedeva nella sua infanzia felice: la casa protettiva, i genitori affettuosi, e i primi oggetti dei suoi sentimenti amorosi. Si può vedere da questo esempio il modo in cui il desiderio si serve di un’occasione del presente per costruire, sul modello del passato, un’immagine del futuro. (Freud Psicoanalisi dell’arte e della letteratura New Compton Editori)
Tre istanze intrapsichiche
Il sé nelle teorie psicoanalitiche è definito come una struttura della mente, la totalità bio- psichica – riguarda sia la mente che il corpo, è la totalità dell’individuo negli aspetti psicologici e negli aspetti psico-somatici – della persona o la dimensione soggettiva – quello che la persona sperimenta – dell’esperienza. Secondo Freud, l’Io è distinto dal Sé e il carattere libidico dell’Io viene alimentato da investimenti pulsionali orientati verso l’immagine del corpo, assunta come oggetto libidico. Freud non utilizza specificatamente il concetto di Sé nella sua formulazione teorica, riferendosi invece al costrutto di Io.
L’Io ricopre una difficile posizione: deve garantire l’auto-conservazione, evitare pericoli esterni, prevenire e tenere a bada i pericoli interni. L’Io è la componente della personalità con cui ci presentiamo al mondo intero, anche se, come afferma Freud: “l’Io nelle zone profonde è altrettanto profondamente inconscio, e confluisce col nucleo del rimosso.” (Freud L’Io e l’Es – Biblioteca Bollati e Boringhieri)
“L’Io ha il difficile compito di registrare gli stimoli e gli affetti sia esterni, sia interni e deve provvedere a valorizzarli o respingere da sé. Disciplina l’attività muscolare dell’organismo, deputata a fornire una “scarica” degli eccitamenti; grazie all’attività di pensiero, è in grado di differire l’azione dettata dal principio di piacere e di conformarla alle opportunità che derivano dal principio di realtà; rappresenta insomma l’avvedutezza dell’esperienza e della lungimiranza della ragione, laddove l’Es è il regno della cieca volontà delle pulsioni di vita o di morte, fra loro in eterno conflitto” (Freud L’Io e l’Es – Biblioteca Bollati e Boringhieri, pag 13)
All’Es corrisponde la parte più profonda, costituita da un insieme di pulsioni e istinti che irrazionalmente spinge l’essere umano ad agire per liberare gli istinti nascosti, celati al mondo intero. Freud asserisce che l’Io non è altro che un umile servo dell’Es, che implora amore dal suo padrone. E definisce l’Io: “[…] servile, opportunista, bugiardo, come un uomo di stato che pur essendo consapevole di come stanno effettivamente le cose, intende tuttavia conservarsi il favore della pubblica opinione.” ( Freud L’Io e l’Es – Biblioteca Bollati e Boringhieri, pag 84) [Ritorno a capo del testo]
Il Super-io è la coscienza morale. Così dà la definizione Freud: “Fra i rapporti di dipendenza dell’Io, quello dal Super-io è probabilmente il più interessante. L’Io è in effetti la vera e propria sede dell’angoscia. Minacciato da un triplice pericolo, l’Io sviluppa il riflesso di fuga ritirando il proprio investimento dalla percezione minacciosa o dal processo dell’Es che egli valuta come una minaccia, ed esternandolo sotto dorma di angoscia. Questa reazione primaria viene in seguito sostituita dall’instaurazione di investimenti protettivi – è questo il meccanismo delle fobie –. Ciò che l’Io teme propriamente dai pericoli esterni o dal pericolo rappresentato dalla libido dell’Es, non è determinabile; sappiamo che si tratta del timore di venire sopraffatto o annientato, ma la cosa non è intelligibile sotto il profilo analitico. L’Io segue semplicemente il monito del principio del piacere. Si può dire invece quello che si nasconde dietro l’angoscia dell’Io nei confronti del Super-io, dietro l’angoscia della coscienza morale.” (Freud L’Io e l’Es, Biblioteca Bollati e Boringhieri, pag 86) [Ritorno a capo del testo]
E riguardo la coscienza? È quella che dobbiamo guardare Attraverso uno specchio. É per questo motivo che ci risulta semplice soffermarci solo all’immagine superficiale che quell’oggetto riflettente ci rimanda indietro. È l’Io che presentiamo al mondo, una facciata, una maschera. Ed è più facile forse, sottostare a quella maschera, nascondendoci, mentendo persino a noi stessi. L’argomento complesso, implica una certa dose di coraggio. E fragilità. Senza quest’ultima, non avremmo nemmeno quell’energia morale, quella forza fisica che ci fa sprezzare il pericolo.
Che cosa ne pensano al riguardo le sagge e lungimiranti menti?
Per Freud: la coscienza costituisce la superficie dell’apparato psichico. Sono consce tutte le percezioni: quelle che ci giungono dall’esterno – percezioni sensoriali – e quelle che provengono dall’interno, che chiamiamo sensazioni e sentimenti. Come stanno però le cose con quei processi interni che – in modo rozzo e impreciso – possiamo indicare globalmente come processi di pensiero? Essi si producono in qualche luogo all’intero dell’apparato come spostamenti di energia psichica sulla via dell’azione. Orbene sono questi processi che si affacciano alla superficie dove si origina la coscienza? Oppure è la coscienza che giunge fino ad essi? È qui visibile una delle difficoltà che si incontrano quando si voglia prendere sul serio la rappresentazione spaziale, topica, dell’accadere psichico. Entrambe le possibilità sono ugualmente inconcepibili, e dev’esserci una terza soluzione. (Freud L’Io e l’Es, Biblioteca Bollati e Boringhieri, pag 28, 29) [Ritorno a capo del testo]
Per William James – psicologo e filosofo statunitense di origine irlandese 1842-1919 – che ha scritto “Il trattato della psicologia” – il libro più letto nella storia della psicologia – non vede la mente come un contenuto cristallizzato, strutturato nella coscienza, in contrapposizione con la corrente nota come Strutturalismo di Tichener, secondo il quale la psicologia deve analizzare la struttura della mente che sarebbe formata da tanti elementi che la compongono come un mosaico di sensazioni, emozioni, concetti, insomma la scienza dei processi mentale dei contenuti di coscienza dell’uomo colto adulto, senza studiare bambini, animali, malati di mente; il Funzionalismo di James cerca di studiare la mente nelle funzioni e nella sua evoluzione, come un flusso ininterrotto e continuamente cangevole, che permette di studiare anche la psicologia negli animali, nell’età evolutiva. La coscienza, non è rappresentata da uno “stato” ma da un “divenire”.
Così scrive W. James:[Ritorno a capo del testo]“Da vent’anni a questa parte, ho cominciato a diffidare della “coscienza” intesa come entità; da sette o otto, poi, ho suggerito ai miei studenti che essa non esista, cercando di dare loro il suo equivalente pragmatico nella realtà dell’esperienza. Ora invece mi sembra che i tempi siano maturi per disfarsene apertamente e senza sconti. Negare seccamente che la “coscienza” esista sembra in effetti così assurdo – dato che indubbiamente i “pensieri” esistono – che, temo, alcuni lettori non mi seguiranno oltre. Mi si lasci dunque spiegare immediatamente che intendo solo negare che la parola indichi un’entità, mentre affermo invece nel modo più deciso che essa indica una funzione punto quello che intendo dire è che non esiste alcuna materia originaria o qualità dell’essere di cui sono fatti i nostri pensieri diversa da quella di cui sono fatti gli oggetti materiali o i nostri pensieri su di essi; e che invece c’è una funzione che pensieri svolgono nell’esperienza, per lo svolgimento della quale si invoca questa qualità dell’essere punto tale funzione è quella di conoscere. Si ritiene che sia necessaria la “coscienza” per spiegare il fatto che le cose non solo sono, ma sono anche registrate e conosciute. […] La distinzione soggetto-oggetto è peraltro completamente differente da quella tra pensiero e materia, o tra corpo e anima. Le anime erano separabili, avevano destini diversi; potevano capitare loro delle cose. Alla coscienza in quanto tale non può accadere nulla, poiché, essendo in sé senza tempo, è solo una testimone degli accadimenti nel tempo, ai quali non prende alcuna parte. In una parola, è solo il correlato logico del “contenuto” in un’Esperienza, la cui caratteristica peculiare e che in essa il fatto viene alla luce, che avviene la consapevolezza del contenuto. […] Come cosa, l’esperienza è estesa; come pensiero, non occupa né spazio né luogo. Come cosa, è rossa, dura, pensante; ma chi ha mai sentito di un pensiero rosso, duro o pensante? Tuttavia anche adesso hai detto che un’esperienza è fatta proprio di ciò che appare, e ciò che appare sono proprio tali aggettivi. Come può l’unica esperienza quando è nella sua funzione di cosa [thing-function] essere fatta, consistere di questi, portarli come proprio attributi, quando invece, nella sua funzione di pensiero, se ne sbarazza e li pone altrove?” (William James Esiste la “coscienza”? Mimesis Edizioni pag 36, 37; 67) [Ritorno a capo del testo]
Mi viene in mente la figura emblematica del Grillo Parlante nella storia di Pinocchio di Carlo Collodi. La coscienza prende forma e diventa un Grillo Parlante. Si conoscono – il Grillo Parlante e Pinocchio – quando Geppetto, dopo aver creato Pinocchio, che scappa, lo insegue per riportarlo a case e finisce in prigione al posto del burattino di legno. Pinocchio rientra trionfante nella piccola e povera casa. C’era qualcuno ad aspettarlo però, il Grillo Parlante: “Io sono il Grillo Parlante e abito in questa stanza da più di cent’anni”.
Nella storia, Collodi, racconta di una conversazione accesa tra i due e dopo una serie di ammonimenti del Grillo e di riposte impudenti da parte del burattino, succede quel che si sa. Pinocchio schiaccia il Grillo con un martello di legno: “[…] e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete.” E così mette a tacere la coscienza.
Da sempre si cerca di dare forma alla coscienza. Nella Bibbia, il nuovo testamento, negli atti degli apostoli, così San Paolo, l’apostolo delle genti, rispose all’accusa di fomentare disordini ed essere a capo di una setta:“Per questo anche io mi sforzo di conservare in ogni momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini”. Ma non voglio divagare troppo, al riguardo si potrebbe aprire una parentesi infinita e, al di là del mio modesto parere, non potrei contribuire in altro modo. Ci sono gli esperti che parlano e scrivono di ciò. E come si dice nella preghiera Salve o Regina, Orsù dunque… in contrapposizione con la religione cattolica devo necessariamente citare Rumi – il grande pensatore e poeta persiano sufi –: “La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe…Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l’intera verità”.