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È sempre difficile generalizzare. Ciò nonostante dei tratti comuni ogni generazione li ha, anche se si potrebbe obiettare dicendo che dalla contestazione del 1977 non esistono in Italia più generazioni, poiché da allora i giovani non stanno più insieme, non si pensano più collettivamente, per l’appunto non si sentono e non si pensano più come parte di una generazione. A onor del vero potremmo posticipare di molto l’essere orfani della propria generazione, ovvero dopo il movimento studentesco della Pantera o addirittura dopo le occupazioni delle facoltà universitarie del 1993-1994 per l’aumento delle tasse studentesche. Ci sono validissime ragioni per muovere queste obiezioni. Eppure delle costanti antropologiche, sociologiche, psicologiche, culturali, lavorative ogni “generazione” le ha e se proprio non si vuol chiamarla generazione, la si chiami pure fascia d’età. Ora volevo fare un brevissimo confronto tra generazioni.
Gap generazionale
Mai come oggi c’è incomunicabilità tra le generazioni, soprattutto tra la generazione Z e i loro padri della generazione X oppure tra la generazione Z e i loro nonni, ovvero i baby boomer. Un tempo c’erano incomprensioni, divergenze, conflittualità accese. Oggi ci sono solamente per questioni economiche (per quelle ci si scanna sempre, state tranquilli/e), perché per il resto padri e figli, nonni e nipoti non parlano più la stessa lingua e hanno modi di approcciare la realtà, di intendere la vita troppo diversi, addirittura incompatibili. Quindi non essendoci confronto non c’è nemmeno conflitto; non c’è scontro, perché non c’è dialogo. Ma poi quando mai hanno tempo per ritrovarsi? Giusto il tempo di cenare e scambiare due parole di numero, magari tra una notizia e l’altra del Tg. Oppure giusto il tempo di ritrovarsi su Instagram e di mettersi reciprocamente un like alla storia, appena qualche secondo e occasione sempre più rara, dato che i più giovani passano la maggior parte del loro tempo su Tik Tok e i “vecchi” su Facebook. Entrambe le generazioni si condannano a vicenda: padri e nonni dicono che i loro figli e nipoti non hanno voglia di lavorare, mentre la nuova generazione si sente totalmente incompresa e ritiene responsabili dell’emergenza climatica le vecchie generazioni. I giovani non capiscono le certezze dei genitori. Non capiscono la loro rispettabilità. I più anziani non capiscono Onlyfans, il revenge porn, il cyberbullismo, l’alta disoccupazione giovanile, la perdita del comune senso del pudore, i trapper, la fluidità sessuale, il pensiero intersezionale, etc etc. I vecchi avevano il posto fisso, le ferie di un mese, il perbenismo, la morale, le ideologie. I giovani sono nativi digitali e pornonativi, ovvero cresciuti con la diffusione del porno di massa. I vecchi possono ricattare economicamente i giovani, perché loro hanno stipendio o pensione. I giovani possono ricattare affettivamente i vecchi, perché possono andare via e tagliare definitivamente i ponti. Ma spesso vige la reciproca sopportazione, poiché l’unione fa la forza. I vecchi non avevano nessun compagno di classe figlio di immigrati. I giovani vivono di fatto in una società multietnica e multiculturale fin da bambini. I loro mondi sono distanti, lontani, anzi la distanza è siderale, senza enfatizzare né esagerare troppo.
I danni psicologici della pandemia
Non solo ma un’altra cosa che caratterizza i più giovani è il fatto che loro hanno subito più di tutti i danni psicologici della pandemia tra isolamento sociale e paura di contagiare gli altri oltre alla loro colpevolizzazione per i contagi. La pandemia ha rovinato l’adolescenza e la gioventù. Non a caso proprio durante la pandemia è aumentato del 31% il numero di giovani che si è rivolto a psicoterapeuti.
La tecnologia ci ha stravolto la vita
Inoltre nel giro di due, tre decenni ci sono stati dei cambiamenti epocali. La società è stata stravolta dalle innovazioni tecnologiche. È sempre più difficile per i maturi stare al passo con i tempi, con le nuove “diavolerie” informatiche ma anche con le mode, con i continui cambiamenti dei costumi. Intendiamoci: il divario generazionale c’è sempre stato, ma oggi è aumentato esponenzialmente. Così come fa parte del “mestiere” di figlio/a quello di essere contro, di ribellarsi, di cercare una sua strada, di farsi le sue idee e la sua visione del mondo. Così come vanno messi in conto l’idealismo giovanile, l’esercizio del loro pensiero ipotetico-deduttivo, il loro essere innamorati delle idee.
La cosa più grave
Ma la cosa più grave, anzi inaccettabile è che i più maturi non capiscono l’ecoansia dei loro figli e nipoti. Vecchi e giovani non si comprendono. Ma non se lo dicono apertamente in faccia. Non c’è nessun scambio di accusa. I genitori e i nonni elencano i difetti delle nuove generazioni tra coetanei e anche i giovani si lamentano dei loro “vecchi” tra il proprio gruppo di pari. Di conseguenza tutto sembra filare liscio come l’olio tra le famiglie. Poi avviene la goccia che fa traboccare il vaso in un giorno qualsiasi e accade il fattaccio, l’irreparabile, ovvero il figlicidio o il parricidio. E i vicini, intervistati in televisione, diranno che non c’era nulla che lasciava presagire quel triste epilogo, che era una famiglia perbene di sani principi, che non avevano mai litigato in vita loro. Se negli anni ’70 l’odio verso i padri non veniva nascosto, ma anzi esibito per motivi ideologici, oggi la rabbia viene trattenuta, implosa come non mai. Spesso il gap generazionale viene nascosto con questi meccanismi: la comprensione dei padri sempre più amici dei figli, la mancanza di divieti e di no, la permissività assoluta, la creazione di una comfort zone.
No future
Il sintomo più inquietante della generazione Z è la loro mancanza di futuro. Molto realisticamente si sentono l’ultima generazione (non a caso come gli attivisti ambientalisti). Ecco perché scopano, pensano, vivono, come se non avessero domani. E forse hanno ragione, perché un domani non c’è tra guerre e disastri climatici. Ritornando al rapporto tra generazioni, siamo passati da un estremo all’altro, cioè dal patriarcato, dal padre padrone di Gavino Ledda alla perdita totale di autorevolezza dei genitori. Non necessariamente è un male, non necessariamente è un bene. La mia è solo una constatazione di fatto. Poi ci sono i pro e i contro.
Ultima considerazione
Eppure, pur facendo tutti i bilanci tra dare e avere, tra torti e ragioni, i figli hanno sempre ragione, perché possono sempre dire ai padri: “te l’ho chiesto forse io di mettermi al mondo oppure l’hai scelto te?”
Questa domanda lascia un genitore, provvisto di buon senso, interdetto e silenzioso. Ovvero l’hai voluta la bicicletta? E adesso pedala! Però bisogna anche dire che ogni ruolo richiede doveri e non ha solo diritti, che ogni ruolo comporta anche delle responsabilità: anche quello di figlio/a. E la cosa non è affatto semplice da capire, da accettare, da realizzare, da mettere in pratica (il climax non è casuale ma causale). E i miglior modi che hanno i più maturi perché ciò avvenga sono l’ascolto dei figli e soprattutto la loro responsabilizzazione (sembra tautologico, ma di fatto non lo è).