“Genitrix” di Francois Mauriac

L’idillio della campagna e della provincia come soli luoghi dove la vita può essere serena ormai è stato sfatato da un pezzo. Sappiamo bene che il male si annida nelle metropoli così come nei piccoli villaggi. Non c’è scampo Per nessuno, non si può sfuggire alla cattiveria e alla meschinità, non esistono luoghi sicuri. Nemmeno la famiglia lo è più. Mauriac in queste pagine ci propone una rappresentazione drammatica del nucleo familiare, che diventa un arido luogo di ipocrisia e avarizia e, per questo, si fa teatro inevitabile di tragedie.

L’autore – Francois Mauriac

Rimasto orfano di padre all’età di due anni, Mauriac fu allevato dalla madre, cattolica di rigida osservanza. L’educazione religiosa nella quale crebbe lasciò profonde tracce nella sua formazione e, di conseguenza, nelle sue opere. Trascorse l’adolescenza in un collegio di religiosi, dove manifestò i suoi primi interessi per la letteratura. Laureato in lettere e filosofia, durante gli anni del suo giornalismo cattolico si fece denunciatore spietato e giudice intransigente dei sentimenti più meschini che secondo lui avevano travolto la borghesia di provincia, ormai lontana da qualsiasi possibilità di riscatto.

Nel 1952, vinse il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione:

“Per il profondo spirito e l’intensità artistica con la quale è penetrato, nei suoi romanzi, nel dramma della vita umana”.

“Genitrix” – la trama

Tutto si incentra sulla famiglia Cazenave e sui suoi tre membri. Una madre possessiva e gelosa, definita “regina” per quanto si fa padrona dei destini degli altri. Un figlio che è “adorato”, idolatrato dalla madre che nel suo egoismo lo tiene su un piedistallo per meglio controllarlo. Una nuora nata povera e induritasi alla vita grama fino a costruirsi una corazza di cinismo e di disprezzo, vista come “la nemica”, come corpo estraneo introdottosi quasi a tradimento in un duo che certo non può diventare trio per volere di entrambi i componenti.

Sullo sfondo, una grande casa di campagna sperduta nelle Lande, una stazione che scandisce il tempo col passaggio dei suoi treni, e niente altro. Pochi elementi bastano a Mauriac per rappresentare un vero e proprio dramma familiare che scaturisce dal gretto e meschino ambiente provinciale. Nessuno si salva, perché nessuno è degno di salvezza.

I temi

Iniziamo dalla dedica che si trova in apertura del romanzo:

“A mio fratello, il dottor Pierre Mauriac, professore ordinario alla facoltà di Medicina di Bordeaux, affido questi malati a testimonianza della mia affettuosa ammirazione”.

Dunque, veniamo avvertiti fin da subito che i protagonisti del libro sono i “malati”: il romanzo ci immergerà in un universo patologico la cui indagine è il vero protagonista di queste pagine. La malattia è intesa come sofferenza non del corpo, ma dello spirito, della moralità: è traviamento e deformazione dell’animo, che inevitabilmente portano a conseguenze nefaste. I riferimenti anche fisici abbondano: il sangue, l’emorragia, la febbre, l’insonnia… Ma questi sintomi, seppure siano sintomi del corpo, sono in realtà simbolo di una malattia, di una sofferenza, soprattutto psicologica. Complesso di Edipo, manie, senso di oppressione: l’ambiente familiare si fa soffocante nella lotta tra gli individui e fa ammalare chiunque vi si trovi al suo interno.

I personaggi testimoniano così le conseguenze di un’educazione e di una società repressive che vietano ogni fuga verso la salvezza: non c’è via di scampo, appunto, per nessuno. “La provincia è farisiaca”, diceva Mauriac, e questo romanzo può essere considerato una tipica scena della vita di provincia. Avarizia, orgoglio, odio, culto del denaro, ipocrisia, desiderio di dominio sono testimoniati in modo tragico dai tre personaggi di quest’opera spietata ma profondamente poetica.

Poetica, sì. Perché nonostante tutto, nonostante Mauriac descriva la famiglia come un covo di serpi, egli rischiara questo tetro universo con una soffusa luce di nostalgia della purezza e di quel profondo bisogno di Dio che hanno fatto di lui uno dei maggiori scrittori cattolici.

Considerazioni

La tentazione è quella di leggere in fretta, di bere queste pagine per placare la sete di lettori avidi che Mauriac subito fa risvegliare. Il mio consiglio però è: rallentate. Rallentate e gustate sorso dopo sorso tutte le immagini liriche che sbocciano tra una meschinità e l’altra. Godetevi appieno i delicati quadretti naturalistici che si delineano in mezzo a tanta grettezza. E, soprattutto, soffermatevi a pensare a cosa è cambiato e a cosa non lo è. Davvero quello che emerge dalle pagine di “Genitrix” è un mondo lontano nel tempo e nello spazio?

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Laureata in Lettere moderne
Lettrice forte
Vari corsi di editoria intrapresi
Collaboratrice di riviste indipendenti
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