Indice dei contenuti
di Massimo Ortalli, Commissione Archivio Storico Federazione Anarchica Italiana
Siamo ai primi di settembre del 1879. Al passaggio degli Internazionalisti imolesi ammanettati, che vengono portati nelle carceri bolognesi di San Giovanni in Monte, si levano dalla strada grida di saluto e di solidarietà con gli arrestati: «Viva l’Internazionale, viva la Rivoluzione sociale, viva i Malfattori moderni». Inneggiando ai “malfattori” c’è il preciso intento di far propria l’accusa puntualmente rivolta alle associazioni sovversive, quella di non essere legittime associazioni dai fini politici e sociali ma volgari associazioni di “malfattori”, in poche parole, di delinquenti comuni. Di questo non c’è da meravigliarsi, perché quello era lo spirito del tempo: tanto il rifiuto di riconoscere, da parte del potere, piena dignità alle rivendicazioni popolari e ai primi tentativi di democratizzazione della società, quanto la volontà di delegittimare i moti sovversivi tesi all’emancipazione popolare equiparandoli a quelli infamanti del delitto comune.
La reazione della forza pubblica, che non tollerò nemmeno questa innocua manifestazione di solidarietà, non si fece attendere, e alcuni dei manifestanti vennero prontamente arrestati. La Gazzetta dell’Emilia si occupa di riportare i fatti e scrive: «Ier l’altro quando si ricondussero a San Giovanni in Monte i condannati internazionalisti alcuni loro compagni si fermarono sotto le finestre a gridare Viva l’Internazionale, Viva la rivoluzione sociale. Furono arrestati certi C. e P.». E se C. è il conte ravennate Ugo Corradini, Giovanni P. sorprendentemente è il futuro “poeta nazionale” Giovanni Pascoli, all’epoca studente a Bologna, acceso internazionalista vicino agli anarchici e ad Andrea Costa, e collaboratore, fra il 1876 e il 1879, di testate incendiarie del sovversivismo emiliano-romagnolo quali Il Martello e Il Presente.
Pascoli rivoluzionario ed internazionalista
Non è un caso, del resto, che sia proprio il giovane studente Pascoli ad essere arrestato, dato che non si era minimamente preoccupato di passare inosservato, ma anzi, si era messo spavaldamente in mostra, arrivando ad oltraggiare i Reali Carabinieri gridando loro in faccia “Avanti, sgherri vigliacchi”. Trascorreranno, così, alcuni traumatici mesi di prigione, ma poi i due “malfattori”, difesi dal prestigioso avvocato bolognese Giuseppe Barbanti Brodano, saranno scarcerati il 22 dicembre dello stesso anno, avendo il Tribunale deciso per il non luogo a procedere poiché non era stato commesso alcun atto di violenza.
Di questo Pascoli “rivoluzionario e internazionalista” sostanzialmente ignorato se non misconosciuto nelle numerose biografie a lui dedicate, scrive, con evidente passione e pregevole professionalità, Rosita Boschetti, direttrice del Museo Casa Pascoli a San Mauro Pascoli, nel suo «L’Anarchico gentile. Giovanni Pascoli rivoluzionario tra manifesti sovversivi e carte della prefettura. Cesena, Il Ponte Vecchio, 2022». L’autrice raccoglie in questo volume giornali d’epoca, carte d’archivio e carteggi inediti “contribuendo così a ridefinire un periodo per molti aspetti ancora oscuro della biografia di Pascoli”. E le sorprese non mancano, perché si mostra particolarmente intensa l’attività rivoluzionaria di questo giovane studente, sovversivo negli anni giovanili e destinato a diventare, nella piena maturità, “poeta nazionale”.
“Soffriamo” e “Ode a Passannante”
Ecco, ad esempio, l’esaltante inno Soffriamo, rinvenuto nel 2007 da Elisabetta Graziosi nella biblioteca di Benedetto Croce, così descritto dalla studiosa: «il testo poetico si fonda sugli ideali insurrezionistici (pugnale, dinamite, petrolio) e propone soprattutto la rivoluzione, la liquidazione sociale, la lotta antiborghese, il “giorno dell’ira” e dell’odio». Basta leggere, infatti, alcuni versi, per comprendere quanto fosse sentita, nell’animo del giovane poeta, la solidarietà nei confronti di quei ceti popolari costretti alle sofferenze di una vita derelitta:
«Soffriamo! Ne’giorni che il popolo langue/è insulto il sorriso, la gioia è viltà! … Soffriam: le catene si spezzano al fine/allor che pugnali ne piaccia foggiar;/Fra un mucchio fumante di sparse ruine/già Spartaco è sorto tremendo a pugnar/[…] Le dolci fanciulle ch’avete stuprato ,/ i bimbi che indarno vi chiesero il pan/nel giorno dell’ira, nel giorno del fato,/i giudici vostri, borghesi, saran».
Un altro esempio della passione rivoluzionaria del giovane studente romagnolo lo troviamo nel 1878 in occasione del fallito attentato del lucano Giovanni Passannante ad Umberto Primo. A Napoli Umberto I venne a subire il primo dei tre attentati dei quali sarà vittima, opera di un giovane disperato ridotto alla fame che, con un misero coltellino e inneggiando ad Orsini e alla Repubblica Universale, attentò alla vita del Sovrano, in visita nella città partenopea con la moglie Margherita e il presidente del Consiglio Benedetto Cairoli. In quell’atto Pascoli avrebbe trovato l’ispirazione per comporre una incendiaria poesia oggi purtroppo introvabile, “Ode a Passannante” (misconosciuta, va detto, dalle memorie della sorella Mariù) nella quale si legge che “Colla berretta di un cuoco faremo una bandiera”. Superfluo sottolineare che il mestiere dell’attentatore fosse appunto quello del cuoco.
Giovanni Pascoli contro il re Umberto I
Particolarmente interessante e importante, poi, l’attribuzione a Pascoli da parte della Boschetti, di un manifesto intitolato “Ad Umberto Re d’Italia nel giorno della sua nascita” firmato Tipografia dell’Internazionale, stampato ed affisso a Rimini il 18 marzo 1879. Grazie a un accurato studio sulla terminologia e sulla grafia della firma apposta in calce, l’autrice si dichiara pressoché sicura della attribuzione, come ci conferma Daniela Baroncini nella sua bella introduzione: «Sebbene la scrittura del testo non sia immediatamente riconducibile al poeta, tuttavia la firma sottostante “Tipografia dell’Internazionale” è di Giovanni Pascoli e sancisce quindi di fatto l’approvazione dello scritto sovversivo o forse perfino la paternità del testo […]». Il testo è interamente e opportunamente riprodotto nel libro della Boschetti, ma qui non sarà inutile riportarne alcune parti:
«In mezzo alle feste ed ai tripudi, tra gli inni bugiardi e le felicitazioni veniali, sopporta, o re, che la nostra voce venga a turbare la tua gioia […] E noi, che pur a malincuore sarem costretti a far fuoco contro il soldato, forzato a servire i nostri oppressori, che è un nostro compagno di dolore e forse di fede, noi che dovremo spesso versare il sangue del più umile degli sbirri, spinto al suo infame mestiere dalla miseria e dall’abbruttimento morale, noi non vorremo di certo risparmiar te, magnanimo Re, te il più forte se non il più colpevole tra gli sbirri [..].»
Giovanni Pascoli militante anarchico
Come si vede queste parole non lasciano il minimo dubbio sui sentimenti e i propositi incendiari del nostro “gentile” poeta.
Questa, come le altre, è una dimostrazione in più, ce ne fosse ancora bisogno, dell’afflato e dell’impegno rivoluzionario del giovane romagnolo, che in quegli anni focosi era chiaramente più dedito all’attività rivoluzionaria che non agli studi alla scuola di Carducci, abbandonati nel 1875 e ripresi solo nel 1880. Pascoli non era un militante fra i tanti dell’associazionismo sovversivo, ma uno degli elementi più attivi, tanto che fra il 1876 e il 1877 fu segretario della numerosa Federazione Bolognese dell’Internazionale dei Lavoratori e nel 1877 fu tra i maggiori finanziatori (offrì all’amico i suoi risparmi fino all’ultimo centesimo) della fuga all’estero di Andrea Costa, costretto a lasciare il paese per sottrarsi all’arresto dopo il tentativo rivoluzionario di un gruppo di anarchici, in gran parte imolesi, condotto nelle montagne del Matese.
Come si evince da queste note, delle quali siamo grati a Rosita Boschetti, si tratta di una lettura tanto appassionante quanto avvincente, tale da permetterci di ripercorrere non solo le vicende personali del poeta, quasi sconosciute ma quantomai interessanti, ma anche le vicende politiche e sociali dell’internazionalismo romagnolo dell’epoca, ricomposte nel confronto costante fra le vicende personali di Pascoli e quelle, più in generale, dei suoi sodali e compagni di lotta. Ne esce così un ritratto biografico individuale e collettivo che ci riporta alle difficoltà, ai tormenti, alle passioni di quella generazione di rivoluzionari che avrebbe aperto la strada ai movimenti sociali di emancipazione degli anni a seguire. Una generazione di rivoluzionari che vide anche la presenza costante e appassionata del nostro “anarchico gentile”.