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Piccola premessa
Piccola premessa: ho avuto un nonno che ha fatto l’operaio per quarant’anni e ho avuto anche dei parenti che hanno lavorato ugualmente una vita in fabbrica. Altra piccola nota introduttiva: ho inviato due volte il mio curriculum alla Piaggio, ho scritto che ero disponibile a fare turni (quindi anche a fare l’operaio), ma non sono stato nemmeno convocato per un colloquio; quindi se qualcuno si sentirà offeso per queste mie poche righe, ebbene sorrida pensando che sono uno scarto della Piaggio. Io, per dirla alla Montale, il mio “bandolo alla matassa” non l’ho mai trovato. Altra piccola cosa da tener presente: in America dicono che un buon articolo fa sempre incazzare qualcuno e io cerco di scrivere buoni articoli.
La sinistra che non c’è, ovvero il grande vuoto
Fatte salve queste coselline, gli operai oggi votano a destra in gran parte. D’altronde la sinistra in questi anni li ha delusi. Bertinotti si è tenuto per sé i quadri milionari di Guttuso invece di regalarli ai compagni o di donarli a un museo. D’Alema è stato indagato per i suoi affari in Colombia e si è comprato una barca milionaria. La Schlein difende i diritti civili in modo sacrosanto, ma non parla mai dei diritti dei lavoratori. I partiti di sinistra si ricordano degli operai solo due settimane prima del voto. E gli operai si sentono traditi e votano a destra. Non è una rozza ipersemplificazione, ma è l’amara realtà! Ma la destra parla anche alla pancia degli operai in modo becero, fornendo il capro espiatorio degli immigrati, che “rubano lavoro”. La destra sa intercettare le paure degli operai, che, vivendo in quartieri popolari e non in zone residenziali, si sentono minacciati più di altri da quella che alcuni di loro ritengono una minaccia, quella degli immigrati. Non voglio però dire (non mi si fraintenda), come scriveva Sartre, che “il razzismo è lo snobismo dei poveri”, dato che la maggioranza degli operai non è razzista e nemmeno povera. Lo stipendio medio di un operaio generico parte da 1100 euro al mese e può arrivare anche a 1400 euro. Comunque i partiti di centrosinistra non riescono a contrastare efficacemente il populismo della destra e non si fanno autocritica, che sarebbe un buon punto di partenza.
Marx e la rivoluzione: ieri e oggi
Marx voleva fare la rivoluzione con la classe operaia. Insomma “proletari di tutto il mondo unitevi”. Ma quei tempi sono lontanissimi. La classe operaia, come la intendeva Marx, non esiste più. In un’ottica marxista il capitalista sfruttava il proletario e creava plusvalore per sé. I proletari per ribellarsi dovevano acquisire coscienza di classe. E oggi come possono fare ad acquisire coscienza di una cosa che non esiste più? Volgarmente qualcuno dice che gli operai si sono imborghesiti. Di certo non sono più rivoluzionari. Hanno accettato l’ottica liberale: l’imprenditore crea posti di lavoro, ha capacità gestionali e organizzative superiori a loro e devono ringraziarlo perché dà loro lavoro. Secondo il mio punto di vista invece l’imprenditore, piccolo o grande che sia, si fa solo i suoi interessi, sporchi o meno che siano. Un tempo Marx voleva fare la rivoluzione con i proletari, perché i disoccupati e i sottoproletari, che erano per lui “l’esercito di riserva”, erano di numero inferiore e versavano in condizioni di così grande indigenza che avevano altre priorità a cui pensare (ad esempio sopravvivere di espedienti) invece che fare la rivoluzione. Ma per Marx gli operai erano anche i più sfruttati. Oggi non è più così. Un operaio con il contratto a tempo indeterminato può sorridere dei disoccupati e dei giovani della generazione Z (mi riferisco a una nota inchiesta giornalistica sui giovani sfruttati, quelli con lo stipendio di 250 euro). Oggi ci sono rider, operatori di call center, collaboratori di testate giornalistiche online, camerieri, etc etc che se la passano molto peggio degli operai. Oggi l’operaio ha delle garanzie contrattuali, un mese di ferie, è tutelato dai sindacati, etc, etc. Certamente gli operai rischiano ancora oggi la vita. Ci sono le leggi. Ma ci sono imprenditori che fanno i “furbi” e gli ispettori del lavoro sono pochi. Ci sono sempre troppi morti sul lavoro e questi sono operai. Ma sono pochi gli operai che vogliono cambiare il sistema. Dove sono finiti i rivoluzionari o anche i contestatori? Quelli che scioperavano? Quelli che cercavano di far valere le loro ragioni? Quelli che studiavano la notte i testi marxisti ad esempio con Toni Negri? Sono morti. Oppure si godono la pensione e giustificano le ingiustizie del sistema, poiché hanno un figlio ingegnere, medico o dirigente. E gli operai di oggi? Provate oggi a distribuire volantini e riviste marxiste o anarchiche davanti ai cancelli delle fabbriche e vi rideranno in faccia o nel migliore dei casi vi diranno “no. Grazie” e non si cureranno di voi.
La selezione delle aziende
Certo la selezione è fondamentale. Le aziende assumono come operai giovani che vengono dalle scuole medie, dalle scuole professionali o da scuole tecniche, dove non si studia Marx o Bakunin o Stirner. I liceali e i laureati in materie umanistiche vengono scartati. Sarebbero dei signorini, degli astrusi, dei teorici, degli imbranati o peggio ancora dei futuri sindacalisti rompipalle! Insomma i datori di lavoro non vogliono problemi e scartano subito individui potenzialmente problematici. E poi giorno dopo giorno gli operai acquisiscono esperienza ma finiscono anche con l’acquisire e condividere la stessa mentalità dei datori di lavoro; finiscono così per accettare e condividere l’ottica del sistema. Gli operai inoltre oggi hanno identità sociali plurime. Un tempo gli operai vestivano tute blu a Pontedera. Oggi fare l’operaio è un modo come un altro per tirare a campare.
L’identità sociale sfaccettata e variegata, la rivolta senza armi…
L’identità sociale è varia e sfaccettata e non compresa unicamente con il lavoro svolto. Che poi diciamocelo francamente oggi non è più come ai tempi di Marx: gli operai sono molti di meno d’un tempo, perché non c’è più il taylorismo e il fordismo, ma l’automazione e la robotica. E allora i rivoluzionari con chi devono farla la rivoluzione (si spera pacifica, insomma la “rivolta senza armi” di Guccini)? Non ci sono punti di riferimento certi, né soggetti privilegiati. Una cosa è certa: per cambiare veramente il sistema il vecchio concetto di egemonia gramsciana è superato. Molto meglio e più attuali le reti orizzontali, informali senza leader né capi di nessuna sorta. La brigatista Lioce, che sarà pure un’assassina ma è molto intelligente, aveva capito che con gli italiani non c’è trippa per gatti, inebetiti come sono dalla televisione, rinchiusi nella loro bolla social e nella loro comfort zone. La Lioce si rivolgeva alle masse arabe sfruttate. Io ritengo invece che non bisogna partire dalle fabbriche o dagli immigrati. Chi vuole cambiare il sistema deve inviare il suo messaggio in bottiglia nel mare magnum di Internet, rispettando le leggi e con un minimo di assennatezza. La rivolta è possibile solo se parte da Internet. Questa cosa la Primavera araba ce l’ha insegnata. Oggi è Internet il non-luogo dove diffondere e promuovere idee, fare proselitismo, organizzarsi. Operai o meno, dando ognuno il nostro piccolo contributo per la causa, in modo pacifico e non violento naturalmente, senza creare altre ingiustizie.
La Rivoluzione è l’anima del Popolo, se non esistesse non esisterebbe il Popolo!