I sogni, le paure e la voglia di evasione dei ragazzi della “gioventù bruciata”

Kerouac e la Beat Generation

Parlare di Kerouac significa parlare di un revival estetico, di un nuovo stile di vita, di un modello alternativo agli standard della vita sedentaria, quasi un ritorno al nomadismo1. Però se si parla di Kerouac e della Beat Generation, non si può escludere dalla dissertazione la città di San Francisco e il ruolo che essa assunse in questo revival culturale2. San Francisco3 negli anni Sessanta e Settanta del Novecento divenne la nuova capitale letteraria d’America: dopo essere passata da Boston a Chicago e da Chicago a New York4. Quest’ultima che era stata bene ai Dadaisti e alle Avanguardie, era ormai troppo convenzionata, troppo immersa nella società reale e sottomessa ai dettami della finanza di Wall Street, per i nuovi fermenti culturali che avrebbero portato alla costituzione della Beat Generation5.  

San Francisco città felice

La presenza di molti illustri profughi e le nuove linee culturali resero San Francisco la città americana meno legata a tradizioni rigorosamente locali, mentre il resto degli Stati Uniti veniva fagocitato dal conformismo capitalistico, questa metropoli andò delineandosi come una specie di oasi di individualismo, dove la libertà personale è ancora possibile grazie forse alle tracce mediterranee e messicane di un laissez-faire e dolce far niente che si cercherebbero invano in qualsiasi altra città degli States. La città in breve tempo forgiò la sua reputazione, oltre che di centro culturale di prim’ordine, anche di città “felice”6. Proprio di questa “felicità proibita” i ragazzi della Beat Generation si nutrono, uno stato d’animo, quello della felicità non più raggiungibile nelle altre metropoli americane, schiacciate sempre più dai vincoli della società di massa. Si cerca allora di evadere, di scappare da tutto ciò.  

La voce che San Francisco fosse “la città più felice d’America” iniziò a circolare e gli artisti cominciarono ad affluirvi come allodole agli specchi7. Col trascorrere del tempo vi affluirono anche i vecchi dadaisti e gli avanguardisti Newyorkesi8.  

Kenneth Rexroth e John Clellon Holmes

I giovani artisti e scrittori non riuscivano più a tollerare la frenetica vita metropolitana, cercarono così di evadere da questa, tornando a ristabilire un legame con la natura e con sé stessi9. Illuminanti risultano le parole del poeta e critico letterario statunitense Kenneth Rexroth10: «La tutela delle intelligenze ha formato una spessa crosta di abitudini sulla vita culturale americana: peggio di uno strato di ghiaccio. Di recente l’acqua che vive sotto di esso è diventata così ribollente che lo strato di ghiaccio ha cominciato a fondersi, e spezzarsi, e a dirigersi verso l’oblio artico»11.

Le parole di Rexroth sono particolarmente significative poiché egli partecipò e visse in prima persona le dinamiche della temperie culturale che fece sbocciare la Beat Generation. Quelli di cui ci parla Rexroth prima e che John Clellon Holmes12 ha poi felicemente raccolto sotto al nome di Beat Generation, non sono professori o scrittori professionisti aggrappati a un impiego “sicuro” in case editrici di rilievo, com’era accaduto per la generazione precedente13, ma giovani disperatamente inquieti, che credono nella vita ma respingono i sistemi morali e sociali precostituiti e vogliono crearne di nuovi, più vicini ad un originario stato naturale dell’uomo14.  

Dopo che Holmes li ebbe etichettati, questi ragazzi irrequieti bevvero molto, fumarono molta marijuana e vagarono a spasso per l’America senza una meta certa. Da ciò ben si evince come certi comportamenti della Beat Generation si andarono standardizzando solo dopo che furono ufficialmente classificati dalla critica. Uno di quelli più idealizzati fu proprio il viaggio in autostop, il viaggio senza meta come un dolce vagare nel nulla, prendere e partire all’avventura, e naturalmente il romanzo che meglio racconta e racchiude in sé il mito del viaggio è quello di Kerouac15.  

La fuga dalla società capitalista

Per la critica è stato facile scambiare tutti questi ideali per una mera rivolta antiborghese o per un volgare edonismo e giudicarli come semplici epigoni di una generazione perduta, che vaga senza mete e senza frontiere, non sapendo ciò che realmente vuole. Ci sono stati flebili tentativi di accostare questi ragazzi a quelli della “Generazione di protesta”, che nel decennio seguito alla crisi americana del Ventinove raccolse e fece sue tutte le inquietudini sociali, assieme alle simpatie populiste degli avanguardisti letterari americani, esprimendo attraverso Richard Wright16 prima e Irving Shaw17 poi, la denuncia al conformismo sociale spietato e cannibale, del tempo18.

Ma questi ragazzi erano ben altro dei “rivoluzionari” della generazione precedenti, essi non riuscivano semplicemente ad accettare più tutti quei dettami dettati da un capitalismo sempre più stringente e soffocante. La loro è una fuga dalla civiltà, poiché essa ormai era divenuta lo specchio del capitalismo. La fuga era possibile solo in due modalità, o attraverso l’uso di allucinogeni, uscendo così dalla realtà concettuale, o mediante viaggi avventurosi come quello concepito da Kerouac in On the road. Quella di questi giovani è una fuga dal reale, in cerca del proprio io, di quell’autocoscienza impossibile da indagare in mezzo alla civiltà.  

Note

  1. L. Bartlett, The Beats. Essays in Criticism, McFarland, Jefferson, 1981, pp. 22-23.
  2. C. Gorlier, La beat generation: rivolta e innocenza, Viterbo, Stampa alternativa, 1996, pp. 9-11.
  3. G. Pedullà, Beat generation: generazioni a confronto, tesi di laurea, rel. Francesca Nacci, Stefanaconi, Accademia di belle arti Fidia, 2009/10. Si consiglia la lettura integrale del testo.
  4. G. G. Lemaire, Beat generation: une anthologie, Romainville, Al Dante, 2004, pp. 22-25.
  5. V. Amoruso, La letteratura beat americana, Bari, Laterza, 1969, p. 56.
  6. J. Kerouac, Sulla strada, cit., p. VII (introduzione).
  7. F. Minganti, Beat Generation, Cesena, Comune di Cesena, 1994, p. 34.
  8. K. Myrsiades, The beat generation: critical essays, New York, Peter Lang, 2002, pp. 232-256.
  9. E. Bevilacqua, Guida alla Beat Generation, Roma, Theoria, 1994, p. 72.
  10. Kenneth Rexroth fu uno dei primi poeti statunitensi ad esplorare le tradizioni poetiche giapponesi come l’haiku. È indicato come il promotore del rinascimento poetico di San Francisco ed è correlato alla Beat Generation, sebbene più tardi criticò questo movimento. Le poesie, i saggi e gli articoli di Rexroth riflettono i suoi interessi nei confronti del jazz, della politica, della cultura e dell’ecologia. La poetica di Rexroth è simile a quella di Du Fu, che tradusse, poiché esprimeva indignazione nei confronti delle ineguaglianze del mondo da un punto di vista esistenziale. Kenneth Charles Marion Rexroth era figlio di Charles Rexroth, un promotore farmaceutico, e di Delia Reed. Sua madre morì nel 1916 e suo padre nel 1918, per cui egli andò a vivere con la zia a Chicago dove studiò al Chicago Art Institute. Nel 1923 e nel 1924 fu incarcerato come comproprietario di un bordello. Sposò Andree Dutcher nel 1927, un’artista di Chicago, che morì per le complicanze dell’epilessia nel 1940. Rexroth ebbe due figlie, Mary e Katherine, dalla sua terza moglie, Marthe Larsen. Durante gli anni settanta, insieme al discepolo Ling Chung, tradusse l’opera della famosa poetessa della dinastia Song Li Qingzhao e una antologia di altre poetesse cinesi, con il titolo The Orchid Boat. Con la pubblicazione di The Love Poems of Marichiko, Rexroth dichiarò di aver tradotto la poesia di un poeta giapponese morto da tempo; si scoprì successivamente che ne fu invece egli l’autore ed acquisì riconoscimenti dalla critica per essere riuscito a tradurre le sensazioni autentiche di un’altra cultura e periodo storico. Kenneth Rexroth fu incluso nell’influente serie antologica Penguin Modern Poets della Penguin Books, che gli permise di ampliare la sua reputazione al di fuori degli Stati Uniti d’America. Su Kenneth Rexroth si veda: J. Hartzell and R. Zumwinkle, Kenneth Rexroth: a checklist of his published writings, Los Angeles, Friends of the UCLA library, University of California, 1967.
  11. K. Rexroth, The alternative society: essays from the other world, New York, Herder and Herder, 1970, p. 98.
  12. Docente universitario all’Università dell’Arkansas e alla Yale, il suo scritto “Go”, del 1952, è considerato il primo in assoluto del genere beat. Fondamentali per la sua formazione letteraria fu l’amicizia con Jack Kerouac, Neal Cassady, e Allen Ginsberg. Fu Jack Kerouac a coniare il termine Beat Generation quando, rivolgendosi all’amico, esclamò: “You know, this is really a beat generation” (lo sai, questa è davvero una beat generation). L’espressione venne ripresa, poi, da Holmes in un suo articolo, dal titolo Questa è la Beat Generation, pubblicato il 16 novembre del 1952 sul New York Times Magazine (a pag. 10). Nell’articolo egli attribuiva la paternità del termine beat a Kerouac, il quale, a sua volta, la attribuì a Herbert Huncke. Tra gli scritti principali di Holmes vi sono: Go (1952); The Horn (1958); Get Home Free (1964); Nothing More to Declare (1967); The Bowling Green Poems (1977); Death Drag: Selected Poems 1948-1979 (1979); Visitor: Jack Kerouac in Old Saybrook (1981); Gone in October: Last Reflections on Jack Kerouac (1985); Displaced Person: The Travel Essays (1987); Representative Men: The Biographical Essays (1988); Passionate Opinions: The Cultural Essays (1988); Dire Coasts: Poems (1988); Night Music: Selected Poems (1989).
  13. Qui si fa riferimento alle Avanguardie che si sono sviluppate nelle accademie.
  14. B. Cartosio, Anni inquieti, Roma, Editori Riuniti, 1992, pp. 7-13.
  15. M. Bulgheroni, Il nuovo romanzo americano 1945-1959, Milano, Schwarz, 1960. Si consiglia lettura integrale dell’opera.
  16. Richard Wright (Natchez, 4 settembre 1908 – Parigi, 28 novembre 1960) è stato uno scrittore statunitense. È autore di romanzi di grande forza, talvolta discussi, nonché di racconti e saggi. Gran parte dei suoi testi riguardano temi razziali. La sua opera ha contribuito a ridefinire le discussioni sulle relazioni razziali in America alla metà del XX secolo.
  17. Shaw prese parte alla seconda guerra mondiale e nelle opere teatrali, fra cui la sua prima commedia Seppellire i morti (Bury the Dead, 1936) e nei romanzi, fra cui I giovani leoni (The Young Lions) l’autore condannò la guerra e la società borghese americana con toni efficaci e vigorosi, benché non privi di una certa retorica. Nel 1948 vinse il premio O. Henry per il racconto Walking Wounded che era stato pubblicato su The New Yorker. Con il successo, il suo talento di costruttore di trame ingegnose divenne sempre più evidente, come dimostra Povero ricco, popolare anche nella versione tv, seguito poi da Mendicante ladro, entrambi basati sull’american dream. Nel 1963 produsse anche un film, Amore alla francese (In the French Style) di Robert Parrish.
  18. G. Fink, Storia della letteratura americana, Milano, Sansoni, 2005, pp. 543-590.

Se hai apprezzato questo articolo

Iscriviti

Adesso

Iscriviti alla nostra Newsletter per ricevere un aggiornamento mensile sugli ultimi articoli e approfondimenti.

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Laureato in Lettere classiche presso l’Università degli studi di Urbino e con Laurea magistrale in Scienze Storiche presso l’Università di Macerata, ha conseguito una Summer school in metrica e ritmica greca presso la Scuola di metrica dell’Università di Urbino (2016).
Nell’ottobre 2022 consegue il Master di primo livello in “Operatore delle biblioteche”. Nel 2022 entra a far parte del Centro studi sallustiani, dell’Unipop di Fermo, del comitato scientifico della
rivista di filologia greca e latina Scholia (didattica), in qualità di vicedirettore e in qualità di socio-amico dell’Aib. Insegna materie letterarie presso l’Istituto di Formazione Professionale Artigianelli di Fermo.
Appassionato di storia greca e romana, e di poesia, ha pubblicato numerose monografie sugli storici latini e alcune sillogi poetiche: La tradizione delle opere sallustiane dai manoscritti agli incunaboli della Biblioteca civica di Fermo, AndreaLivi Editore, 2020; Tito Livio. La fortuna del più grande storico romano, Primicieri Editore, 2021; APPIANO ALESSANDRINO. Dall’età classica all’età contemporanea, Primiceri Editore, 2021; Rufo Festo Avieno, la fortuna di uno storico minore, Arbor Sapientiae editore, 2021; La fortuna di uno storico minore: Lucio Anneo Floro, i manoscritti e gli incunaboli della Biblioteca Civica Romolo Spezioli, Amarganta, 2021; Svetonio. Dall’età
classica all’età moderna. Gli esemplari della Biblioteca civica Romolo Spezioli di Fermo, Primiceri, 2022; Frammenti poetici,BookSprint, 2021; Renzi Riccardo, ἀλήθεια, Sonnino, Edizioni La Gru, 2022; Studi e riflessioni sull’evoluzione del ceto nobiliare: tra la fine del medioevo e la prima età moderna, Primiceri, 2022.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Articolo precedente

Due mie parole sul caso di Alfredo Cospito…

Prossimo articolo

C’era una rivolta vol.1 e vol. 2

Ultimi articoli di Arte e Cultura

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi