’Il corpo accusa il colpo’ di Bessel Van Der Kolk. Piste di lettura di un saggio eclettico

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Il corpo accusa il colpo

Un soldato italiano della Grande Guerra eleva un canto al chiaro di luna. È esposto volutamente al nemico, sopra la trincea. Guardiamo questa scena e sappiamo istintivamente che, se il soldato non sarà abbattuto, è per una ragione soltanto: la sua voce raccoglie la nostalgia di tutti.

Questa scena, tratta da ‘Torneranno i prati’ di Ermanno Olmi (2014), mi è riecheggiata nella mente durante la lettura de ‘Il corpo accusa il colpo’ dell’Olandese Bessel Van Der Kolk (2015), professore di psichiatria alla Boston University School of Medicine nonché fondatore del Trauma Center di Brooklin, in Massachussets.

L’autore, personalità pioniera nella ricerca e nel trattamento del trauma, ha scritto un testo che, lungi dal settarismo, affronta il tema del ‘trauma’ attraverso un procedere espositivo che lo avvicina a uno studio etnografico. Il testo dimostra, attraverso una ricca serie di argomentazioni, come il trauma possieda una propria specificità anatomica, rilevabile strumentalmente grazie alle tecniche mutuate dalle neuroscienze.

Ovvero, ‘il corpo accusa il colpo’: per ragioni adattative rispetto alla natura del trauma, il sistema nervoso, immunitario e cardio-circolatorio si modificano in maniera strutturale. A partire da questa evidenza, l’autore illustra come il riconoscimento dello stress post-traumatico (PTSD: post-traumatic stress disorder), quale disturbo psichiatrico specifico, sia stata una conquista non solo scientifica ma anche politica e culturale all’interno della comunità medica e psicoterapica, a partire dagli anni Settanta.

Infatti, le prove degli effetti sul corpo delle esperienze traumatiche hanno condotto a considerare che l’approccio al PTSD necessiti di una prospettiva multidisciplinare. Questa dovrebbe auspicabilmente contemplare non solo i metodi di cura più classicamente noti (e in uso) quali la farmacologia e la psicoterapia della parola, ma anche prospettive altre votate all’introspezione meditativa, alla relazionalità e al contatto, nonché alla stimolazione psico-motoria quale quelle legate al ritmo, al coordinamento e alla sincronia, alla danza e, infine, al teatro.

Il testo contiene una ricchezza di esempi, esperienze cliniche e dati che non sono qui sintetizzabili né, d’altra parte, la pista che si vuole battere per renderne merito risiede in una sintesi diligente. Piuttosto, preme valorizzare due aspetti salienti del libro: la visione politica dell’approccio alla salute e la rilevanza dell’antropologia sociale e dell’arte nella cura del ‘male di vivere’.

Per quanto riguarda gli aspetti politici della gestione della salute mentale, questi si offrono su diversi piani di lettura. Una prima generica visione punta l’attenzione su temi più propriamente di policy. Trovano spazio, a questo livello del discorso, questioni quali la formazione degli operatori della salute e dell’infanzia al riconoscimento del ‘trauma’, la necessità di investimento della ricerca psichiatrica in filoni di ricerca transdisciplinari, i costi occulti di un trattamento aspecifico dei soggetti traumatizzati.

Vi è tuttavia, a modesto parere della scrivente, una seconda lettura del testo, che potremmo definire di sociologia politica. Qui, per il tramite di un excursus documentato a partire dalla seconda metà del XIX secolo, Van Der Kolk percorre la questione del PTSD quale ‘storia di una diagnosi’. L’autore illustra come la possibilità psichiatrica di cura del trauma sia stata suscettibile di incerti andamenti anche in virtù di vicende politiche.

È noto, ad esempio, come la questione degli ‘shell shocked’,1 all’interno della scienza medica, abbia vissuto un riconoscimento intermittente in virtù del discredito che questa inevitabilmente gettava sull’evento bellico, ritenuto altresì, all’insegna dei regimi nazi-fascisti e di nazionalismo reazionario, un atto ideologicamente necessario. Il percorso di acquisizione della categoria del PTSD quale categoria medico-scientifica, pertanto, non deve qualcosa solo alle intuizioni di alcuni ricercatori e allo sviluppo tecnologico nel campo delle neuroscienze e del brain-imaging, ma anche ad un percorso storico che ha visto la cultura medica evolversi nell’acquisizione che, se è vero che la salute pubblica è un fatto di cui si devono occupare i politici, è vero anche l’inverso, ovvero che le scelte dei politici influenzano la salute della popolazione.

Questa lettura culturalista di un fatto di scienza integra la riflessione di Van Der Kolk nella dimensione della ‘sociologia della salute’, ovvero quella branca delle scienze sociali che si propone di contestualizzare gli eventi patologici e le loro caratteristiche emergenti entro un ambito problematico, che si estende al di là delle sole componenti bio-organiche.2

Con questo, ‘Il corpo accusa il colpo’ offre una riflessione interessantissima sul concetto di ‘devianza’ e sul rapporto tra soggetto ‘deviato’ e contesto, potenzialmente applicabile ad ogni categoria diagnostica del comparto psichiatrico (e non).

Ancora, da questo testo poliedrico si potrebbe forse percorrere un terzo livello di lettura politica. Emerge, infatti, come, al fronte di una maggioritaria acquisizione scientifica circa un sinolo tra salute mentale e fisica, le prassi ancora più diffuse in campo psichiatrico restino ancorate a un approccio farmacologico, cognitivista e ‘della parola’. Qui il ‘fatto politico’ è da leggersi, più in profondità, come fatto di ‘filosofia politica’, e ci interroga sulla concezione del corpo nell’era dell’uomo razionale. Infatti, come ampiamente illustrato nel testo, società medica ed extra-medica faticano parimenti nel concepire un’unicità indissolubile tra salute della mente e del corpo.

La società contemporanea affonda le proprie radici culturali nel pensiero dicotomico e la questione della diagnosi del PTSD è solo un esempio di un approccio ideologico molto più ampio che ci vede faticare nel maneggiare categorie ‘di mezzo’ tra i termini di corpo-mente, uomo-donna, uomo-ambiente, uomo-altre specie, ecc. E’ tuttavia vero che, se questa è l’epoca della ‘fluidità’, è in questi anni che si innesta un dibattito vivo circa l’acquisizione di altre possibilità (es. la diffusione dello schwa, la riflessione sociale e politica sulla ‘famiglia queer’, la crescente adesione popolare alle cosiddette ‘discipline olistiche’, ecc.), ed è, forse, anche per questo, che il testo di Van Der Kolk ha ricevuto un’ottima risposta di pubblico.

Il valore politico de ‘Il corpo accusa il colpo’ non si esaurisce con le proposte di lettura sopra esposte, ma prosegue, forse in maniera ancora più interessante, quando affronta i sistemi di cura del PTSD che, in epoca relativamente recente e allontanandosi dalle prassi più tipicamente ‘ortodosse’, hanno dimostrato efficacia terapeutica. Qui, infatti, oltre a metodi più prettamente sperimentali e di natura tecnica (es. neurofeedback), emerge come la ricerca sul trauma ‘nel corpo’ valorizzi metodi di guarigione mutuati dall’antropologia sociale e dall’arte.

Si tratta di pratiche che richiedono, da un lato, introspezione e meditazione e, dall’altro, relazione e contatto. È su questo ultimo binomio che ci vorremmo qui soffermare. L’autore riflette, attraverso una ricca serie di esempi, l’importanza del rituale e del rituale collettivo veicolato dall’arte nella moderazione degli effetti individuali del trauma.

Cosa hanno in comune Shakespeare, la tragedia greca, le narrazioni dei veterani del Vietnam, i dipinti di Otto Dix e l’‘Ubuntu’ sub-sahariano3? Van der Kolk ci dice che è attraverso la ri-vivificazione degli eventi drammatici, ma in una cornice di controllo (recitazione/interpretazione, imposizione di un ritmo) che le tragedie individuali possono essere ‘ri-scritte’ e riconosciute come tragedie di tutti. È dunque nella solidarietà e nella ‘collettivizzazione’ della cura che i singoli sono dotati di chiavi interpretative di fuoriuscita dal trauma.

Non a caso, progetti quali il teatro sociale, la danza, la musica, il canto corale e la poesia rappresentano una costante antropologica: si tratta di espedienti di cura dei traumi individuali che, in qualche modo, sottendono sempre fratture e disadattamenti di natura sociale. Questi sono, in altri termini, strumenti di catarsi e, come tali, possiedono un potere taumaturgico. Attraverso il testo di Van Der Kolk, i rituali collettivi sono strappati da un ambito meramente folklorico, etnografico o, al limite, culturalista, e reinseriti in un discorso inerente al benessere e alla salute mentale.

Dagli shell shocked ai profughi ambientali, dalla violenza domestica ai migranti per mare: il trauma di ognuno riguarda tutti e, ce lo dimostra magistralmente questo libro, non solo per ragioni politiche, ma anche antropologiche. Se è vero, infatti, che esiste un’anatomia del trauma, è vero di converso che esiste un’anatomia della sopravvivenza che è propria della nostra specie. Ed è per questo che, di fronte alla scena della toccante opera di Ermanno Olmi, il pubblico sa che il soldato italiano non sarà abbattuto. Così come l’opera artistica del regista muove la solidarietà del pubblico, così il canto del soldato italiano è il canto di tutti i soldati.

Note

1 Letteralmente ‘traumatizzati dalla granata’. Il termine indica la popolazione militare che, di ritorno dai conflitti, non riesce a re-integrarsi nella vita civile e soffre di vari e profondi disturbi psichici.

2 Giarelli, Vignera 2004.

3 Concetto filosofico per il quale l’individuo è incitato alla ‘benevolenza verso il prossimo’, poiché ‘io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo’.

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Isabella Capurso, autrice milanese, dopo la laurea in Geografia umana consegue un dottorato in Sociologia urbana. Durante gli studi, si trasferisce a Parigi dove termina la tesi e lavora come ricercatrice al tema del rapporto tra società e natura. Lavora in seguito nell’ambito di progetti inerenti a temi ambientali e sociali in alcune aree urbane dell’Europa, dell’Africa francofona e del Sud Africa. L’autrice pubblica articoli accademici e di divulgazione scientifica dal 2012 ed è, ad oggi, impegnata come consulente nel settore della sostenibilità.
Parallelamente alle attività professionali, l’autrice ha coltivato l’amore per la scrittura e le arti grafiche. Nel 2017 acquista a Milano uno spazio, Le Poisson Lumière, che adibisce a laboratorio creativo. Qui organizza e ospita esposizioni, eventi culturali e presentazioni di libri, all’insegna della condivisione senza scopo di lucro.
Ha pubblicato nel 2021 la raccolta di poesie ‘Il pesce lanterna’ per Gattomerlino Edizioni, recensito sulla rivista letteraria ‘L’Estroverso’, e nel 2022 la raccolta di racconti ‘Corale’ per LFA Publisher, presente al Salone Internazionale del Libro di Torino (2022). Pubblica ‘Sacro e urbano’ nel settembre 2022. Il libro vince il premio nazionale cine-letterario Bookciak, Azione!, nella sezione Poesia, ed è classificato tra i dieci libri più venduti dalla piccola e media editoria, nello stesso anno.
Nel 2023, esordisce come autrice di teatro con la drammaturgia ‘Il cuore’, in scena al Politeatro di Milano.
Alcuni disegni dell’autrice sono editi come copertine di libri.
Dal 2020 vive tra Milano e una piccola comunità rurale in Calabria.
Dal 2023, scrive stabilmente su ‘Assonanze’, rivista di critica cine-letteraria di Garavaglia e Moscati.

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