“E’ vero che beviamo il sangue dei nostri padri
E odiamo tutte le nostre donne e tutti i nostri amici.
Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro,
Far l’amore e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici in piazza Maggiore
A ubriacarsi di luna,
Di vendetta e di guerra.”
(Claudio Lolli)
Non lamentarti perché c’è chi sta peggio. Così gli hanno detto. Questa è l’antifona. Ma un lavoro non ce l’ha. Da tanto tempo ormai. Non percepisce un reddito di cittadinanza perché due soldi in casa sua ci sono. I concittadini sopravvalutano il suo benessere. In realtà sono disoccupati sia lui che sua sorella e le spese sono tante. In realtà nessuno darà lavoro a lui, ormai cinquantenne, e nemmeno a sua sorella, che è nelle categorie protette e che non ha mai lavorato. Suo padre dice orgogliosamente che quando chiuderà gli occhi lascerà bene i suoi figli. In realtà certe parole sono dettate da un grande orgoglio e da certa faciloneria. In realtà i figli non avranno mai neanche una pensione. Dovranno vivere di piccole rendite, che tutte assieme fanno un solo stipendio in due, tolte tasse e spese annesse e connesse. Ma bisogna vedere se pagheranno loro in futuro gli affitti. Se i beni immobili rimarranno sfitti lui, il figlio, dovrà venderli, ovvero svenderli e ci ricaverà ben poco, realizzerà poco in termini economici. Poi ci sono tutte le spese di ristrutturazione dei beni immobili, che toglieranno buona parte dei soldi in banca. Non tutto è detraibile. Non sempre vale il superbonus. Può darsi che al danno si aggiunga la beffa e che lui sarà costretto a svendere per pochi soldi i beni immobili, dopo aver speso molto a ristrutturarli. Fino a quando ci sono i genitori vivi va tutto bene con due pensioni, ma dopo? Lui vorrebbe trasferirsi, ma non può. Sua sorella non vorrebbe andare all’estero perché non sa le lingue, neanche l’inglese. L’inglese di lui è molto arrugginito ma, una volta trasferito, si adatterebbe. Lui dovrà stare dietro a sua sorella perché lei non sa fare i conti, soffre di acalculia. Sua sorella non vorrebbe trasferirsi in una grande città del Nord Italia, dove c’è più lavoro, perché non saprebbe prendere autobus, taxi, metropolitana, tram e poi non ha senso dell’orientamento. Sua sorella lo odia e da piccola disegnava il fratello impiccato. Suo padre e sua madre gli hanno creato un habitat confortevole, un ambiente comodo, una comfort zone. Lui vive nel sottotetto. È lì che ha i suoi libri. Molti volumi glieli hanno fatti buttare via nel trasloco perché gli hanno detto che li hai già letti, sono libri umanistici e non servono a niente, mentre hanno serbato tutti i libri di cucina, alcune centinaia. Per quasi tutta la giornata lui sta nella sua stanza a leggere, navigare online con il suo tablet ( perché non ha pc), a pensare. Il resto della sua famiglia invece guarda quasi sempre la televisione. Lui scrive le sue stronzate che non sa nemmeno chi le leggerà e che cosa ne penseranno. Nella sua bolla social nessuno lo considera. Se chiede amicizia su Facebook a delle donne la maggioranza di esse non gli danno nemmeno l’amicizia. Raramente ha qualche interazione virtuale, ma la verità è che è solo nella vita reale e nei social. Non ha un bell’aspetto, non è piacente e questo vuol dire molto. Non ha un ruolo. Non ha un posto nel mondo e nessuno lo considera. Gli amici e le amiche d’un tempo sono integrati socialmente, hanno tutti famiglia, hanno la loro vita e lui è da anni e anni che non li vede più, ormai li ha persi definitivamente perché sono troppo cambiati. Se cerca di fare due chiacchiere con sua sorella lei gli dice che è più importante la televisione delle persone e che non deve disturbarla. Poi abbastanza spesso suo padre tratta male verbalmente sua madre per questioni di cucina e di casa. Apparentemente democratico con tutti fuori di casa il padre in casa afferma: “qui il capoccia sono io e si fa come dico io”. In realtà va tutto bene ora, visto che i genitori sono vivi, non soffrono di demenza senile, non sono allettati. Lui non può neanche lamentarsi perché molti gli direbbero non ti manca niente, non ci puoi campare. In realtà gli danno cose di cui non ha bisogno e vive senza cose di cui avrebbe bisogno o quasi. È insoddisfatto a livello lavorativo, economico, sociale (visto che ha un solo amico che vede una volta ogni uno o due mesi), sessuale (visto che non ha una donna da anni ed anni, visto che non fa sesso con una donna da anni). Non può ospitare una donna a casa. Non ha i soldi per prendere una camera in albergo. Non ha la macchina perché ha problemi di accomodazione agli occhi, soprattutto di notte, e sarebbe un pericolo pubblico. Avrebbe voglia ogni tanto di rompere la solitudine anche pagando una donna, ma non ha soldi e poi ha delle remore morali. Gli danno solo un euro e 20 centesimi al giorno, gli spiccioli giusti per prendere un cappuccino ogni mattina. Gli resta come unica fonte di socialità quel piccolo momento di convivialità al bar. Sua madre cronometra anche quanto tempo gli ci vuole per ritornare dal bar. Se ci mette dieci minuti di più gli fa domande e deve trovare delle scuse. Sua madre è più gelosa di suo figlio che di suo marito, che ha più libertà. Lui, il figlio, non può neanche viaggiare. Per andare una volta a Firenze da solo dovrebbe insistere e fare opera di convincimento così intensa e duratura che preferisce rinunciare in partenza. L’ambiente familiare è iperprotettivo e castrante. D’altronde chi non lavora non fa l’amore. Non può neanche andare a ballare, uscire da solo la sera, fare le ore piccole. Per i suoi genitori lui è assessuato e se osasse dire qualcosa direbbero che lui si è divertito abbastanza in gioventù, ovvero venticinque, trent’anni fa. Oppure gli rinfaccerebbero il fatto che molti anni fa non trovandosi affatto bene sul lavoro ogni tanto alzava il gomito, pur non essendo mai stato un alcolizzato. Una volta aveva alzato il gomito, era ubriaco e suo padre l’aveva aggredito una volta arrivato a casa, l’aveva buttato per terra, voleva aprire l’armadietto del fucile e sparargli. Lui, il figlio, aveva inveito contro, gliene aveva dette di tutte i colori e i vicini avevano sentito tutto, ma non sapevano che il padre perbene e comprensivo voleva a tutti i costi prendere il fucile e sparare. Lui, il figlio, non può lamentarsi minimamente perché i suoi hanno un’ottima reputazione immacolata. È lui, il figlio, che ha molto che non va, che è disturbato mentalmente e psichicamente oltre a essere un incapace che non ha un lavoro. I parenti, maligni, vengono a fare visita una volta a settimana. Sono animati da un senso di rivalsa. I figli dei parenti sono tutti sistemati lavorativamente. Così i parenti anziani vengono a fare battutine. I figli dei parenti hanno fatto a loro volta figli. Lui invece no. Così fanno battute. Lui è il fallito, ma anche il privilegiato perché non è stato buono a trovare uno straccio di lavoro, ma è mantenuto. I parenti hanno la classica mentalità comune del paesino con arcaismi della mentalità contadina di un tempo, come quella di pensare che chi non fa figli e non si sposa non è un vero uomo, che è una mezza sega. I suoi parenti bigotti e cattocomunisti avranno sempre la meglio. A lui fanno schifo, ma è costretto a sopportarli. Suo padre fa finta di niente. Lui, il figlio, non può rispondere a tono ai parenti perché suo padre si arrabbierebbe moltissimo. È lui, il figlio, che deve curarsi perché tutta la cittadina non può essere pazza, maligna, ignorante. Un capro espiatorio ci vuole. È lui, il figlio, che un tempo era di destra e lo scansavano come avesse la peste bubbonica. Ora è su posizioni in parte anarchiche, in parte liberali ed è apartitico, mentre tutti o quasi nella sua cittadina corrono in soccorso al vincitore, vedono che è cambiato il vento e si arruffianano a più non posso con la destra, cosa che lui non ha mai fatto. Ma il mondo non può essere cambiato, i suoi familiari e i rapporti con i suoi familiari restano inalterati. Forse sarebbe un poco meglio una terapia familiare. La cosa migliore sarebbe dare un minimo più di libertà a lui, il figlio. In realtà niente cambia e se lui dà qualche segno di squilibrio mentale o di cedimento allora come unico rimedio verrà chiamato uno psichiatra per niente empatico, che naturalmente suo padre ha scelto, che lui non può cambiare e che gli darà altri psicofarmaci. Così raggiungerà un certo equilibrio psicologico che lo farà desistere dal suicidio e lo farà tirare avanti. L’equilibrio sarà indotto e artificiale, ma sarà pur sempre un equilibrio. Quando morirà nessuno si ricorderà di lui. Ed è assolutamente bene così.
A questo uomo direi che la sua vita, come la vita di ogni persona umana, è preziosa e che è un figlio amato.