Per chi volesse avere un assaggio di queste belle poesie:
Gabriella Maleti (1942-2016) è nata in provincia di Modena, ha vissuto per diversi anni a Milano per poi trasferirsi a Firenze. È stata redattrice delle riviste “Salvo imprevisti” e “L’area di Broca”. È stata la fondatrice insieme alla poetessa Mariella Bettarini delle Edizioni Gazebo. Con la Bettarini ha vissuto un grande sodalizio umano e artistico e con lei condivide a mio modesto avviso una pronuncia schietta delle cose, uno sguardo sul mondo attento e partecipe. Questo libro di poesie, alcune delle quali inedite (del 2014), della Maleti si distingue per una nominazione precisa, nitida, senza difetti, né eccessi. La sintassi non è mai involuta. Non c’è niente di barocco e neanche niente di ornamentale e decorativo, insomma niente di liberty, per intenderci. La Maleti conosce la giusta misura. Lo stile è autentico senza manierismi, soprattutto non è pascoliano, crepuscolare, montaliano. Il suo linguaggio è sempre appropriato, privo di arcaismi, termini desueti, parole astruse e preziosismi (per quanto una piccola quota parte di idioletto esista anche nei poeti più comprensibili), eppure si caratterizza anche per la sua ricchezza espressiva, mai ostentata, mai superflua. Si nota subito che la ricerca poetica è fatta senza ricercare l’originalità a tutti i costi, senza cadere negli stilemi della Neoavanguardia, né del Neosperimentalismo. Questa raccolta di poesie è frutto di un lavoro paziente e certosino e al contempo di una creatività veramente ispirata, sempre rinnovata negli anni per registri linguistici, modalità espressive e tematiche. In fondo basta pensare alla fecondità, alla versatilità, all’eclettismo della Maleti, che è stata fotografa, scrittrice, poetessa, etc etc. Questo è un libro in cui i moti dell’animo si accordano soprattutto alle voci della campagna. Ma non ci sono le descrizioni noiose dello studioso di botanica. È invece un’opera nata dalla meditazione, dall’ascoltare sé stessa nella natura e da ascoltare in sé stessa la natura. È tutto uno “studiare la vita” fin nel dettaglio in una continua identificazione nella natura e in una proiezione di sé sulla natura. Realismo e fantasia vengono coniugati felicemente. La poetessa ha trovato una strada intermedia tra il Neruda dell’Isla Negra e il Tagore di Gitanjali, tra la natura interiorizzata e fusa con un io titanico del poeta cileno e l’interiorità che diventa spiritualità del poeta indiano. Nella Maleti astratto e denotativo si fondono armoniosamente. Questi versi scaturiscono sia da un’analisi fenomenica che da un’analisi fenomenologica. Sono corrispondenze venute fuori all’ascolto del mondo ma anche da uno scavo interiore, che non diventa mai ripiegamento eccessivo. La poetessa sapeva stare in mezzo agli altri, ma si sapeva anche ritagliare momenti di solitudine da cui originavano preziose epifanie. E in queste ore non ascoltava solo l’io o solo il mondo, ma entrambi, cogliendo le risonanze interiori e l’interazione tra sé stessa e la campagna, perché, come ci insegna Berkeley, l’essere è essere percepito. La poetessa era tutt’uno con la natura ed era tesa a recuperare quell’animismo, tanto decantato da Monod ne “Il caso e la necessità “. E da tutto ciò risultano conseguentemente interrogativi esistenziali molto profondi e sentenze di alto spessore gnomico. E in questo suo “studiare la vita” intuiva sempre che la significazione totale era un asintoto irraggiungibile, ma ogni volta che cercava la natura trovava sé stessa e viceversa in un gioco di rimandi e rinvii. Ciò mi ricorda quel che disse lo psichiatra Crepet in una sua conferenza, ovvero che la creatività è come una partita di ping pong: dal niente non nasce niente, ci vuole sempre qualcuno o qualcosa che ribatta e in questo continuo rimandare aggiunga qualcosa, magari dando più forza e più effetto. La poetessa era come se giocasse a ping pong con la natura, con il mondo circostante, sapendo cogliere tante sfaccettature del suo animo e del reale. In queste belle poesie c’è un’idea di poesia basata sulla coerenza, sulla dignità umana, sull’amore per la natura, sulla gioia data dalle piccole cose, insomma c’è la vita vera più che il male di vivere. La Maleti è agostiniana e panteistica al contempo, perché trova Dio nell’animo e nella natura. Così anche la vita ordinaria diviene straordinaria. Anche i traumi originari vengono tramutati in una sorta di straniamento interiore, laddove molti a tavolino ricercano frasi a effetto o artificiosi rovesciamenti di prospettiva per stupire il lettore; qui lo straniamento è solo interiore e quasi mai stilistico. Ritengo personalmente che questa raccolta di poesia non sia assolutamente effimera, che qualcosa (io spero molto) resterà per la qualità, per gli intenti, per una poesia intesa come dovere di testimonianza. Non va dimenticato che l’introduzione è della stessa Mariella Bettarini e la postfazione è tratta dalla tesi di laurea in filologia moderna di Marta Moretti. Insomma un volume che io consiglio vivamente di leggere.