“A vacanza conclusa”:
A vacanza conclusa dal treno vedere
chi ancora sulla spiaggia gioca si bagna
la loro vacanza non è ancora finita:
sarà così sarà così lasciare la vita?
PS.: Siamo poeti
vogliateci bene da vivi di più
da morti di meno
che tanto non lo sapremo.
(Vivian Lamarque)
Il famoso sito My poetic side ha pubblicato la mappa dei premi Nobel per la letteratura. Se è del tutto legittimo a conti fatti che i francesi lo abbiano vinto ben 16 volte, salta subito all’occhio che gli americani lo abbiano vinto 11 volte (a volte la letteratura americana non è così eccelsa) e gli svedesi 8 volte (guarda caso giocano in casa, scusate il bisticcio di parole). L’Italia ha vinto solo 6 volte il Nobel per la letteratura, l’ultima volta con Dario Fo nel 1997. È manifesto e palese che l’assegnazione del Nobel risenta del peso politico di una nazione e della diffusione planetaria della lingua in cui scrive il premiato, insomma della sua cultura di appartenenza. Di certo i giurati di Stoccolma sono stati ingiusti con il Giappone e la Cina, due soli premi Nobel a testa, e con le donne, solo 14 premi vinti dal gentil sesso. In questi ultimi anni è stato pregevole che alcuni vincitori non fossero conosciuti al grande pubblico e/o fossero del cosiddetto Terzo Mondo oppure che fossero contro una dittatura: le motivazioni che sono alla base di queste scelte sono profondamente umane e validissime; resta però il fatto che sono anch’esse di origine politica e qualche volta non premiano la qualità. Qualcuno comunque potrebbe obiettare che anche premiare esclusivamente la qualità sarebbe un gesto prettamente politico. Insomma a ogni modo finiamo nel cul de sac per cui tutto è politica. Sorge spontanea però una domanda: chi si merita veramente il Nobel? E se fosse più giusto attribuirlo esclusivamente alla carriera letteraria, indipendentemente da tutti gli altri fattori? Questo a onor del vero non può essere, visto che c’è una regola ferrea: il Nobel per la letteratura deve essere dato a chi “si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale”. Ma poi il Nobel per la letteratura è veramente importante? Dopo gli scandali recenti qualcuno sostiene che è un premio “sputtanato”. Il rettore dell’università, dove insegnava Roberto Vecchioni, dichiarò che era più felice della vittoria di Sanremo che di un’eventuale vittoria del Nobel, a cui il cantautore e scrittore era stato candidato per anni, e questo era il segno inequivocabile che a livello mediatico un festival di canzoni avesse un impatto maggiore, fornisse maggiore pubblicità e una ricaduta più positiva a un’università. È legittimo chiedersi, vista e considerata la grande qualità della poesia e della letteratura italiana, quanto sarebbero famosi molti autori nostrani se fossero americani, se l’Italia contasse politicamente ed economicamente come l’America o se l’italiano fosse parlato e scritto nel mondo come l’inglese. È vero che la nostra letteratura talvolta può apparire provinciale, un poco noiosa, colma di intellettualismi, leziosismi, virtuosismi. È vero che i letterati nostrani in alcuni casi complicano ulteriormente aspetti del reale e problematiche già di per sé molto complesse, risultando un poco arzigogolati e barocchi, ma ricordiamoci anche la genialità barocca di Manganelli, la visionarietà di Morselli, la sfida al labirinto di Calvino, la matassa da sbrogliare di Montale, lo gnommero di Gadda, “Verifica dei poteri” di Fortini, le poesie di Zanzotto e Amelia Rosselli (anche se sono di una noia mortale alcuni autori che per darsi un tono diventano loro manieristi e li scimmiottano, ma non confondiamo gli originali con le loro copie sbiadite e le loro parodie). Senza ombra di dubbio alcuni letterati italiani, cercando di evitare il banale, lo scontato, l’ovvio, talvolta finiscono per complicare anche le cose semplici, allontanandosi sempre più dalle persone e assumendo pose “aristocratiche”, come se la ricerca dell’essenziale e della linearità fossero peccati mortali e difetti a prescindere. Insomma sarebbe la volta di dire per sempre basta col birignao! Inoltre scriviamolo a chiare lettere: COME BISOGNA SAPER SCRIVERE SEMPLICE, BISOGNA ANCHE SAPER SCRIVERE DIFFICILE, perché un conto è saper restituire sulla pagina la complessità del mondo e un altro è essere astrusi, gigioni, inconcludenti; un conto è scrivere opere pregevoli e un altro è scrivere delle inconsistenti nugae (così le chiamavano i latini). Un conto è intraprendere la via della letteratura della finzione ed essere Borges oppure imboccare quella della letteratura della menzogna ed essere Manganelli, un altro paio di maniche è essere dei loro pretenziosi tristi epigoni! Ma ritornando all’America, che cosa sono in fondo i poeti della beat generation rispetto a molti nostri grandi poeti? Personalmente io uno come Sanguineti non lo cambierei con Kerouac e Ginsberg messi insieme. Senza voler cadere nel rischio opposto dell’etnocentrismo e/o dello sciovinismo è evidente che in Italia prendiamo come capolavoro ogni cosa che arriva da oltreocèano e caso mai siamo troppo esterofili, ovvero imitiamo le mode americane, spesso con diversi anni di ritardo. Ci vorrebbe da parte nostra più senso critico e più avvedutezza nei giudizi. Bisognerebbe più guardare a casa nostra. Invece siamo così esterofili che imitiamo in molte cose gli americani, siamo colonizzati anche culturalmente e finiamo sempre per farci piacere anche ciò che non ci piace di loro nel nostro intimo. Questo significa che non abbiamo prima di tutto rispetto della nostra gloriosa tradizione e delle nostre radici secolari. Dovremmo imparare a voler bene ai nostri artisti, sotto ogni punto di vista. I primi a essere miopi e iniqui nei confronti dei nostri letterati siamo noi stessi, che riusciamo ad apprezzare il valore solo quando sono morti da anni. È molto eloquente che Pasolini, ben visto a Stoccolma e probabilmente uno dei papabili per la vittoria, sia stato massacrato e ucciso barbaramente all’Idroscalo di Ostia: questo è sintomatico di come abbiamo trattato i nostri poeti civili più grandi e più scomodi, e da allora nessuno tenta di uguagliare Pasolini per non rischiare di fare la sua stessa fine, dato che i poteri forti qui da noi, sanno sempre come reprimere la denuncia sociale e il dissenso, anche se rispetto agli anni Settanta oggi utilizzano le querele temerarie e il fango mediatico. In fondo il prezzo da pagare per essere degli scrittori o dei poeti liberi è troppo alto da pagare. In Italia, diciamocelo francamente, c’è poca libertà di scrittura. Ci sono molte restrizioni in tal senso, a meno di non pubblicare nel mare magnum del web. Un altro esempio è Dario Fo e Franca Rame che pagarono le scomode verità con la rimozione dalla Rai e con lo stupro da parte di uomini dello Stato di Franca Rame. Anche oggi scrittore o un poeta se volesse dire tutto quello che non va in questo Paese, rischierebbe l’incomprensione, l’ostracismo l’emarginazione o addirittura la salute psichica e, anche se meno probabile, l’incolumità fisica. In Italia non si possono mai fare veramente i nomi, svelare gli inganni, denunciare magagne sociali, economiche e politiche, a meno che non si faccia parte del sistema, che non si accetti di essere cooptati da esso, perché in Italia la critica deve essere interna al sistema, bisogna avere dei santi protettori, bisogna mettere la testa a partito, non si può essere totalmente outsider, corsari, indipendenti. In Italia gli artisti spesso sono cortigiani oppure intellettuali organici, quando dovrebbero rifiutare ogni forma di potere e di contropotere per essere veramente liberi di criticare ogni potere. In realtà quando il contropotere è talmente radicato e istituzionalizzato come in Italia perde ogni forza eversiva, ogni carica innovativa, ogni genuinità e giustifica solo la sua esistenza per assicurare ai suoi membri la spartizione di poltrone. Pasolini era contro questa logica del sistema ed è stato fatto fuori dal potere, ma non è nemmeno mai stato difeso né tutelato da nessun contropotere: è stato lasciato solo e il suo omicidio era già stato annunciato dalle varie scritte sui muri a Roma contro di lui e dalla montagna di querele contro la sua arte. Sicuramente sono molteplici le ragioni (culturali, editoriali, storiche, riguardanti una personalità di base un poco disturbata di alcuni, riguardanti la mancanza di una generazione che si pensa collettivamente) per cui nella poesia italiana ad esempio domina l’ipertrofia dell’io, ma questo guardarsi l’ombelico così diffuso, questa introflessione verso il soggetto invece che un’estroflessione verso il mondo è dovuto anche alla tragedia di Pasolini: con quel massacro il potere ha voluto dare l’esempio di cosa poteva accadere a chi si metteva contro non solo agli artisti di quell’epoca ma anche a coloro che sarebbero venuti dopo. Per quanto gli artisti cerchino di rimuovere o di non pensare alla fine di Pasolini una traccia indelebile nell’inconscio individuale e collettivo resta. Ogni artista italiano ci pensa sempre non una ma mille volte prima di scrivere, perché l’Italia è un Paese libero ma strano e poi su certi tasti bisogna saper glissare, certe cose vanno taciute o sottaciute. Oggi nessuno vuole vivere una vita sotto scorta come Saviano. Però non è solo questo, perché nel resto del mondo ci sono scrittori che sfidano la morte, che si mettono contro regimi sanguinari. Invece tutto sommato l’Italia, nonostante mille problemi, è una democrazia occidentale evoluta; forse c’è sottotraccia anche un altro motivo, ovvero molti artisti oggi sono comodi nella loro comfort zone, si chiedono chi glielo fa fare a essere contro, preferiscono la strada più facile, tirano a campare. Sono allora senza scorza, senza tempra? È stato perso lo slancio ideale, vitale e con esso l’ardire, la propensione al rischio di un tempo? Può darsi. Oggi pochissimi si sacrificherebbero per degli ideali. Come cantava De André, traducendo Brassens: “Moriamo per delle idee, vabbè, ma di morte lenta. Vabbè, ma di morte lenta”. Per tutto ciò è difficile per poeti e scrittori italiani sapersi distinguere con le opere in una direzione ideale, come vorrebbero a Stoccolma.
Bibliografia ragionata:
“Morte di Pasolini” di Dario Bellezza, Mondadori, 1981
“Vita di Pasolini” di Enzo Siciliano, Mondadori, 2005