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Questo libro affronta il tema della produzione, del commercio e dell’uso delle armi “comuni” nel nostro Paese: demolisce falsi miti, fa luce su zone grigie e reticenze interessate, sugli omicidi con armi legalmente detenute e sulle falle nel sistema di controllo. Una vera e propria inchiesta sulle armi nel nostro Paese. ( Fonte Altreconomia)
L’autore
Giorgio Beretta è un ricercatore attento e certosino. Svolge la sua attività per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia che fa parte della Rete italiana pace e disarmo (RiPD). Beretta pubblica costantemente numerosi articoli e contributi su “il manifesto“, “Avvenire” e vari siti.
Giorgio Beretta è anche una persona molto disponibile, oltreché un punto di riferimento per chiunque voglia realizzare contenuti che riguardano l’antimilitarismo e l’abuso di armi da parte di “democrazie” più o meno repressive. Io stesso ebbi il piacere della sua collaborazione nel 2021, quando volli approfondire l’uso delle armi italiane nella repressione dell’estallido social in Cile.
Paese delle armi e delle lobby armiere
Il libro si apre subito con una necessaria introduzione sul peso culturale che le lobby armiere hanno in Italia. Esaminando meglio le attività di ANPAM (Associazione nazionale produttori di armi e munizioni civili e sportive), ConArmi e AssoArmieri si evince che il loro impegno principale è culturale. Monitorano attentamente l’informazione in modo tale da contrastare, edulcorare e oserei dire manipolare, anche attraverso il discredito sociale, tutte le informazioni e opinioni che possano razionalmente avversare i loro interessi.
Paese delle armi e dei falsi miti correlati.
Sono molteplici i falsi miti ripetuti a cantilena e con particolare enfasi, soprattutto da alcuni esponenti politici, relativi alla detenzione di armi e all’industria armiera. Il libro ne affronta e ne disinnesca, come un paziente artificiere, parecchi. È smentita dai dati l’affermazione secondo cui “le armi danno lavoro e rappresentano un’eccellenza del made in Italy”. Il numero degli occupati nei due grandi distretti armieri italiani (Gardone Val Trompia per Beretta e Lecco per Fiocchi munizioni) è stabile. Ma si registra un notevole e costante calo negli impiegati di tutto l’indotto (- 11,2% in dieci anni).
È altresì falsa, o quantomeno non supportata dai dati, l’idea che “gli italiani hanno paura, per questo si armano”. Nonostante tv e politica continuino a paventare un “allarme sociale”, legato all’aumento di furti e rapine, lo stesso appare ingiustificato; dati alla mano. Furti, rapine e omicidi a esse collegati sono in calo negli ultimi 30 anni. In Italia è oggi più facile essere uccisi da un fulmine anziché in una rapina.
È anche importante sottolineare, proprio per sostenere una necessaria contro-narrazione rispetto a quelli che potremmo definire “sceriffi della propaganda politica razzista”, che questo calo coincide con l’inizio delle grandi migrazioni di massa (1990 migrazione dall’Albania). Inoltre è tragicamente curioso notare che le armi legalmente detenute per “difendersi da furti e rapine”, sono anche quelle più utilizzate negli omicidi familiari; in particolare nei femminicidi. Ma non bisognava armarsi per “difendere la propria famiglia”?
Esportiamo democrazia e libertà…a colpi di arma da fuoco
La legge 185/1990 – che vieta di esportare armi verso paesi in conflitto o in cui vi sia una palese violazione dei diritti umani – è stata spesso aggirata. La trasparenza stessa che la legge richiede è stata progressivamente ma inesorabilmente erosa. Un’erosione funzionale a nascondere alla società civile la vendita di armi destinate a paesi protagonisti di repressioni, conflitti e aggressioni. L’oscurità dei governi succedutesi negli ultimi 30 anni ha in qualche modo agevolato l’irresponsabilità sociale d’impresa relativa all’uso finale di queste armi.
Ho coscienza della ossimorica, senza scomodare Kant, pretesa di una “legge morale” in chi produce armi. Tuttavia appare paradossale constatare l’accreditamento di ANPAM (le cui principali aziende sono Fiocchi e Beretta) come ONG con statuto consultivo “Speciale” presso il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) delle Nazioni Unite. L’autore parla di “social washing”, io mi spingo anche a definirlo “blood washing”.
Conclusione
Il libro esamina una ricerca, condotta dall’università “La Sapienza“, la quale usava dati utili a dimostrare un assunto prestabilito politicamente. Non a caso, ampi stralci della ricerca furono usati per condizionare il dibattito e sostenere la riforma sulla legittima difesa nel dicembre 2018. Il libro è abbastanza scorrevole, nonostante la necessaria mole di numeri e dati. Lo stesso si chiude con una serie di proposte che, per citare un fan delle armi come Matteo Salvini, potremmo definire di “buon senso”.
Consiglio la lettura e mi auguro che ne nasca una diffusa percezione del problema che rappresentano le armi e le attuali modalità di detenzione legale. L’Italia è un paese con una forte cultura patriarcale e non è un caso che gran parte dei femminicidi siano commessi da uomini con armi legalmente detenute.
Quanti omicidi serviranno alla politica per presentare alle lobby delle armi il conto che la società civile ha accumulato? In termini di vite umane?