Il “patto di sicurezza” entra, armato, nell’università. Una riflessione.

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Comunicato di Nonsolo Marange – Cassa di Resistenza e Supporto Legale

Nella giornata di ieri, Lunedì 25 gennaio, un evento organizzato in Ateneo dall’ Università degli Studi di Bari ha suscitato non poche polemiche fra la popolazione studentesca e fra chi studente non lo è più, ma si ricorda bene la vita fra quelle mura. Si trattava di un convegno intitolato “le opportunità di crescita economica e le esigenze di sicurezza del Paese in ambito marittimo” in cui erano presenti fior fior dei rappresentanti dello Stato e della Difesa ( http://www.uniba.it/eventi-alluniversita/2016/uniba-marina ), organizzato in occasione della firma di un accordo di collaborazione fra marina militare e Uniba. In cosa consista l’accordo non è dato sapere, ma ciò che certamente tutti hanno notato è stata l’esposizione della marina militare. Decine di stand ( intorno ai quali vagavano ancor più di militari) erano sistemati per tutto il piano terra dell’ateneo barese esponendo moltissime armi e strumenti atti ad offendere, scudi, caschi, divise.
Uniba non è nuova ad accordi con le forze della difesa. Accordi di reciproco scambio che seguono la logica delle ultime riforme, riforme che hanno spinto allo smantellamento dell’Università come luogo di cultura autonomo, costringendolo a diventare un ente-azienda che può e deve accogliere chiunque possa finanziarla e tenerla in vita. L’obiettivo è cancellare ogni forma di tutela del sapere e del diritto allo studio, quello che rimane è solo una macchina aziendale. Non esiste alcuna vergogna nello stuzzicare studenti universitari ad abbandonare gli studi per la carriera militare, né nell’organizzare visite nelle caserme ad eventi militari come è già accaduto in passato ad esempio con la Guardia di Finanza. L’università non è più il luogo dove lo Stato offre e garantisce ai cittadini la possibilità di studiare, oggi l’università è di proprietà dello Stato. In quanto tale essa deve diventare una sua emanazione: si aprano le porte dunque alla difesa! Nessuno stupore se ciò si affianca ai tagli alla ricerca, anzi il tutto segue una logica banale ( come solo ciò che è malvagio può essere). Non bisogna fare ricerca, non bisogna farsi domande, basta perdere tempo: bisogna produrre e difendere chi produce. Così, aziende e militari hanno fatto il loro trionfale ingresso nell’università.
Chiaramente questo non significa che manchino le responsabilità dei singoli. Il rettore Uricchio ha dimostrato di avere la volontà politica di mettere l’Uniba a disposizione delle forze dell’ordine. Probabilmente, se la Marina avesse scelto di “limitare” la sua esposizione nessuno si sarebbe accorto di nulla. L’università è già stata, di fatto, snaturata. Da questo punto di vista quello che è accaduto ieri è perfettamente coerente. Molti studenti si sono indignati, qualcuno ha scherzato sugli arsenali e su possibili incontri con pescatori baresi, ma c’è anche chi approvava questa dimostrazione di forza. Tutti in qualche modo erano rassegnati a questo cambiamento.
Fra Stato e popolazione vi è un “patto di sicurezza”, di cui Foucault ha scritto molto, un patto di protezione da tutto ciò che può essere incertezza, rischio, pericolo, che porta lo Stato a intervenire ogni volta in cui si verifica un singolo evento eccezionale. Questa eccezionalità viene monitorata in un’attenzione onnipresente e costante, e richiede un intervento altrettanto eccezionale, spesso extra-legale. Ma la soglia dell’eccezionalità non la stabilisce la popolazione, di conseguenza una protesta popolare può divenire terrorismo, le armi all’interno di un ateneo possono divenire necessarie. Viviamo in una società securitaria la cui protezione spesso ha un prezzo troppo alto, in cui la sicurezza e la paura si sfidano e si rilanciano l’un l’altra. In questo tipo di società l’abuso di potere avviene regolarmente travestito da emergenza, ma molti non ne sono coscienti. Forse, se l’università facesse studiare Foucault alle matricole, se aiutasse davvero gli studenti a comprendere la società, aiuterebbe la popolazione tutta a non temere il mondo in cui viviamo. Perché temiamo solo quello che non comprendiamo, e a comprendere ci possono aiutare i libri, non le armi.

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