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Anarchia a tavola di Fiamma Chessa è più di un libro di ricette: è un diario gastronomico anarchico, un intreccio di storie, tradizioni e lotte che attraversano generazioni, dimostrando come il cibo possa essere strumento di memoria, resistenza e comunità.
Anarchia a tavola: un viaggio tra cucina e memoria
Cosa c’entra la cucina con l’anarchia? Questa è la domanda che sorge spontanea davanti a Anarchia a tavola, il nuovo libro di Fiamma Chessa, studiosa e curatrice dell’Archivio Famiglia Berneri Aurelio Chessa. Ma la risposta è semplice: il cibo è cultura, tradizione, racconto, e diventa un filo che intreccia storie, idee e comunità. In questo libro, la cucina non è solo nutrimento, ma un atto di resistenza, di condivisione e di identità. La citazione di Tiziano Terzani che apre il volume – «Noi non siamo solo quello che mangiamo e l’aria che respiriamo. Siamo anche le storie che abbiamo sentito, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato» – introduce perfettamente il senso dell’opera. Attraverso ricette tramandate, incontri con figure del movimento anarchico e racconti di luoghi vissuti, Chessa ci porta in un viaggio personale e collettivo, dove la cucina diventa lo specchio di un’idea di libertà e di appartenenza. Non si tratta solo di un ricettario, ma di una narrazione che attraversa generazioni, dal ricordo delle pietanze di famiglia fino alle esperienze nelle cucine collettive degli incontri anarchici. Anarchia a tavola è un libro che celebra il cibo come veicolo di memoria storica e politica, trasformando ogni piatto in un frammento di storia e ogni ingrediente in un racconto.
Le radici familiari: le ricette di Giovanna Caleffi
Il viaggio culinario di Anarchia a tavola prende avvio dalle radici familiari dell’autrice, intrecciandosi con la memoria di Giovanna Caleffi, moglie di Camillo Berneri. È proprio lei a trasmettere a Fiamma Chessa la passione per la cucina, regalandole una copia de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, un classico della gastronomia italiana. Le ricette di Giovanna Caleffi non sono solo un’eredità gastronomica, ma il riflesso di un modo di vivere e pensare: piatti semplici, legati alla tradizione contadina, ma carichi di significato affettivo e politico. Attraverso questi sapori, il libro restituisce l’atmosfera di un tempo in cui la cucina era anche un momento di socialità, di confronto e di cura reciproca. Le pietanze raccontate non sono solo un elenco di ingredienti e procedimenti, ma piccoli frammenti di vita: ogni piatto diventa il pretesto per rievocare episodi, incontri, aneddoti legati alla figura di Caleffi e al contesto anarchico in cui ha vissuto.
La Vetrina dell’Editoria Anarchica e Libertaria
Se le prime sezioni di Anarchia a tavola affondano le radici nella dimensione intima e familiare, il libro si apre poi a una dimensione collettiva e comunitaria con il racconto della Vetrina dell’Editoria Anarchica e Libertaria, manifestazione nata nel 2003 a Firenze con cadenza biennale. Questo evento non è solo un momento di incontro per editori e autori indipendenti, ma diventa anche un’occasione per sperimentare e condividere cucine diverse, tra cultura libertaria e tradizioni popolari. In questi anni, la manifestazione ha dato vita a una cucina collettiva, organizzata per sfamare i partecipanti con piatti che sono il frutto delle esperienze e le contaminazioni di chi vi prende parte. Le ricette di questa sezione del libro raccontano una cucina meticcia e solidale, che accoglie piatti della tradizione contadina, ma anche proposte vegetariane e vegane, adattandosi ai bisogni e alle sensibilità di una comunità in continuo mutamento. Tra le ricette riportate troviamo la torta di mele, pere e cioccolato, il babka (dolce della tradizione ebraica dell’Europa orientale) e il panino con il lampredotto, simbolo della cucina popolare fiorentina. Attraverso queste esperienze, il cibo si conferma non solo come necessità, ma come strumento di relazione e aggregazione, un modo per intrecciare storie e identità diverse, nel solco di una tradizione anarchica che ha sempre fatto della convivialità un elemento centrale della propria cultura politica.
Reggio Emilia e la riscoperta delle radici familiari
L’ultima parte di Anarchia a tavola ci porta a Reggio Emilia, città in cui Fiamma Chessa si trasferisce negli anni Duemila per seguire l’Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa, custode di buona parte della memoria anarchica italiana. Qui, la narrazione si intreccia con nuove scoperte e incontri significativi, tra cui quello con i pronipoti di Giovanna Caleffi, che permettono all’autrice di approfondire ulteriormente le tradizioni culinarie della sua famiglia. Questo ritorno alle origini non è solo un viaggio gastronomico, ma anche un momento di riscoperta, dove il cibo diventa veicolo di memoria e continuità. Tra le ricette tramandate dalla famiglia Caleffi spiccano la gallina ripiena e la zuppa inglese, piatti che portano con sé il sapore di un’epoca e di una comunità che, attraverso la cucina, ha saputo mantenere vivi i propri legami. Il libro si chiude con un’intervista a Libereso Guglielmi, giardiniere e anarchico, noto per il suo legame con la famiglia di Mario Calvino, padre di Italo. Il dialogo con Guglielmi aggiunge una prospettiva inedita sulla relazione tra botanica, libertà e cucina, rafforzando l’idea che il cibo, come le piante, sia un elemento di connessione profonda tra individui e territorio. Con questa sezione, Anarchia a tavola dimostra ancora una volta come la cucina non sia mai solo nutrimento, ma un linguaggio culturale e politico, capace di raccontare storie di resistenza, solidarietà e appartenenza.
Cibo, memoria e anarchia: il valore di Anarchia a tavola
Con Anarchia a tavola, Fiamma Chessa firma un’opera che va oltre il semplice libro di cucina. Attraverso la cucina, l’autrice restituisce uno spaccato della storia anarchica italiana, raccontando episodi, incontri e tradizioni che spesso restano ai margini della grande narrazione storica. Dalle ricette di Giovanna Caleffi e Aurelio Chessa fino ai piatti condivisi alla Vetrina dell’Editoria Anarchica e Libertaria, ogni pagina del libro è una testimonianza di resistenza e comunità, un’ode alla semplicità e alla condivisione. Il volume dimostra anche come la cucina sia uno strumento di connessione, in grado di attraversare epoche e generazioni. Le esperienze dell’autrice, dai racconti della sua infanzia fino agli anni recenti a Reggio Emilia, ci mostrano come le tradizioni gastronomiche possano trasformarsi in archivi viventi, capaci di trasmettere valori e idee con la stessa forza di un manifesto politico. Anarchia a tavola è, in definitiva, un libro che parla di anarchia e convivialità, di legami familiari e lotta politica.