Il 10 dicembre del 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. A 60 anni da quella data, in occasione di una celebrazione in Vaticano per la ricorrenza, il cardinale Martino ha ricordato che i diritti umani devono puntare alla tutela della “sostanza della dignità della persona”. Ha ricordato inoltre la lunga tradizione cattolica dei diritti dell’uomo (speriamo senza spingersi così tanto indietro da arrivare ai roghi e alle persecuzioni).
Ma, senza spingerci troppo indietro nella storia, come la Chiesa si sta muovendo per riconoscere i diritti dell’uomo?
Qualche giorno fa l’ONU ha proposto la firma di un documento in cui si chiedeva agli 80 stati in cui l’omosessualità è un reato, di depenalizzarla. Il Vaticano non ha firmato il documento e in un certo senso legittima la posizione di questi 80 stati riguardo l’omosessualità; nove di questi paesi condannano con la pena di morte gli omosessuali. La mozione è stata presentata dalla Francia che tiene la presidenza di turno dell’Unione Europea.
Non è questo l’unica occasione, in pochi giorni, in cui la Chiesa dimostra di non avere molto a cuore il riconoscimento di alcuni diritti che possano mettere in discussione alcuni punti fermi della dottrina religiosa. Il 3 dicembre, Giornata Internazione delle Persone con Disabilità, la Santa Sede è tornata ad esprimere i propri dubbi sulla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, documento la cui finalità è il miglioramento delle condizioni di vita di 650 milioni di persone disabili nel mondo. Pare che il motivo della disapprovazione sia nell’art.25 della convenzione che chiede agli stati di riconoscere il diritto alla salute dei disabili e che questi possano accedere a cure gratuite o a costi non proibitivi, che i servizi sanitari ricevuti sia della stessa qualità di quelli forniti a persone non disabili, “compresi i servizi sanitari nella sfera della salute sessuale e riproduttiva”. Quest’ultimo passaggio, secondo i “dottori” della chiesa”, potrebbe permettere ai disabili di accedere all’aborto. Ma prima dell’aborto, che comunque resta un diritto, quell’articolo vuole permettere ai disabili di accedere ai “servizi sanitari di base e di cura delle patologie, anche quelle riguardanti la sfera riproduttiva”.
Con questa mossa la chiesa si mostra ancora una volta non interessata ai problemi pratici della gente in difficoltà ma si chiude superbamente nei propri dettami, sicuramente di origine e concezione umana.
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