“Ineluttabile incontro di sguardi” la silloge di Milena Risi

ineluttabile incontro di sguardi

Una piccola premessa doverosa…

Questa silloge di Milena Risi è una ventata di freschezza e genuinità nel microcosmo stantio e paludato della poesia italiana di questi ultimi anni. Vorrei dirle che la vita è breve e ripetitiva, che l’amore è solo materialismo e/o mercificazione, che ovunque regnano degrado e miseria, che come scriveva De André siamo in tempi di basso impero, che i giochi di sguardi possono essere solenni prese in giro e fare male veramente, che la bellezza come l’amore sfioriscono, che forse è tutto illusione come credono gli orientali o che tutto è vanità come scritto nell’Ecclesiaste, etc etc. Ma al contempo io prima che questo libro mi arrivasse ero a chiedermi quanta vita vera mi resta prima di morire o di vivere allettato o demente senile o ammalato o invalido o povero. E la risposta si trova anche in questo volume quando la giovane autrice scrive: “C’è chi vaga e chi va e basta. Io vado e basta”.  Poi questo titolo è azzecatissimo perché certi incontri di sguardi sono davvero ineluttabili, sono appuntamenti col destino, anche se non sempre hanno un lieto fine.

La novità e l’originalità

Ogni pagina, ogni verso di Milena celebrano la vita, ci invitano a cogliere la pienezza di ogni istante. Ogni verso riempie il cuore dell’ebbrezza della vita (come la definisce la stessa autrice).  Le sue parole restituiscono il flusso ininterrotto di alcuni attimi e li mischiano al flusso di coscienza. Diciamocelo francamente: la poesia italiana,  anche quella più giovane, è fatta da signore e signorine ammodo e perbeniste o che vengono reputate tali. Le poetesse nostrane hanno in molte paura di infangarsi la reputazione, per cui certe cose non le dicono e certi argomenti non li trattano. Con tutto il rispetto per la discrezione di talune poetesse preferisco la vita vera, preferisco anche chi scrive cose e aspetti sconvenienti.  Milena Risi ci descrive la giovinezza di una universitaria che ha voglia di vivere, mentre alcune poetesse fredde e imperturbabili sembra che non siano mai state giovani, che non abbiano mai vissuto (visto e considerato che nei loro sperimentalismi c’è pochissima traccia di quello che sono o sono state). E ancora più onestamente diciamocelo che i soloni della critica vogliono la rimozione dell’io lirico, gli endecasillabi o i doppi settenari, la giusta distanza tra le cose, un’oggettività presunta. E invece Milena compie un’operazione intellettuale sincera e profonda, che ai più conformisti e tradizionalisti potrebbe apparire di primo acchito rischiosa: va contro questi canoni, questi imperativi stilistici e utilizza un linguaggio nuovo, originale e staglia sulla pagina tutta sé stessa, compresi i punti deboli, le fratture psicologiche e le zone morte (che abbiamo tutti e che molti rimuovono). La poetessa non ha paura di scrivere delle sue ubriacature e dei suoi amori. Tratta dei suoi sbalzi di umore e delle sue interferenze. Si mette a nudo. Esplicita le sue contrarietà e le sue contraddizioni. Non ha paura dei chiaroscuri del suo animo e della sua mente.

La tematica dell’amore e la mancanza di poetichese

La Risi ci parla d’amore, pur essendo perfettamente consapevole che scrivere di quest’argomento significa da alcuni intellettuali essere tacciati di essere sentimentali o sdolcinati, a meno che non si sia come Salinas. Ma a onor del vero non c’è alcuna traccia di sdilinquimento, di sdolcinatezza nelle sue poesie. I suoi versi non sono strappalacrime. C’è tutta la conflittualità e l’ambivalenza emotiva della relazione amorosa, senza concedere niente all’idealizzazione o alla proiezione. E ci sono gli amori veri, quelli vissuti e finiti, in una lirica come quella italiana, fatta spesso di amori non corrisposti e mai iniziati. La Risi ha il dono della chiarezza, della sintesi. Non si perde in intellettualismi, né in descrizioni puntigliose, né nel solito poetichese, fatto di stucchevolezze e parole desuete,  di termini ricercati e antiquati. Eppure si nota la padronanza non solo del linguaggio poetico italiano ma anche dell’inglese, in cui sono scritte alcune poesie.

Una poesia fuori dal canoni abituali

La Risi va oltre il provincialismo, di cui molti (me compreso) sono intrisi fin nel midollo. Ha viaggiato, studiato e lavorato per l’Europa. Ci descrive com’è la vita in altri Paesi. È cosmopolita. E lo fa senza mai annoiare, né senza mai perdere il filo. La sua è una poesia prosastica, narrativa senza mai essere bozzettistica. Non ci sono paesaggi fotografati fino al minuscolo dettaglio, ma c’è la ricerca continua di sé stessa e del senso delle cose, della vita. Ogni composizione segue la naturalezza delle idee e delle impressioni, senza perdersi a lambiccarsi per l’assemblaggio dei versi, per la compostezza formale.  Chi è abituato alla canonica linea di demarcazione tra poesia di ricerca e poesia neolirica,  in questi versi non troverà nessuna di queste due tipologie letterarie ma dei versi nuovi e un’autrice coraggiosa, che ha ancora tanto da vivere e tante cose da dire. Pur essendoci sentenze gnomiche sulla vita ritengo che questa poesia non sia neanche catalogabile come aforistica; piuttosto ci sono talvolta dei flash mentali, dei pensieri fulminei.  Ci sono poesie che ricercano a tutti i costi la letterarietà e i poetismi, che strizzano l’occhio al critico. Non è questo il caso.  La Risi si mostra invece subito com’è e com’è la sua giovane vita in tutta la sua crudezza, prendere o lasciare. La poetessa è brava nel descrivere che la vita non va quasi mai nella direzione in cui vorremmo che andasse e che, nonostante ciò,  non bisogna demordere.

Conclusioni

Questo mio giudizio positivo è sentito in particolar modo, dato che alla poetessa non si può voler bene perché ci mette la faccia e l’anima, perché si chiede se ce l’abbiano un’anima coloro che fanno sempre la solita vita e sono ingabbiati nei soliti schemi precostituiti. L’autrice ha il coraggio di rivelarsi per quella che è. Dare in pasto molto di sé ai lettori, spesso la sua più intima essenza, è un atteggiamento poetico, una postura autoriale, che va rispettata e stimata perché qui non ci sono pose, finzioni, ammiccamenti o infingimenti. Lasciamo che Milena ami, viva, viaggi, mediti, pensi, ricordi, rimpianga e poi scriva. La cosa che mi è piaciuta di più di questa silloge è il grande atto di fede nei confronti della vita: un fervore che viene testimoniato in ogni parola. Fino a che scriverà con questa sincerità disarmante non potremo che accogliere favorevolmente i suoi versi. In definitiva niente da eccepire sulla sua onestà intellettuale,  di giovane poetessa di sacrosante e del tutto legittime speranze. 

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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