Intervista a Roberto Maggiani a cura di Davide Morelli

Intervista a Roberto Maggiani a cura di Davide Morelli

  1. Quando è nato il tuo amore per la poesia?

Esattamente i giorni in cui lessi “L’infinito”, “Il sabato del villaggio”, “Alla luna” e m’immersi nelle varie sezioni di “Les fleurs du mal”: “Spleen et Ideal”, “La Revolte”, “Le vin e La mort”… Fu l’inizio. Capii che anch’io avrei potuto esprimermi in un modo simile, avevo diciassette anni. Come disse Sant’Agostino: «Si isti et istae, cur non ego?» (Se questi e queste, perché io no?). Sant’Agostino si riferiva alla santità. C’è differenza?

  1. Puoi spiegare in parole semplici la tua poetica?

Forse così: la mia scrittura, dunque la mia poetica, vive in uno spazio multidimensionale, in particolare sulla linea di contatto tra l’indagare e il descrivere il mondo per mezzo del pensiero fatto parola e per mezzo del pensiero fatto modello matematico. (Forse per capire cosa intendo è necessario leggere “Poscienza”).

  1. Quali sono i tuoi poeti preferiti?

Cito dei nomi: indubbiamente la fiorentina Mariella Bettarini, la portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen, la mia amata Patrizia Cavalli, il primo Valerio Magrelli, il tedesco Novalis, l’americana Emily Dickinson, i francesi Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud, la polacca Wisława Szymborska e anche, seppure in minima parte, la giovane Federica Gullotta; poi gli stranoti Sandro Penna, Eugenio Montale e Giacomo Leopardi, non escludo Clemente Rebora, Giovanni Pascoli e Giuseppe Ungaretti. Questi sono alcuni di coloro che nel corso del tempo, a partire dal 1996, fino a oggi, hanno influenzato la mia scrittura, nel senso che mi hanno ispirato (poco o tanto).

  1. Per molti in poesia è importante soprattutto come si dice e non cosa si dice. Tu cosa ne pensi?

Penso che abbiano ragione. La poesia è essenzialmente forma, come tutte le cose appartenenti a questo mondo. La poesia può trattare qualunque tema e un tema deve essere trattato nella giusta forma, se si vuole che sia preso in carico dalla poesia.

  1. Negli anni Settanta i giovani rifiutavano la poesia e amavano la politica. Cosa ne pensi di quel periodo e di quella generazione poetica?

È stato così? Non lo so, mi fido. Quando sono entrato negli anni Settanta avevo due anni, ne sono uscito a dodici, non ho fatto in tempo a pensarli dal punto di vista poetico né da quello politico. Però, a ben pensarci, andando indietro nel tempo, alla ricerca di alcune suggestioni che mi ha lasciato quell’epoca, devo dire che mi ricordo dei terribili giorni del sequestro Moro e in generale di una politica fatta di lunghi telegiornali e dirette da Palazzo Chigi ma di nessun poeta, ad eccezione di Pasolini, forse a causa della sua morte, che fece scalpore anche nel mio mondo puberale. Cosa ne penso di quei giovani che fecero politica anzi che poesia? Penso che avrebbero fatto meglio a dedicarsi alla poesia, visto il mondo che ci hanno lasciato, e visto che, come dice Sophia de Mello Breyner Andresen, lo ripeto sempre: «È la poesia che mi implica, che mi fa esistere nello stare e mi fa stare nell’esistere. È la poesia che rende intero il mio stare sulla terra. E poiché è la più profonda implicazione dell’uomo nel reale, la poesia è necessariamente politica e fondamento della politica».

  1. Che cosa ne pensi degli slam di poesia?

Non li ho mai presi in considerazione. Se si vuole giocare si può giocare, anche con la poesia.

  1. Che cosa ne pensi degli instapoets?

La poesia richiede tempo, lavoro, impegno, la poesia non può essere estemporanea. La maggior parte delle poesie instant (intendo quelle del tipo scrivi e getta) che raramente mi capita di leggere sui social, per la maggior parte sono poesiacce o poesiole che non mi dicono nulla e, anzi, spesso mi fanno ammosciare l’intelligenza e il sentimento.

  1. Luzi, Calvino, De André avevano una certa ritrosia a parlare di fronte alle telecamere. È indispensabile oggi saper parlare in pubblico per un artista? Secondo te Elena Ferrante è solo un’eccezione? Che ne sarà degli artisti timidi oppure ansiosi? Oppure degli artisti che non hanno un buon rapporto con il proprio corpo? Gli autori devono essere sempre più multitasking?

I primi tre autori citati hanno scritto testi di una profondità inaudita che sono rimasti, c’è bisogno di altro? Sono state le loro opere ad andare sotto ai riflettori, ed è quello che conta per un vero scrittore. D’altronde, in un’epoca multimediale come la nostra è impensabile non apparire in qualche modo, ma bisognerebbe che non fosse questo minore o maggiore apparire a influenzare la “valutazione” della scrittura di una persona. Spesso è infatti l’apparire mediatico a influenzare il giudizio su di una data scrittura. È anche vero però che un’assenza, in certi casi, si fa più notare di una presenza, è il caso della Ferrante. Sto rispondendo a questa intervista e lo faccio volentieri e vi ringrazio, ma per me è un veicolo per portare all’attenzione delle persone ciò che scrivo, non la mia persona. Di me potete anche dimenticarvi ma di ciò che scrivo mi piacerebbe vi rimanesse qualcosa.

  1. Un tempo i bambini imparavano a mente le poesie. Oggi si imparano a mente le canzoni. Ci siamo involuti a livello artistico? Non trovi che la decadenza letteraria possa portare alla decadenza di una nazione, come riteneva Ezra Pound?

Certamente, sono d’accordo con Ezra Pound. Ma non penso che non imparare le poesie a memoria possa essere motivo di decadenza letteraria. Così come non penso che imparare delle canzoni faccia involvere a livello artistico. Le canzoni veicolano dei messaggi, aiutano le persone a commuoversi, a emozionarsi, a pensare, insomma, a muoversi. Le poesie a memoria? A cosa servono? Io le poesie a memoria le ho sempre detestate perché ho sempre avuto poca memoria, però mi piace molto leggerle, anche a voce alta, lanciarle nel mondo col mio fiato, sorreggerle. Ma leggerle. Quando dovevo imparare un testo a memoria era una tortura. In ogni caso, quando ascolto qualcuno che recita a memoria, rimango affascinato.

  1. Per alcuni la poesia dovrebbe opporsi ai modelli dominanti della civiltà consumistica. Secondo te è realisticamente possibile ciò?

Con la poesia molti editori, molti autori, molti critici, molti lettori, nessuna categoria è esclusa, si comportano in base al modello dominante del consumismo. Si legge in giro, sui quotidiani, sui blog e sulle labbra di molti: “Pinco Pallo ha conquistato una centralità nel grande capitolo della letteratura italiana contemporanea”, o cose simili. Dove si vuole arrivare? A conquistare un mercato, una platea di lettori… la notorietà planetaria? E tutti, soprattutto editori e autori, si lamentano che la poesia non vende. Infatti, dovrebbe essere donata, non venduta. Lo Stato dovrebbe finanziare la stampa dei libri di poesia e dovrebbero essere distribuiti gratuitamente a chi lo desidera. Lo so che mi sto esprimendo per assurdo ma oggigiorno che cosa non è assurdo, a partire dall’atteggiamento di conquista di cui sopra?

  1. Un tempo la poesia veniva valutata in base a certi canoni estetici (metrica, eufonia, appartenenza del poeta a un ismo). Non trovi che oggi questi criteri si siano dissolti e che sia sempre più difficile valutare un poeta? Tu da che cosa riconosci la poesia autentica?

Questa domanda è difficile. La poesia è, a tutti gli effetti, a mio avviso, assimilabile a un’opera d’arte. Dunque, da che cosa si riconosce che un’opera è un’opera d’arte? Parliamo, ad esempio, di un dipinto, sul quale è più facile ragionare, perché tutti abbiamo dei modelli davanti agli occhi. Ho riflettuto molto su questo. Mi capita, a volte, di vedere dei dipinti che all’apparenza sembrano notevoli ma poi, fermandomici davanti, osservandoli bene, a un certo punto si palesa una fastidiosa banalità che coinvolge i tratti, i colori, l’insieme del dipinto. In certi casi si palesa, invece, qualcosa di piacevole e di inesprimibile, appare un’armonia; allora senti di stare bene e si passa allo scatto, gli facciamo, cioè, una foto perché quel dipinto ci piace, in qualche modo ci parla e vorremmo che stesse con noi. L’artista ha messo in quell’opera qualcosa di vero, di necessario per lui e per noi, ma quel qualcosa di vero e necessario non l’ha messo come qualcosa di riconoscibile solo materialmente, usando una ben precisa tecnica, bensì anche spiritualmente; ha messo in relazione tra di loro degli elementi materiali che si compongono a dare vita a qualcosa di totalmente nuovo, che va al di là della mera materialità: è l’opera d’arte. Chi dipinge non sempre riesce a fare questo miracolo che è simile alla vita. Le creature viventi sono fatte di molecole, ma non è scontato che, se metto insieme delle molecole, allora salta fuori una creatura vivente. Ecco, l’opera d’arte è una cosa simile. Penso che tutto questo valga anche per la poesia. Ad affascinare non è quello che il poeta dice, ma quello che non dice e che si compone misteriosamente al di là delle parole. Come la vita. Quindi, per valutare non ho un metro, bensì un’attesa, attendo che dalle parole si manifesti quel qualcosa di intangibile simile alla vita e non sempre si manifesta.

Anche oggi la poesia viene valutata in base all’appartenenza del poeta a un ismo, ma oggi non si tratta più di correnti letterarie, bensì di correnti amicali e di relazioni sociali che si modellano e modificano velocemente, anche a causa della rapidità della comunicazione dovuta ai social. Se sei Suo/Mio amico allora ti valuto così altrimenti cosà, è un fatto, certe volte inconscio. Insomma, per essere apprezzata, una poesia, alcune volte necessita di entrare nel Palmarés di un personaggio noto. Questo è garanzia di buona poesia? Alcune volte sì, altre proprio no.

  1. Hai mai avuto la tentazione di pubblicare un canzoniere e trattare esclusivamente di amore, intendo quello esclusivamente sentimentale?

Eh eh, l’ho fatto, ho scritto un librettino amoroso ma è rimasto privato in una stretta cerchia di amici, l’ho realizzato in occasione dell’unione civile con il mio compagno. Trattare di amore è rischioso. Se lo fai da innamorato o da deluso rischi di combinare dei guai, la banalità è dietro all’angolo. Non so quale sia lo stato ideale in cui sarebbe bene trovarsi per trattarlo.

  1.  Che rapporto hai con gli altri poeti e le altre poetesse italiane?

Questa è una domanda a cui non vorrei rispondere, tuttavia due parole le dico. Sto ancora cercando di capire chi siano i poeti e le poetesse italiane, viventi, che considero tali, a partire da me stesso.

  1. Il poeta Valerio Magrelli in un’intervista a Fabio Fazio dichiarò che per essere letterati bisogna aver letto almeno ottomila libri. Che ne pensi al riguardo?

Penso che lui abbia le competenze per affermare una cosa del genere; per quanto mi riguarda non sono un letterato e mai ho desiderato esserlo. La mia formazione è scientifica e amo la poesia, mi esprimo in versi, e ci provo da molti anni. Se ho un po’ di competenza in tale ambito l’ho acquisita sul campo, leggendo e scrivendo. Essere un letterato, lungi da me. Essere letterato non è “conditio sine qua non” per essere poeta.

  1. Cosa ne pensi di quella che viene definita attualmente poesia di ricerca?

A ben pensarci, la poesia è ricerca, se non fosse ricerca cosa sarebbe? L’arte è ricerca. La poesia, o è ricerca o è roba sciatta che annoia, non è poesia ma pensieri scritti per sé stessi condivisi con altri. Posso capirlo. La poesia deve spingersi in un territorio altro, ben oltre il proprio pensiero, sia in termini di forma, sia in termini di connessione tra forma e contenuto. La poesia deve essere in grado di stupire per le previsioni che è in grado di fare una volta formulata, proprio come una teoria scientifica può fare delle previsioni, inaspettate anche a chi l’ha formulata.

  1. Alcuni poeti moderni vorrebbero eliminare l’io lirico. Si tornerà alla terza persona di “Lavorare stanca” o all’antica epica? Come vedi l’eavesdropping della poesia di ricerca in questo senso? Che ne pensi?

Non penso che sia possibile eliminare l’io lirico, perché eliminarlo? Che fastidio dà? In certi casi è invadente ma in altri è piacevole e anche necessario. Va gestito, come ogni io.

  1. Cosa ne pensi della poesia aforistica come quella dell’ultimo Montale, dell’ultimo Caproni, degli Shorts di Auden, di Nelo Risi, della produzione più recente di Cesare Viviani? C’è chi sostiene che sia un genere minore. Che ne pensi?

Non ho seguito la produzione di Cesare Viviani ma, d’altronde, lui non penso che abbia seguito la mia, dunque non me ne vergogno. Mi piace Nelo Risi, con cui ebbi qualche scambio. Ma al di là dei rapporti personali, la poesia aforistica mi piace perché nutre l’area intellettiva e l’area emozionale con sapienza a piccole dosi concentrate; ma della poesia in generale mi nutro a piccole dosi.

  1. Internet per alcuni aspetti è ancora un territorio selvaggio (revenge porn, cyberbullismo, truffe, frodi). Può essere anche un luogo di rinascita per la poesia contemporanea?

Il problema non è se internet possa o non possa essere un luogo di rinascita della poesia, perché la poesia non ha bisogno di rinascita e internet non è il male; sono le persone a usare male ciò che ha potenzialità di bene, spetta ai poeti usare bene internet, con cautela, per rendere un servizio alla poesia: più che alla sua rinascita direi alla sua buona continuazione.

  1. A mio modesto avviso la poesia può essere epifania e ricerca di corrispondenze, ma può essere anche epifonia (legga anche teofania, quasi piccola rivelazione divina). Ti piacciono i versi di Rebora e Turoldo? Oppure senti distante la poesia religiosa?

La poesia religiosa non la sento assolutamente distante da me e, anzi, in molte mie poesie, anche in “Poscienza”, l’elemento religioso è presente, è sempre stato importante per me. Mi piacciono sia Rebora che Turoldo, ma non tutto di Turoldo.

  1. Per alcuni la letteratura non conduce alla salvezza ultraterrena. Tondelli nelle sue ultime righe scrisse che la letteratura non salva, ma salva solo l’amore. Per altri addirittura la letteratura è sinonimo di dannazione. I poeti maledetti probabilmente non si sono salvati. Che ne pensi a riguardo?

Davvero si può credere che la letteratura sia un elemento di salvezza o di dannazione in senso religioso? Io non lo penso, penso che la poesia sia una sorta di rivelazione dell’umano all’Assoluto (o a Dio per chi ci crede), una mistica al contrario. Non ha in sé stessa potere salvifico, se non nella misura in cui riesca a rendere i miei pensieri e le mie azioni degne di quelle di un essere umano; nella misura in cui riesca a ricondurmi nella dimensione dell’amore. E io dell’amore ho una visione molto cristiana, ma non dogmatica. Quindi direi di trovarmi in linea con Tondelli.

  1. Leggere poesia può aprire la mente e combattere i luoghi comuni?

Sì, senza la minima ombra di dubbio (per me).

  1. Secondo l’immaginario comune il poeta è una persona sensibile. Secondo te ciò corrisponde alla realtà?

No, assolutamente no. Il poeta può anche essere un grande cattivone, un elefante in una cristalleria, un egoista di prima grandezza, un arrivista, una cosa marrone insomma.

  1. Croce, in “Etica e politica”, scriveva che non si deve considerare la vita privata di politici e artisti. Bisogna separare l’arte dalla vita? Tu che ne pensi?

È una questione di grande rilievo, anche Proust pensava come Croce. Io non so cosa pensare, onestamente. Non è facile separare l’arte dalla vita; per l’artista è impossibile; siamo noi, fruitori dell’arte, che dovremmo fare questa operazione di separazione, ed effettivamente se un’opera d’arte è tale allora lo è indipendentemente dal tipo di vita l’autore abbia avuto e non è necessario conoscerne la vita. L’opera d’arte, molto spesso, è tale anche quando scaturisce da artisti che sono brutte persone. Tuttavia, a me capita, non lo nego, di non acquistare libri di persone che rivelano un eccessivo ego e che, secondo miei criteri personali, si comportano come se il resto dell’umanità non avesse valore, tranne una loro piccola cerchia di amici eletti di pari casta. Finché posso evito. Ma sono ingiusto. Il mio non è un buon esempio.

  1. L’Italia è un Paese colmo di corporazioni. Anche a livello poetico ci sono diverse cricche a mio modesto avviso. Secondo te è così?

Sì, è così ed è sotto agli occhi di tutti. Ma forse è sempre stato così, solo che oggi si nota di più perché ci sono molte più persone che scalciano per diventare famose, anche grazie a una più facile pubblicazione (non entro qui nei dettagli). Il problema è che si pensa alla scrittura come a un modo per diventare famosi, o che per essere buoni scrittori bisogna diventare noti, e per riuscirci si debba entrare in una di queste cricche di potere letterario e mediatico. Personalmente cerco di intessere delle relazioni serene con tutti, cricca o non cricca, prima di tutto per la mia coscienza: tutte le volte che tratto male (raramente) qualcuno mi rimprovera aspramente, ha ragione.

  1. Se dovessi salvare un solo libro di poesia italiana per i posteri quale salveresti?

Domanda assurda, risposta assurda: “Poscienza”.

  1. Secondo te la poesia morirà con l’ultimo uomo oppure è destinata a scomparire nella civiltà dell’immagine? Aveva ragione Montale, che era molto pessimista sul futuro della poesia nella società di massa?

La poesia è per tutti, vive nel cuore di ogni uomo e morirà con l’ultimo uomo.

  1. Un tempo si distingueva tra mimesi e straniamento. Ma oggi mi sembra tutto più complicato: la mimesi sembra non più mimetica e lo straniamento talvolta non è più straniante. Detto in parole povere, spesso il mondo non è rappresentabile e non stupisce più niente. È così difficile essere artisti oggi allora?

Penso che il mondo sia sempre rappresentabile. Lo dico anche da Fisico; è necessario trovare il modello che lo rappresenti, la lingua, il linguaggio, la forma… Penso che lo stupore morirà con l’ultimo uomo, come la poesia, perché senza stupore non c’è poesia e, ancora, da uomo di scienza dico che senza stupore non ci sarebbe neppure la scienza. Scienza e poesia sono due modi, diversi ma non molto, di esprimere il proprio stupore davanti al mondo. Sono ottimista.

  1. Secondo te la poesia italiana è condannata a rimanere un genere di nicchia?

Non solo quella italiana. Ci sono poesie che esplodono di vendite perché sono tendenzialmente semplici e di impatto emotivo, ma la poesia è difficile, la poesia richiede un accordo tra intelligenza e sentimento, richiede maturità. E chiede di essere raggiunta nel territorio dell’inutilità e del tempo perso. Nonostante essa susciti l’interrogativo: “a che cosa mi serve?”, sono convinto che senza di essa non saremmo noi. Ecco perché rimane ai margini della nostra società: sembra inutile.

  1. Negli anni Settanta si discuteva in modo acceso di poesia. Alla presentazione all’università di Bologna dell’antologia “La parola innamorata”, curata da Pontiggia e Di Mauro, c’erano centinaia di studenti e studentesse. Oggi le antologie non destano così interesse. Non sono più ripetibili, secondo te, quegli anni, l’interesse è scemato per sempre oppure oggi ci sono altre strade e la discussione avviene solo online?

Oggi c’è un’inflazione di antologie, oltretutto realizzate senza un criterio che abbia un senso letterario, per questo destano poco interesse; in generale c’è un’inflazione di libri orrendi pubblicati per il solo profitto. Le persone, a lungo andare, non cascano più nei tranelli della cattiva editoria e la pagano tutti. Penso anche che l’interesse sia scemato soprattutto per colpa del ventennio in cui abbiamo visto l’Italia omogeneizzata, inondata di schifezze mediatiche e di parole della politica che sostenevano certi pensieri al ribasso, in cui il modello era l’imprenditore di successo, il benessere a tutti i costi, e il sonnifero era quello dell’illusione Dio, Patria e Famiglia; ideologie dentro le quali ancora oggi ci troviamo invischiati. Le discussioni online? Nella discussione è fondamentale il guardarsi in faccia, sono importanti i messaggi non verbali che accentuano o attenuano i concetti emanati dalla comunicazione verbale. Oggi online si litiga facilmente perché ci si fraintende facilmente, non ci si guarda in faccia. Non si comprendono bene le intenzioni dell’altro. Insomma, tutte cose che sappiamo.

  1. Secondo te i social oggi sono indispensabili ai poeti e alle poetesse?

No, non lo sono.

  1. Che cosa hai in cantiere? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

In cantiere ho un romanzo strambo e una nuova raccolta di poesie. Mi sto divertendo a scrivere entrambi.

  1. Si sta assottigliando lo strato dell’ozono. Si stanno sciogliendo i ghiacciai. Sta scomparendo la foresta amazzonica. In Africa i bambini muoiono di fame e ci sono guerre dimenticate. Alcuni pensano che ci stiamo avviando verso il suicidio della specie. La poesia può solo consolare?

La poesia sorregge il mondo ma è impotente davanti all’egoismo, alla fame di guadagno e di potere per colmare la quale si fanno le cose più assurde a danno dei nostri simili. La poesia è come Gesù, tutto potrebbe ma nulla può contro la nostra volontà. E finisce in croce.

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie, case editrici. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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