Iran, i giovani pazzi per Mousavi “l’onesto”

di Claudio Gallo
La Stampa.it, 10 giugno 2009

TEHRAN

Mentre si cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata italiana, la folla anonima che sformicola per le ampie strade di Tehran comincia ad assumere un volto fatto di colori suoni e movimenti. Lentamente migliaia di macchie monocromatiche si fondono in un enorme serpente smeraldino che urla slogan e cresce fino a occupare il marciapiede a perdita d’occhio. Guardando più da vicino, la creatura nata nella strada torna a trasformarsi nei sorrisi della fiumana di giovani che sfoggiano il verde della campagna elettorale di Mir Hossein Mussavi, il candidato pronto a battere Ahmadinejad nelle presidenziali di venerdì in Iran. I ragazzi vanno a sentirlo, è atteso allo stadio con la moglie e l’ex presidente riformista Khatami.

Su un corso laterale è appeso il gigantesco manifesto del presidente. Con il solito sguardo obliquo, è seduto e tiene in mano biro e taccuino. Come dire: mi appunto i vostri suggerimenti. I consigli urlati dalle ragazze che passano come erinni sotto il cartellone, col velo scivolato fino alla nuca, le ciocche di capelli volanti, spegnerebbero il sorriso al vero Ahmadinejad. Dei 46 milioni di persone che hanno diritto al voto, più della metà sono giovani. Tra questa gente in marcia più dell’80% ha meno di 30 anni. Un irrefrenabile impulso di liberazione, percepibile quasi fisicamente, li spinge a sostenere un conservatore illuminato piuttosto che lo scialbo Karrubi, che teoricamente è un vero riformista. Con la sua timidezza, la mancanza di carisma, la voce flebile Mussavi a 68 anni è diventato l’anti-Ahmadinejad. Il presidente è un animale politico che all’istinto non ha saputo aggiungere l’intelligenza. Studi di architettura in Inghilterra, un volto che ricorda Alec Guinness quando faceva Obi-Wan Kenobi, tranne che per il ciuffo bianco, Mussavi è un vecchio protagonista della politica iraniana anche se apparentemente manca dalle scene da una ventina d’anni.

Negli infernali Anni 80 della guerra contro l’Iraq fu un Primo Ministro amato dal popolo per il suo tentativo poi fallito di introdurre un sistema di cooperative per arginare lo strapotere del bazaar. Allora l’attuale Guida Suprema e successore di Khomeini, Ali Khamenei, era presidente e l’attuale candidato conservatore Moshen Rezai comandava i pasdaran. Mussavi è azero, cioè di origini turche. Una sua vittoria segnerebbe la prima volta di un non persiano alla presidenza. Lui si definisce una via di mezzo tra i riformisti e «principisti», che si rifanno agli ideali della rivoluzione khomeinista. Non un centrista, ma sia di destra che di sinistra. Un equilibrio difficile nella pratica. Dice di sé: «Non mi considero separato dal movimento riformista. Non mi considero separato da un buon principismo. Penso che la società possa essere sia riformista sia principista».

Sottigliezze politiche che a Nasrin, 25 anni, occhi verdi, velo grigio sui capelli biondi, spolverino fasciante marrone, rossetto sgargiante, trucco marcato, non interessano. Smitraglia il palco dello stadio con una Canon digitale dall’obiettivo esagerato. Dice: «Mussavi è la speranza di una società meno brutale, più gentile, meno ignorante». Non è difficile capire a chi si sta riferendo. Sullo zaino ha un badge con un volto che subito somiglia a Lou Reed ma poi si rivela essere il poeta iraniano Ahmad Shanlu. Ritmi disco si alternano a canzoni della rivoluzione islamica. Sugli spalti e sul prato donne e uomini si dimenano rigorosamente separati. E’ una platea stereofonica: a destra le grida femminili acute, a sinistra quelle più basse maschili. La calca non lascia respiro, la gente che non è riuscita a riversarsi sul campo, occupa le strade e i cavalcavia intorno. Ci saranno 50 mila persone. Khatami ha dato forfait, dicono gli organizzatori.

Soha, 23 anni, alta e magra, fasciatissima nel vestito a norma di legge, azzarda: «La gente che vota Ahmadinejad è prigioniera dell’ignoranza. Voto Mussavi anche perché dietro ogni grande uomo c’è una grande donna». Allude alla moglie, Zahra Rahnavard, che Ahmadinejad, nel suo mondo al contrario, ha insultato perché troppo istruita. Zahra è stata a lungo preside dell’università Alzahra di Tehran. Nella zona maschile, Mostafa, 23 anni, è furioso: «Vincerà lui al ballottaggio. Si occuperà dei giovani e caccerà gli incompetenti. Basta con la corruzione». Nei dibattiti tv torna come un tormentone il miliardo di dollari spariti dai conti dello Stato. S’intromette Behnan, 22 anni, alto, gli occhiali e due strisce «verde Mussavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo».

Fuori tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato ancora non arriva. Parte un coro: «Era primo ministro con l’Imam e lo è ancora adesso», un tentativo di far cadere la benedizione di Khomeini sulla testa del loro prediletto. Attacca l’inno, tutti in piedi e poi un tale salmodia una sura del Corano. Ma dov’è Mussavi? Sul prato ci sono molte ragazze con il chador nero integrale, eppure portano appese le loro festucce verdi. Dopo una salva di interventi declamati come fossero poesie, arriva finalmente Zahra. Boato assordante che non finisce. Porta una sciarpa verde sul chador nero, sotto si scorge una mantella blu. Non cerca il compromesso: «Quando mio marito sarà presidente, ci saranno grandi cambiamenti». Si leva subito sfrenato un coro: «Marg bar dictator», morte al dittatore. Sempre lui. Zahra accusa le autorità di boicottare la campagna del marito. «Se ci davano un posto decente non dovevamo ammassarci qui dentro», urla tra gli applausi. Intorno al piccolo stadio s’è formata una tale marea umana che alla fine lo stesso Mussavi non riuscirà ad arrivare. Bloccato dalla stessa folla che si era radunata per sentirlo. Ma che importa, nessuno è deluso, ormai basta il suo solo nome per aprire i cuori delle masse giovanili. In fondo qualcuno dovrebbe ringraziare il povero Ahmadinejad.

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