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La notizia della giornata di ieri è stata la dichiarazione del Procuratore Generale secondo cui la polizia morale in Iran è stata abolita. Si tratta di una fake news, di una bugia per confondere i contestatori e per cercare in qualche modo di frenare, di moderare gli scioperi generali previsti in questi giorni.
L’altra notizia dei giorni scorsi è quella che si starebbe discutendo dell’obbligatorietà dell’hijab, il velo che le donne sono costrette a portare in pubblico. Anche questo è un modo per far credere alla popolazione che il regime sia disponibile a prendere in considerazione determinate scelte. Il fatto, però, che la decisione dovrebbe arrivare dopo un paio di settimane serve a prendere tempo. Si tratta dell’ennesima bugia per indebolire le contestazioni.
Lo sciopero generale in Iran del 5-6-7 dicembre
Il timore maggiore per l’ayatollah Khamenei, e il gruppo di potere che lo sostiene, riguarda la proteste in programma per questi giorni. Si tratta di scioperi generali. Si fermeranno, in tutte le regioni dell’Iran, camionisti, trasporti pubblici, saranno chiusi gli esercizi commerciali, si fermeranno le fabbriche e gli studenti non andranno a lezione nelle scuole e nelle università.
Nella capitale l’esercito è già schierato a difesa dei luoghi del potere. I manifestanti si stanno organizzando per bloccare le principali arterie stradali di Teheran in modo da fermare lo spostamento di militari e paramilitari e impedire il loro intervento nelle zone di protesta. Lo scopo dei manifestanti è quello di paralizzare il paese per costringere il regime ad arrendersi.
Da contestazione a rivoluzione
Questo movimento di protesta in Iran sta crescendo e si sta trasformando. Nato come forma di protesta dopo la morte di Mahsa Amini il 16 settembre, la partecipazione alle manifestazioni è stata sempre maggiore. La popolazione ha acquisito determinazione man mano che il regime provava a reprimere il dissenso. Maggiore e brutale era la repressione e maggiore diventava il desiderio di sbarazzarsi una volta per tutte di questo regime.
La svolta e il salto di qualità di questo movimento, lo si ha, forse, nella seconda metà di novembre quando i manifestanti riescono ad avere la meglio sulle forze di polizia nella città del Kurdistan iraniano (Javanrud e Sanandaj) e dell’Azerbaigian (Mahabad e Piranshahr) e nelle città del Belucistan (Zahedan in particolare).
In quella occasione le forze militari non riuscendo a riprenderne il controllo e a mantenerlo hanno fatto irruzione nelle città e hanno sparato sui manifestanti per farli desistere. Tra le vittime ci sono state anche decine di bambini. In quei giorni militari basij e pasdaran hanno commesso crimini come il rapimento di cadaveri (per ricattare i familiari a non denunciarne l’uccisione), l’esecuzione di feriti, il furto di sangue dagli ospedali, l’utilizzo di gas nervino. Da allora si contano decine di esecuzioni nelle carceri delle città del Belucistan, regione in cui vive una delle minoranze iraniane.
Cosa vuole la popolazione iraniana?
La popolazione non vuole semplicemente l’abolizione della polizia morale e dell’obbligatorietà dell’hijab. Le cittadine e i cittadini iraniani non si accontentano dell’arresto, peraltro neanche credibile, del militare accusato di un omicidio che ha avuto una maggiore diffusione mediatica rispetto agli altri crimini ed omicidi. La popolazione chiede la caduta del regime.
Le iraniane e gli iraniani non sopportano più di essere governati dall’ayatollah Khamenei e dai suoi burattini. E non sono disposti a rinunciare all’idea di sbarazzarsene. Questa trasformazione delle contestazioni in rivoluzione è un processo irreversibile. Da questa situazione non si può più tornare indietro ad una normalità, se così possiamo definirla, e ad una pacificazione della popolazione con la Repubblica Islamica.
La popolazione chiede una costituzione democratica liberale, delle elezioni per eleggere dei rappresentanti al governo. Aspirano ad un modello politico istituzionale occidentale. Le donne iraniane e i giovani studenti stanno sacrificando la loro stessa vita per vivere in un paese libero da un regime teocratico e da forze militari di repressione.
Cosa rappresenta la rivoluzione iraniana?
La rivoluzione iraniana non ha lo giusto spazio nei media italiani. Non se ne parla molto anche nei partiti e sui giornali di sinistra, istituzionali e non, dove ha creato un certo imbarazzo la votazione contraria di Cuba e Venezuela all’inchiesta della commissione diritti umani dell’Onu. In nome di una contrapposizione al blocco occidentale, i paesi socialisti si schierano con un regime teocratico dimenticando il significato e l’origine del socialismo nella lotta per l’emancipazione dei lavoratori e delle donne attraverso la libertà e l’uguaglianza.
Ma la rivoluzione iraniana ha degli altri risvolti. La caduta della Repubblica Islamica non sarebbe solo la rimozione di un tassello dalle alleanze di Russia e Cina con le conseguenze che potrebbe avere nella guerra in Ucraina e nello scontro tra Stati Uniti e Cina. Ma la determinazione della popolazione iraniana e l’incapacità del regime di sopprimere la rivolta, sta incoraggiando la sollevazione popolare in altre regioni in cui non si respira libertà. Si hanno, infatti notizie di rivolte nelle città della Siria oltre che in decine di città cinesi contro le misure zero covid del governo cinese.
Come andrà a finire non possiamo saperlo, ma questi tre giorni sono sicuramente determinanti per il futuro dell’Iran.