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“Ogni cosa deve avere una sua forma e un suo ritmo. Soprattutto l’assenza” – la lezione di Hanna Krall prende vita in Quello che non c’è – una serie di brevi racconti in forma di reportage. Onirico, amaro, ma sopra ogni cosa reale.
L’autore – Mariusz Szczygieł
Nato nel 1966, è uno dei più noti e apprezzati scrittori e giornalisti polacchi. La sua carriera comincia a soli 16 anni, come collaboratore della rivista In giro per il Paese, per il quale nel 1985 pubblica il reportage su una prostituta omosessuale. Questo testo verrà in seguito riconosciuto come il primo reportage sulla vita di omosessuali pubblicato sulla stampa ufficiale polacca. Ha pubblicato diverse raccolte di racconti e reportage ed è considerato allievo della giornalista e scrittrice Hanna Krall. Tra il 1993 e il 2019 ha vinto vari premi a livello nazionale e internazionale, incluso Polish Journalists’ Association Award e il Premio Nike.
Quello che non c’è – La trama
Quindici storie diverse, (ma tutte vere, ci assicura l’autore) che hanno come filo conduttore l’assenza: Quello che non c’è è un progetto ambizioso ma allo stesso tempo estremamente concreto. Una materia sfuggente – l’assenza – che plasma storie ambientate in epoche e città diverse, tutte legate all’Est Europa. L’affresco che Mariusz Szczygieł ci pone davanti agli occhi è variegato e mutevole: a tratti onirico, a tratti narrativo, amaro in alcuni punti, ma anche sorprendentemente in grado di strappare un sorriso (del resto non si può restare impassibili di fronte alla storia di un soldato in trincea che riceve la chiamata della moglie che non trova le forchette per il formaggio).
La storia del (forse ultimo) viaggio dell’autore con suo padre (“Devo vedere per l’ultima volta questa bellissima città in cui tu hai trascorso tanto tempo, figliolo. L’aveva già vista, sempre per l’ultima volta, nel 2009, nel 2010 e nel 2012. Perciò questa sarebbe stata la sua quarta ultima volta.”), uno sguardo sulla poetica del giovane artista polacco Tomasz Gornicki, la scoperta da parte dell’autore della poesia di Viola Fischerová. Szczygieł racconta delle piccole vite, tutte a loro modo straordinarie, nelle quali ogni lettore possa trovare uno spunto, o anche una parte di sé. In poche pagine l’autore è in grado di condensare quanto di più eccentrico, doloroso, magico e straordinario ognuna delle storie che ha scelto di raccontare è in grado di trasmettere.
Quello che non c’è – I temi
Se il grande tema e filo conduttore di tutta la raccolta è sicuramente l’assenza, dentro a ogni storia troviamo suggestioni diverse e profonde. Dalle osservazioni sulla complessità della lingua a quelle sui legami familiari, dall’arte all’ispirazione, ognuna delle storie raccontate ha in sé un importante nucleo narrativo dal quale scaturiscono le considerazioni dell’autore. Un reportage che talvolta sconfina nella novella, in cui i confini tra reale e immaginario sembrano quasi sfilacciarsi, ma che in ogni sua parte offre al lettore un nuovo sguardo, uno spunto su temi mai banali e mai innocui. L’assenza, il “ non c’è” spiegato come fosse quasi una formula matematica, una costante nelle vite di tutti i personaggi, diventa occasione per il lettore per cercare riscontro su quelle storie, saperne di più su ognuna delle persone, degli edifici, delle città raccontate.
Spunti e storie in Quello che non c’è
La storia di una splendida casa (“La star di tutte le ville”) diventa spunto per la riflessione sulla rovina di una famiglia, quando lo splendore è in grado di diventare eccesso o perfino follia. Un figlio che cerca di spiegare all’anziano padre che cosa sia Internet (“Un cappello per la fine del mondo”) e perché una foto pubblicata su Instagram possa farlo entrare nella storia. Un fotografo a New York abituato ad appropriarsi delle immagini, delle vite altrui, fino a rimanere senza parole di fronte alle storie delle vittime dell’11 settembre (“L’appropriazione”).
Il linguaggio, le storie, il cuore di ognuno dei racconti è estremamente moderno, mette a nudo i sentimenti e i bisogni primari di ognuno, ne racconta gli aspetti più semplici, incantevoli o più meschini.
Ogni storia è un seme che l’autore pianta per far nascere nel lettore la domanda “ma sarà tutto vero?” per liberare la curiosità di ognuno, in un labirinto di suggestioni e spunti talvolta dolorosi, talvolta quasi magici. In ogni crepa tra l’ironia e l’amarezza raccontate in questo libro è destinato a nascere qualcosa.
Consigliato a…
Chi cerca una lettura piena di spunti di riflessione, dalle sfaccettature sempre diverse e in grado di dipingere in poche pagine un intero affresco davanti ai propri occhi. Chi vuole nutrire la propria curiosità con storie diverse, poco conosciute, e che allo stesso tempo si può riconoscere come proprie.