La censura silenziosa dei social media

È strano essere lə nemicə. È una condizione assurda, che ti mette di fronte a una scelta: se parli, diventi un bersaglio. Se stai in silenzio, diventi complice. Unə nemicə silenziosə è unə nemicə che non fa paura, latente, neutralizzatə. Se si può far tacere per sempre, ancora meglio.

A luglio 2022, la giornalista Tiziana Barillà vide il suo profilo Facebook sospeso per un mese per aver pubblicato un post a difesa del Kurdistan. Anche il collettivo Controcultura, che aveva condiviso il post, si trovò improvvisamente di fronte al divieto di pubblicare per un periodo di tempo. Ad oggi, mezzo giro della Terra intorno al sole dopo, Facebook informa la pagina di Controcultura che “la pagina rischia di essere nascosta. Inoltre, presenta una distribuzione ridotta e altre [non specificate] restrizioni a causa delle continue violazioni degli standard della community”. Nella lista delle violazioni, mi informano, ce n’è però solo una: la condivisione di un post sul Kurdistan.

La censura, nel (cosiddetto) Occidente del ventunesimo secolo, non prende la forma di roghi di libri, o agenti segreti che ti seguono mentre ti rechi alla sede del giornale per scrivere. Nel ventunesimo secolo, dove arriva internet, siamo tuttə scrittorə, tuttə possiamo pubblicare su Facebook, tuttə possiamo contribuire al dibattito pubblico. Almeno, finché non nomini Abdullah Öcalan. A quel punto emerge un’altra storia. Se siamo tuttə potenziali scrittorə, allora siamo tuttə potenziali nemicə.

L’illusione dell’orizzontalità e dell’iperconnessione dei social media svanisce in fretta quando si prova a dire qualcosa di scomodo. I social media non sono un terreno neutro, né uno spazio aperto. Dietro ai termini tecnici di “moderazione dei contenuti” e “standard della community” si nasconde una banalissima verità: lo spazio (virtuale, oltre ai cavi materiali) attraverso cui avviene una parte fondamentale del dibattito pubblico, non è pubblico. È privato. Qualcuno ha il privilegio di decidere gli “standard della community”, ossia i limiti del dibattito pubblico, la distinzione tra il dicibile e l’indicibile, e i criteri di ammissione alla possibilità di avere una voce. Quel qualcuno può svolgere il lavoro della censura per conto degli stati.

Se viene censurato un libro, fa scalpore. Ma se viene censurata una pagina Facebook, non se ne accorge nessuno, è una censura che non fa rumore, una censura travestita da tecnicismo, un interesse geopolitico e di classe travestito da protezione della democrazia digitale. Questa forma di censura diffusa ed essenzialmente nascosta prende una nuova dimensione se si considera che la fusione dei social media con l’identità personale e la rete sociale delle persone crea un potentissimo ricatto emotivo. Nessuno vuole perdere la propria esistenza digitale. Nessuno vuole diventare antipatico all’algoritmo che regola la nostra visibilità virtuale, e con essa la nostra visibilità sociale, esistenziale, professionale, politica. Per evitarlo, si inizia a fare attenzione alle parole che si pubblicano. La sottilissima e onnipresente paura di perdere la possibilità di esprimersi socialmente si trasforma rapidamente in autocensura. Se la censura nel ventesimo secolo era grandine, oggi si è fatta nebbia.

La verità è illegale, quasi per definizione. La struttura tecnologico-statale che regola i nostri corpi è felicissima di guardarci giocare a ping-pong tra destra e sinistra, felicissima di fare da sfondo a dibattiti che durano una settimana, polarizzano la popolazione e aumentano il tempo e l’interazione dellə utenti su Facebook. Quello che “il sistema” non tollera, è che qualcuno metta in discussione lo Stato. Chiunque accenni a trascendere la divisione del mondo in strutture socio-economiche chiamate stati-nazione viene automaticamente marchiatə come nemicə, e l’illusione della proporzionalità e l’imparzialità della legge lascia il posto all’arbitrarietà violenta di un annichilamento preventivo. È successo con Mimmo Lucano, con Eddi Marcucci, con Alfredo Cospito. In scala minore, è successo con la penalizzazione perpetua della pagina di Tiziana Barillà e di Controcultura per un singolo post. Proprio come con le persone, il vero volto dello Stato emerge quando si prova a dirgli di no.

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