Indice dei contenuti
Esperienza straniante
Straniamento. È questa la prima sensazione che colpisce il lettore quando entra nel tempo e nello spazio de “La crisi colpisce anche di sabato”. Un effetto che accompagna per tutto il romanzo. Quasi un boomerang con cui Palomar, sapientemente, lancia lontano il lettore con la certezza di riprenderlo senza mai averlo perso. È stato straniante leggere un romanzo ambientato a cavallo tra le prime due ondate di Covid-19, ha aumentato la situazione di surrealtà legata a questo periodo che ci dicono sempre stia per finire. Ci dicono ne usciremo migliori ma intanto, a uscirne sconfitti, sono i lavoratori licenziati con un messaggio whatsapp e le persone indebolite e disgregate. A uscirne più forti sono i disagi mentali di ognuno di noi e i patrimoni dei padroni; sempre più pochi, sempre più ricchi, sempre più invisibili.
Questo libro parla di crisi certo, ma non specificatamente di una crisi economica. Il denaro fa da corollario a una crisi multiforme che non a caso “colpisce anche di sabato”. Quel sabato che una volta era “del villaggio”, del riposo e della serenità. Ma in questo villaggio globale è un giorno di guerra con sé stessi, con la fallacia evidente di un sistema di cui sembriamo essere meccanismi inerti.
Una normale a-normalità
In fondo cosa stiamo vivendo negli ultimi due anni se non un eterno sabato? Un’eterna attesa? Una ricerca di quella a-normalità (in cui il privativo greco è una potentissima metafora che travalica la sintassi) molto ben evidenziata nei personaggi “ferraresi” del libro. Una a-normalità che non è ricerca della felicità o del benessere ma un compromesso al ribasso con il malessere. Crisi immateriali perché finanziarie, quindi di fatto basate su qualcosa che non ha valore intrinseco, crisi di una società in cui i bisogni indotti sostituiscono i bisogni reali. Società in cui si vive per lavorare e si fanno soldi per non pensare, per citare “Lo Stato Sociale”.
Quando ci renderemo conto che la mistica del denaro ha sostituito la sua utilità?
“I soldi non sono tutto nella vita. Almeno così usano dire coloro che li hanno fatti a coloro che non li faranno mai”
I personaggi principali
Pasciuti è l’evoluzione dell’Italia. Un paese in cui la necessità di diventare grandi ha seppellito i sogni degli adolescenti.
Apro una parentesi. In queste settimane si è ricordato il ventennale di Genova 2001 e un coro unanime si è levato. “Avevate ragione” ci è stato detto. La verità è questa: chi sogna ha ragione, chi è giovane nel cuore e nella mente ha ragione, l’utopia ha ragione.
Poi però si insinua subdola la ricerca della cosiddetta stabilità, della cosiddetta normalità e della cosiddetta sicurezza. Non succede di colpo. Inizia con un posto fisso, un investimento per “programmare il futuro”, magari un mutuo. In fondo non è quello che fanno tutti? Così si barattano i propri sogni. Si cede ai bisogni indotti che hanno la diabolica capacità di farti pensare di essere tu, ad avere il controllo. E invece, sono scelte accettate proprio perché ti tolgono il peso e la responsabilità di essere libero.
Un paese che va a puttane metaforicamente, mentre Adriano ci va concretamente e nella maniera sbagliata. Cioè senza libertà ma avvolto dallo stesso stigma che una misera idea del sesso ha inciso sulla prostituzione.
“Se ci fosse un bambino in casa, Adriano gli direbbe che i ragazzi della sua generazione erano ribelli che amavano le idee, i cortei e a volte anche i proiettili. Una generazione in bilico fra l’era dei destini collettivi e quella dell’individualismo sfrenato. E anche la prima ad appropriarsi dell’idea di futuro.”
La storia di Gioia Airaghi, invece, gira il dito nella piaga del rapporto che l’Italia ha con le donne consapevoli e forti. Un patriarcato sistemico che è il comun denominatore della condizione femminile e costringe le donne a correre a una velocità tripla rispetto agli uomini. Pur sapendo che questo non basterà.
“Le prime vittime dei tagli alla spesa pubblica? Noi donne. Le prime a saltare quando le aziende licenziano? Sempre noi. Se la donna è brutta, viene derisa. E se è carina, dicono che abbia aperto le gambe. Tutto chiaro?”
Infine i ragazzi di Ferrara. Un po’ generazione X e un po’ Y. Si tratta di coloro addestrati (il termine non è casuale) a vivere in un mondo che doveva essere certo e statico, ma si è rivelato una scottante lavalamp. Un mondo che doveva essere facile, ricco e disimpegnato. Una promessa tipica dei politici da talk-show. Quello strano ibrido tra Milton Friedman e un venditore di pentole. Un mondo che si è sfasciato; sfasciando chi si è trovato in mezzo.
“Politici abili a comunicare quindi, uomini di spettacolo abili a promettere ma non a realizzare. Gente desiderosa di guidare la macchina e non di ripararla. Perché la macchina è rotta.”
Tra i personaggi, solo apparentemente secondari, troviamo Ugo. Ugo è il fratello di Gioia ed è la persona che rappresenta l’architrave del romanzo, l’equilibrio, il motivo stesso per cui vale la pena scrivere e leggere questa storia. In fondo la vera libertà è nella cultura e se ne frega delle opinioni della gente. In questo ritratto impietoso e sincero dell’Italia, Ugo è l’unico a salvarsi.
Autore
Christophe Palomar è al secondo romanzo pubblicato per Ponte alle Grazie. Il primo (Frieda, 2020) ha ottenuto ampi e qualificati consensi.
Palomar è nato in Alsazia da madre spagnola e padre italiano. Cresciuto a Tunisi ha studiato alla HEC di Parigi e alla Bocconi. Oltre alla scrittura, si occupa di consulenze per aziende.
Il colpo di scena
È un romanzo da leggere? Certamente. Palomar scrive con eleganza e ironia di desiderio, crisi generazionale, finanza, identità, politica, coaching e rapporti tra i sessi. Offre tanti punti di vista. Abile nell’indossare la lente del proprio personaggio, riesce a descrivere l’Italia per quella che è. Un paese disincantato, ancorato a qualcosa che sembra più leggendario che reale, mentre il presente cede come un bellissimo castello di sabbia sferzato da un vento veloce. Ed è proprio in questa chiave che si può presagire il teatrale colpo di scena dell’epilogo.
il libro assolve ad una funzione educativa
– al di la di una tematica che racconta una storia –
ci induce a pensare
christophe palomasr
con- l a crisi colpisce anche di sabato –
ha centrato questo obiettivoò