Sì, è uno di quei rari libri che si leggono in un attimo e lasciano un segno.
E’ un libro autobiografico ma non solo.
La vita di un ragazzo che con i suoi amici giocano a pallone, e non solo, in una Torino che si sta riempiendo di palazzoni FIAT.
Sono gli inizi degli anni 60, l’inizio della fine di una città che ha un solo verbo “lavorare” e farlo con gioia.
Una città dove solo chi ha un pedigree è accettato.
I ragazzi giocano e si divertono e le descrizioni dei personaggi sono reali, possono essere quelle dei miei compagni con i quali facevamo gli stessi giochi e abbiamo avuto chi più e chi meno gli stessi percorsi di ideali politici.
Una sola differenza, nessuno di noi è mai diventato un professionista come l’autore.
Le sue traversie, dalle giovanili della Juventus all’Alessandria, fanno parte di un vissuto di tante altri giocatori.
Già questo ne farebbe un bel libro che racconta uno spaccato di storia di una città e del calcio, ma l’autore stupisce perché va oltre, non banalizza niente anzi.
Ad iniziare dalle mini biografie dei Savoia e dei Padri della Patria attraverso anche le statue che ci sono a Torino con il mese nel quale sono state inaugurate. Il mese segnala quella scala gerarchica con pedegree spesso cialtrone.
Poi i commenti su alcuni personaggi del calcio.
I commenti su Maradona, Pelè, Sacchi li sottoscrivo tutti e meglio non si poteva scrivere.
Qui i miei complimenti sono doverosi.
Un aspetto interessante del libro è la netta distinzione che l’autore fa tra “giocare a pallone” e “giocare a calcio”. Questo confronto viene esemplificato magistralmente nel paragone tra Pelè e Maradona, evidenziando come quest’ultimo abbia sempre mantenuto uno spirito infantile e genuino, giocando per il puro amore del pallone, indipendentemente dal contesto. La passione autentica di Maradona per il gioco, che lo portava a divertirsi su campetti fangosi o negli stadi più prestigiosi, contrasta con l’approccio più professionale e calcolato di Pelè.
Questa distinzione riflette un cambiamento più ampio nel mondo del calcio, che da sport verticale e diretto si è trasformato in un gioco orizzontale, simile al rugby giocato con i piedi. Tale evoluzione è parte di una riflessione più ampia sulla natura del calcio e del suo sviluppo storico, che rende il libro non solo una narrazione personale, ma anche un contributo significativo alla comprensione culturale di questo sport.
Ma il meglio è quando fa la distinzione tra giocare a pallone e giocare a calcio e questo lo porta al paragone tra Pelè e Maradona e all’aspetto tecnico di un gioco che da verticale si è trasformato in orizzontale, un rugby giocato con i piedi.
E’ tutto un altro sport.
In questo libro si ritorna giovani ma senza piangersi addosso, c’è storia, di Torino e dei Savoia che non volevano l’unità d’Italia, di personaggi mitici e personaggi smitizzati del calcio e a mio parere una grande voglia di non arrendersi mai.
Ora leggerò gli altri titoli pubblicati dall’autore, che ringrazio.
Claudio Mazzolani
Nb.: per la parte tecnica del calcio viene a fagiolo leggerlo ora per capire come si gioca in questi campionati europei o per non guardali affatto.