La marcia su Roma fascista di Mussolini nel centenario

Marcia su Roma: cento anni il 28 ottobre 2022

Cento anni fa si verificava quella che è nota come “la Marcia su Roma” fascista che si concludeva con l’avvio del dominio mussoliniano, una vicenda che la mitologia fascista dell’epoca e quella neofascista attuale dipinge come un evento rivoluzionario che avrebbe portato alla “conquista” del potere da parte di Benito Mussolini e che talora perfino nell’ottica antifascista viene erroneamente presentata come tale, focalizzando l’attenzione solo sull’indiscutibile orgia di violenza squadrista che tra il 1920 e il 1922 fece centinaia di morti, migliaia di feriti e invalidi, distrusse il tessuto di Case del Popolo, sedi sindacali, cooperative, giornali, assaltò ed occupò sedi di Comuni scacciandone chi vi era stato democraticamente eletto.

Lo squadrismo fascista

Certamente lo squadrismo, fin dalla nascita del movimento fascista nel 1919, non fu né elemento marginale né solo strumento tattico di quel movimento, anzi ne fu al tempo stesso asse portante pratico, esplicitazione di un sistema teorico che aveva al centro l’esaltazione della violenza sopraffattrice e fattore perfino condizionante di alcune delle scelte della leadership e l’aver sottovalutato il carattere nuovo del fascismo come “partito armato”, come “milizia politica al servizio di diversi settori del padronato” (agrari, settori della grande  industria, ceti possidenti immobiliari) è uno degli errori cruciali commessi non solo dal socialisti, riformisti o massimalisti, ma anche dal neonato Partito Comunista d’Italia a guida bordighiana.

Gli Arditi del Popolo

Errore che venne stigmatizzato da Gramsci (e da lontano dallo stesso Lenin) che fu non a caso fra i pochissimi  dirigenti nazionali del PCd’I a non condannare l’unica vera esperienza di risposta armata unitaria proletaria allo squadrismo militarizzato fascista, quella degli “Arditi del Popolo”, che la direzione settaria del PCd’I dell’epoca avversò invece proprio per il suo carattere unitario e non sottomesso ciecamente al Partito1.

Pure, fa comodo a troppi, certamente a destra (neofascista esplicita o mal-mascherata, moderata o di altro genere) ma anche a qualcuno a sinistra, dedito da tempo alle “pacificazioni”, alle legittimazioni in feste, dibattiti, format TV dei fascisti (salvo poi fare appelli alla necessità di un “argine contro le destre estreme” solo alla vigilia delle elezioni…) dimenticare la realtà profonda, che ormai da decenni gli storici hanno mostrato sulla base di una analisi di fatti incontrovertibili.

La marcia su Roma non fu una rivoluzione

Innanzi tutto, il 28 ottobre 1922 non vi fu alcuna “rivoluzione fascista” e alcuna “presa del potere” di Mussolini; le squadracce nere avrebbero potuto essere spazzate via dalle mitragliatrici e dai reparti del Regio Esercito schierati attorno e nella capitale se solo il re Vittorio Emanuele II avesse firmato quel decreto di stato d’assedio che il certo non bolscevico Primo Ministro Facta gli aveva sottoposto con una tale certezza che sarebbe stato sottoscritto da averlo già fatto affiggere sui muri di Roma!

Fu lo stesso monarca, inaugurando una linea nera che continuò con la firma di tutte le infamità del fascismo2 e che proseguì con l’abbandono suo, della Corte e dello Stato Maggiore ai nazisti della difendibilissima capitale il 9 settembre 1943, che diede incarico da Primo Ministro, dimessosi Facta, ad un Mussolini arrivato in vagone letto da Milano.

marcia su Roma
Benito Mussolini a Roma con Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi.

Il primo governo fascista del 1922

In secondo luogo il governo che Mussolini formò il 31 ottobre 1922 sulla base di quell’incarico non fu affatto limitato ai soli fascisti, ma incluse liberali, nazionalisti e cattolici del Partito Popolare ed il 19 novembre la Camera dei Deputati votò la fiducia a quel governo a larghissima maggioranza, a riprova sia della sottovalutazione del fenomeno fascista da parte di tanti che poi tardivamente vi si opposero, sia invece della convinzione di molti che si trattasse della dura ma necessaria “medicina” per arginare le istanze delle masse popolari e difendere i privilegi delle classi possidenti, dei loro rappresentanti politici, della casta militare e della stessa monarchia.

Pieni poteri a Mussolini

Votarono a favore Giolitti e Salandra, lo stesso Facta e personaggi che ritroveremo nella storia politica dell’Italia repubblicana nata dalla Resistenza, come Gronchi, De Nicola3 e De Gasperi. Successivamente (novembre 1922) la stessa Camera accordò a maggioranza i “pieni poteri per un anno” a Mussolini.

Quell’appoggio non deve stupire perché il movimento eversivo e paramilitare, squadrista e sanguinario fascista non era stato già negli anni precedenti un “corpo estraneo” rispetto alle classi dirigenti, economiche, politiche e militari e questa sua non estraneità si esplicava su tutti i piani.

Collaborazionismo prima e dopo la marcia su Roma

Sul piano squadristico-paramilitare, a fronte di singoli sporadici episodi di ufficiali che operarono a tutela dell’ordine pubblico e della salvaguardia di vite e beni contro le violenze fasciste, nel 99% dei casi tali violenze non furono semplicemente tollerate ma accompagnate, protette, co-agite da truppa, guardie regie, carabinieri agli ordini dei loro ufficiali, si trattasse di assalti a sedi sindacali o cooperative, a violenze contro esponenti antifascisti, o perfino ad assalti a quelle sedi istituzionali, in particolare i Municipi, che le cosiddette forze dell’ordine avevano il precipuo dovere di difendere.

In più, comandi militari e singoli ufficiali, senza problemi, fornirono autoveicoli, armi da guerra, rifornimenti alle squadre fasciste. Sul piano economico, gruppi industriali4 finanziarono prima Mussolini, fin dall’epoca del suo voltafaccia dal Socialismo più radicalmente antimilitarista all’interventismo5, poi il suo movimento a tutti i livelli, nazionale e locale, fornendo oltre a cospicue somme anche mezzi, ancora una volta primi fra tutti i veicoli che garantirono allo squadrismo una mobilità di attacco incomparabile.

Mussolini alleato di Giolitti alle elezioni del 1921

Sul piano politico, non solo vi fu acquiescenza da parte di prefetti e alte gerarchie militari, di alti burocrati e loro funzionari, questi ultimi spesso esponenti di punta di quella piccola borghesia che diede largo contributo in uomini all’interventismo prima, al fascismo poi, ma piena co-azione coi fascisti da parte di forze politiche parlamentari ed esponenti eminenti delle stesse ben prima del 28 ottobre 1922; basti pensare che nel maggio 1921 fu Giolitti a promuovere per le elezioni un accordo con i fascisti6 per la loro inclusione in una coalizione  con gli esponenti del liberalismo tradizionale, il “Blocco Nazionale”.

Accordo che non garantì affatto a quell’esplicito blocco conservatore-reazionario il primato, dato che ebbe solo il 19,07% (1,26 milioni di voti), mentre il Partito Socialista ebbe il 24,69% (1,6 milioni di voti) scontando anche la scissione da parte del neonato PCd’I7) e il Partito  Popolare ebbe il 20,39% (1,35 milioni di voti). Ma un accordo permise a Mussolini di entrare in Parlamento con altri 34 rappresentanti fascisti!

Il Blocco Nazionale, conservatori e reazionari

Giolitti nel 1919 aveva raggranellato coi suoi accoliti solo il 15,91% dei voti (900.000 voti), a fronte del risultato del 32,28% che aveva fatto del Partito Socialista (massimalista) il primo partito d’Italia con oltre 1,8 milioni di voti e del neonato Partito Popolare (cattolico) col 20,53% il secondo partito d’Italia con oltre 1,1 milioni di voti; quel risultato e i moti operai del 1920 lo avevano convinto che contro la crescita delle espressioni sia parlamentari che extraparlamentari delle masse popolari operaie e contadine si doveva rinsaldare un blocco conservatore-reazionario a tutela delle posizioni di dominio tradizionale.

Il carattere nuovo del movimento fascista che coniugava la violenza paramilitare con l’azione propagandistica e politica era un utile strumento per tale fine e fu dunque questo insigne esponente della politica italiana a cavallo dei due secoli XIX e XX, colui che aveva esaltato e istituzionalizzato la pratica, inventata da Depretis,  del trasformismo8, a legittimare e dare spazio politico al fascismo e la sua opposizione ad esso già dal 1924 non cancella tale scelta delittuosa eticamente e politicamente.

Le divisioni dei socialisti

Al tempo stesso, il grande partito di massa di sinistra italiana, il Partito Socialista, era diviso in due correnti. Una massimalista che ne controllava la linea politica e gli organi di stampa e che si rifaceva a proclami rivoluzionari, a “fare come la Rivoluzione Russa”, alimentando nelle classi subalterne speranze e in quelle possidenti incubi di sommovimenti epocali ma senza mai darsene strumenti, strategie, tattiche appropriati.

L’altra riformista che dominava la rete di Comuni, Cooperative, strutture mutualistiche che rappresentavano la linfa del sistema di consenso al partito e il sindacato, ma che vedevano l’azione politica appiattita su tale dimensione e priva di ogni prospettiva di effettivo mutamento dei rapporti di forza di classe e di una strategia che implicasse la questione del potere.

Gli errori dei socialisti

Le oscillazioni dei Socialisti sono ben rappresentate dalla incapacità di usare in positivo con una estensione, un collegamento e una radicalizzazione effettiva, e non a chiacchiere, delle lotte gli eventi dello sciopero generale del 20-21 luglio 19199, dell’occupazione delle fabbriche del settembre 1920 e delle grandi e dure lotte contadine che scuotevano le campagne soprattutto in val Padana ed in Puglia.

L’azione di pompieraggio svolta dal Partito Socialista, anche nella versione a maggioranza massimalista dopo il Congresso di Bologna della fine del 1919, verso quelle lotte ottenne solo tre risultati: una demoralizzazione delle classi oppresse che le disarmò intellettualmente e moralmente e generò in esse una sfiducia verso i loro rappresentanti che ebbe conseguenze catastrofiche perfino sul passaggio di loro esponenti locali al campo avverso (anche al fascismo); un consolidamento della fiducia in se stesse delle classi padronali abbinato però con un persistere di una paura dell’evento rivoluzionario che le portò a rinsaldare i legami con la casta militare e prefettizia e a moltiplicare l’appoggio ai fascisti; una rottura che diede vita al PCd’I che rifiutava ogni possibile connubio con i Socialisti compromessi da questa loro scelta politica.

28 ottobre 1922

Senza tutto questo non ci sarebbe stato nessun 28 ottobre 1922 e nessuna successiva costruzione di un regime fascista, modello poi esportato all’estero e compartecipe della nascita del nazismo. Senza tutto questo non ci sarebbero state Guerra di Spagna né aggressione all’Etiopia né Seconda Guerra Mondiale e se certamente quegli orrori indicibili sono responsabilità del nazifascismo (e anche di chi, da Ford a Churchill, dalla monarchia britannica dei Windsor ai “democratici” francesi largamente flirtò a lungo con esso), le loro radici sono italiane e non si collocano solo nel campo nero ma soprattutto in due ambiti interconnessi: la connivenza strategica e tattica tra forze reazionarie, conservatrici, padronali, militari, monarchiche e fascismo e la sottovalutazione di quel pericolo, in diverso modo e forma, da parte di quasi tutti gli esponenti e i raggruppamenti  politici che pure erano o si dicevano espressione delle classi sfruttate.

Una grande e terribile lezione storica non isolata visto che in Italia, in Germania, in spagna, ecc. il fascismo non ha mai vinto, gli è sempre stata regalata la vittoria! Una lezione, certo, ma come diceva Gramsci, purtroppo “la Storia è una grande maestra ma con pessimi allievi”…

Note

  1. nella difesa vittoriosa dell’Oltretorrente a Parma, organizzata dagli Arditi del Popolo (1-6 agosto 19222), accanto a comunisti come Picelli, Gorreri e molti altri, anarchici come Cieri ed altri, socialisti come Faraboli e Isola, a una grande massa di lavoratori e donne ed ex-combattenti senza-partito, partecipò perfino un esponente politico cattolico come Corazza e secondo le stesse memorie del capo dei fascisti assaltanti Balbo “parteciparono alcuni preti in sottana”;
  2. dalle leggi speciali a quelle razziali, dall’aggressione all’Etiopia alla dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra, ecc.:
  3. che della Repubblica nata dalla Resistenza divennero Presidenti;
  4. per primi quelli interessati alle commesse belliche, in un intreccio fra forniture militari e nazionalismo estremo che oggi si ripresenta in altre forme, a cui successivamente al 1920 si unirono settori diversi dell’industria e soprattutto agrari specialmente della Pianura Padana e delle Puglie;
  5. e finanziarono dal 1914 il suo nuovo giornale, “Il Popolo d’Italia”;
  6. che nelle precedenti elezioni del 1919, le prime a suffragio universale maschile, avevano avuto un risultato risibile e nessun candidato eletto; a Milano, dove il fascismo era nato, ottennero solo 4.657 voti e Mussolini ebbe solo 2.427  preferenze; alla fine del 1919 gli iscritti fascisti erano scesi in tutta Italia a meno di 4.000;
  7. il neonato PCd’I ebbe il 4,61%, 300.000 voti;
  8. ossia quella di aggregare attorno a se maggioranze ottenute con la compravendita di parlamentari, con le clientele personali e di collegio e al sud con l’esplicito appoggio di mafia e camorra;
  9. il cui sbocco prerivoluzionario, sostenuto non solo dagli anarchici ma dalla stessa propaganda dei fogli socialisti massimalisti era invece totalmente avversato dal partito Socialista come tale;

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