La Sicilia guarda alla Cataluña?

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Dal sito Storico-Religioso Artistico-Letterario Khayyam’s blog http://khayyamsblog.blogspot.com/

In questo momento della storia d’Italia, sta divampando una discussione animosa che pone al centro dell’attenzione don “Peppino” Garibaldi” , come era chiamato dai siciliani. L’eroe dei due mondi, nell’ambito della sua personalità di condottiero, secondo alcuni, fu l’artefice di un’annessione che – col passare del tempo e in un’altra chiave di lettura – non convince completamente.

L’argomento è molto complesso e ben pochi possono proporre, ancora oggi, interpretazioni oggettive e definitive sulla questione dell’impresa garibaldina in Sicilia e sulle sue conseguenze. La nascita della Lega Nord per l’indipendenza della Padania ed un crescente malcontento in merito alla distribuzione delle risorse economiche e finanziarie – in buona parte oggi prodotte nel bacino del Po – e la redistribuzione di quelle fiscali, hanno dato nuovo impulso ad un revisionismo storico, che risulta essere l’effetto diretto del non considerare più in assoluto l’unità d’Italia, come un “bene” acquisito con grande sforzo e da difendere “ad ogni costo”.
In questi giorni sia nella Sicilia orientale sia in quella occidentale, punti di vista differenti danno luogo a giornate infuocate, di fronte ai monumenti o alle piazze intitolate a Garibaldi, per difendere o per “picconare” la toponomastica locale. Lontano dal voler fare revisionismo, ritengo che gli avvenimenti storici debbano essere rigorosamente inquadrati nel relativo periodo, ma che possono essere “rivisti” alla luce di successive conoscenze o di una diversa e sopravvenuta libertà d’azione e di pensiero” che non deve in ogni caso decontestualizzare gli avvenimenti stessi. In effetti, la preoccupazione che è scesa fino alle piazze, non è soltanto legata alla “rilettura” della spedizione dei Mille  – i quali, va ricordato, senza l’aiuto di oltre ventimila siciliani e della connivenza degli ufficiali borbonici iscritti sul libro paga del governo piemontese che lasciarono a difesa delle postazioni solamente dei battaglioni anziché i vari reggimenti dislocati nell’Isola -, non avrebbero certo raggiunto il risultato che ci vede figli di quelle gesta. Neanche si può disconoscere l’interesse del Conte di Cavour per le voci patrimoniali del bilancio del Regno delle Due Sicilie , utili per il risanamento del Regno di Sardegna, che grazie al successivo spostamento degli ingenti capitali del Sud ha potuto, in tal modo, incentivare gli investimenti del polo industriale piemontese. Del resto la storia che si insegna, non si può negare che abbia una visuale a senso unico, evidenziando “il generale” Garibaldi e non “il mezzo” per cui è stato possibile annettere la Sicilia al Piemonte, sminuendo il trattamento riservato al condottiero nel momento in cui ha consegnato il Sud conquistato al re Vittorio Emanuele II di Savoia, nel famoso incontro a Teano a cui seguì l’immediato smembramento delle truppe garibaldine che invece attendevano di essere inserite nei ranghi dell’esercito piemontese, quale meritata ricompensa. Ma per i più volenterosi, c’è anche una saggistica che ha approfondito le ricerche dedite all’ascolto delle voci dei vinti, riguardanti quindi una conquista del Sud  da parte dei piemontesi, con tanto di torture, condanne esemplari, esecuzioni sommarie dei cosiddetti “ribelli”, che altro non erano che contadini disorientati in quel momento di cambiamenti radicali, attuati da uomini che non hanno tenuto assolutamente in considerazione gli usi, i costumi e le abitudini sino ad allora invalse nell’Isola.
A ciò si aggiunse un altro fattore d’insofferenza, legato alla totale mancanza di comprensione del dialetto piemontese, che aveva dato motivo di notevoli contraddizioni ed alla nascita di bande di “briganti”, al quale fu assoggettato il movimento autonomista, in ogni caso soffocato nel crescere. Desiderio d’autonomia, dunque, che riprese in Sicilia con forza al momento dello sbarco degli alleati, quel fatidico 10 luglio 1943 nelle spiagge dell’estremo confine italiano; anche legato ad una serie di contatti degli americani con “boss” dell’area palermitana, che fecero riacutizzare il pensiero secessionista. Oggi però, il focolaio di autonomia riapertosi in Sicilia, pare che operi per porre fine alla conflittualità tra autonomia e federalismo e trasformare i conflitti in sinergie e collaborazione tra Nord e Sud dell’Italia, grazie al “patto per le Autonomie”, a differenza di quanto invece è richiesto dal Movimento – Storico – Siciliano M.I.S. 1943, movimento politico separatista che si basa su tre principi: decolonizzazione, autodeterminazione e indipendenza, che volge lo sguardo allo statuto di autonomia della Catalogna del 9 agosto 2006, magari con l’inserimento di un proprio sistema fiscale, con origini pertanto, differenti da quelle manifestate, come dire: «Dalla parte politica avversa allo schieramento dell’opposizione» attuale, che richiede il federalismo “fiscale”, ma che da alcuni degli anziani dell’Isola, questa richiesta di autonomia è vista e ritorna ad essere un monito riferito a quell’ingerenza degli affari non tanto “leciti”, che purtroppo continuano ad identificare la Sicilia ed i suoi abitanti, con quelle cosche conosciute al mondo intero.
E’ bene considerare infine, che la Sicilia, ancora oggi, nonostante la buona volontà di una minoranza [sic!] non sia in grado di governarsi autonomamente, per colpa dell’eccessivo clientelarismo che pervade il normale andamento delle faccende quotidiane, evidente fattore di mancato sviluppo locale.

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1 Comment

  1. Questo articolo è molto interessante.
    A scuola non ti spiegano vermante la dietrologia delle azioni che sono state compiute e che hanno portato la società al punto in cui siamo.

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