Le cose della vita sono poche…

Le cose della vita sono sempre quelle per tutti…

“Vecchio professore, cosa vai cercando in quel portone?

Forse quella che sola ti può dare una lezione

Quella che di giorno chiami con disprezzo “pubblica moglie”

Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie

Tu la cercherai, tu la invocherai più d’una notte

Ti alzerai disfatto, rimandando tutto al 27

Quando incasserai, delapiderai mezza pensione

Diecimila lire per sentirti dire “micio bello” e “bamboccione”…”

(“La città vecchia” – Fabrizio De André)

Lo cito spesso questo verso memorabile di Bukowski: “Nessun uomo è forte come le sue idee”. Bukowski la conosceva molto bene la vita. La conosceva come le sue tasche. Forse perché aveva vissuto più vite o forse perché per un lungo periodo aveva vissuto una vita disperata e così facendo aveva visto nel fondo di sé stesso, aveva colto la vera essenza del mondo. E come non ricordare l’autodidatta de “La nausea” di Sartre, che vuole conoscere ogni ramo dello scibile e finisce per sedurre un adolescente e di conseguenza viene cacciato dalla biblioteca? Continuerò a ripeterlo:  le cose più importanti della vita sono poche, sono sempre quelle (cambia poco l’importanza attribuita a esse con l’età);  sono trite e ritrite. Queste cose sono:  la vita sessuale e sentimentale, la vita sociale, la politica,  la vita lavorativa o le passioni, i soldi, il rapporto con la malattia e la morte, il rapporto con Dio. E sono poche cose ma basilari che possono capire tutti. Sono le cosiddette cose della vita. I bilanci esistenziali li facciamo tutti in base a quelle poche voci. È da quelle poche voci di bilancio che si calcola la riuscita o il fallimento di un individuo in Occidente. Il resto viene considerato superfluo, ridondanza, un sovrappiù inessenziale.  I grandi scrittori o i grandi intellettuali si sanno solo esprimere meglio e la loro forma è migliore, ma i contenuti sono quelli per tutti. L’intelligenza è cura del dettaglio, è maggiore precisione, ma la sostanza è quella per tutti. Capita talvolta che grandi intellettuali perdano per strada nella loro vita il senso delle cose, di sé stessi. Chiunque può avere momenti di crisi o di obnubilamento. Ci sono invece persone meno colte e meno intelligenti che sono felici, perché la felicità richiede anche un minimo indispensabile di praticità.  Certamente siamo fatti in tanti modi: c’è chi si accontenta di panem et circenses e chi scava più in profondità. Certamente se la libertà, come la intendeva Spinoza, è ricerca delle cause che ci determinano, ci sono persone che conoscono più leggi del mondo e altre meno e  ci sono quindi diversi gradi di libertà, che variano da persona a persona.  Certamente i più intelligenti capiscono più cose e le capiscono meglio, ma il senso globale della vita è dato da quelle poche cose che capiscono tutti. Si può vivere 100 anni senza aver letto Lacan, ma non senza mai essersi innamorati ad esempio.  Se vengono a mancare tutte insieme queste cose fondamentali,  una persona può naufragare. Ma una persona può naufragare anche se ha molte cose materiali e non sa vedere oltre, né sa rendersi conto di quanto è fortunata ad averle. Che cosa varia da persona a persona e con l’età? Soltanto il modo di relazionarsi con queste cose prioritarie dell’esistenza umana. Inutile pensare di essere chissà chi. Mi fanno sorridere quelli che dicono “lei non sa chi sono io”. Siamo tutti esseri fallibili, carnali e mortali. Siamo solo e soltanto esseri umani,  con la nostra miseria, e l’unica grandezza nostra è solo la consapevolezza della nostra miseria, come scriveva Pascal. È così facile cadere in errore. E se ci sono delle differenze individuali di talento, impegno, cultura siamo tutti uguali e sprovveduti di fronte alla malattia e alla morte. Tutti poi alla fine dobbiamo rendere conto a Dio o a chi per Lui. Bisogna volare basso nella vita. Non chiedere troppo a sé stessi. Ci sono religiosi in tutto il mondo e di tutte le religioni  che vorrebbero diventare spirituali al 100% e poi manifestano debolezze, tare,  pecche, vizi, eccessi. Succede che talvolta non esista coerenza tra esigenza interiore e condotta morale, tra spirito e corpo. Pasolini in “Supplica a mia madre” scrive: “E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame/ d’amore, dell’amore di corpi senza anima”. Ci sono persone che vorrebbero annullare il corpo a vantaggio dello spirito. Ma la corporeità chiede sempre pegno. C’è sempre il richiamo del corpo. Per noi tutti esseri medi sensuali e occidentali il corpo è “un sublime atroce porco”, come scrisse Piero Ciampi. Solo Cristo e Sant’Antonio sanno resistere alle tentazioni della carne. Ad esempio  Giovanni Lindo Ferretti, uomo mistico e religioso, non può fare a meno di fumare tre pacchetti di Marlboro ogni giorno. Salvo rare eccezioni,  abbiamo le nostre debolezze.  Per la vita che facciamo e per i condizionamenti esterni che riceviamo di solito il mondo corrompe il cuore e la mente della maggioranza di noi. È inutile negarlo: siamo anche figli della nostra epoca e sempre riprendendo De André “di questo mondo”. Maslow teorizzò la piramide dei bisogni. Alla base della piramide ad esempio ci sono i bisogni fisiologici, quelli primari. In cima alla piramide ci sono i bisogni di autorealizzazione. Converrete con me che la piramide di qualsiasi uomo non sta in piedi senza i bisogni primari, che mancano a molti nel mondo; ad esempio a chi muore di fame.  Allo stesso modo non si può pretendere di studiare o pregare una vita in perfetta solitudine. La presenza altrui è la nostra forza, l’assenza altrui e il mancato sostegno sono la nostra debolezza. Ci si può nutrire di assenza e solitudine solo per un certo periodo, talvolta ciò può anche fortificare l’intelligenza,  ma l’autosufficienza è una pretesa illusoria. La solitudine prolungata, volontaria o forzata, diventa un peso insostenibile che mina seriamente la psiche. È chiedere troppo a sé stessi.  Bisogna interagire con gli altri. Non si può sublimare per tutta la vita la propria solitudine con la cultura ad esempio, che in questo caso sarebbe puro solipsismo. Bisogna cercare gli altri, anche se gli altri talvolta fanno male. Altrimenti la nostra comfort zone diventa una bara! Ci vuole l’human touch! Ci vuole il contatto umano. Non vi si può rinunciare. Non si può essere schivi e ieratici. E purtroppo mi rendo sempre più conto che sempre più persone fanno eremitaggio nella vita reale e sono socievoli nel mondo virtuale!  Non bisogna rifugiarsi troppo nella solitudine. Altrimenti monologando da soli si finisce per impazzire, per delirare. Il potere, ogni forma di potere, cerca di conoscere le debolezze e i vizi di ogni contestatore. Prima lo ammonisce, lo redarguisce. Poi se non ottiene il ravvedimento,  lo colpisce. Ogni uomo ha degli scheletri nell’armadio. Ogni uomo ha sempre qualcosa da nascondere. Ogni uomo ha il suo tallone d’Achille. E se non ce l’ha il potere lo inventa, diffama oppure imprigiona e rende l’oppositore un uomo solo e perciò innocuo. Basti pensare che in ogni processo di beatificazione prende anche la parola l’avvocato del diavolo. C’è sempre qualcosa di cui possiamo essere accusati. Anche nella vita d’un santo ci sono degli errori: la vita perfetta non esiste perché la perfezione non è cosa umana. Di solito il potere cerca di distruggere la reputazione degli oppositori. Se non vi riesce li riduce in silenzio e in solitudine. Bisogna volar bassi, ma questo non significa non percepire il valore inestimabile della vita, che è anche espressione del pensiero e difesa delle proprie idee per non far vincere il diavolo in noi stessi, negli altri, nel mondo. 

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Nato nel 1972 a Pontedera. Laureato in psicologia. Collaboratore di testate giornalistiche online, blog culturali, riviste letterarie. Si muove tra il pensiero libertario di B.Russell, di Chomsky, le idee liberali di Popper ed è per un'etica laica. Soprattutto un libero pensatore indipendente e naturalmente apartitico. All'atto pratico disoccupato.

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